“Ai minimi termini” – Minimal Art/Minimal Music (1° parte)

819

“AI MINIMI TERMINI”
Minimal Art/Minimal Music
(prima parte)

 

L’inizio è noto. In ogni avanguardia, postavanguardia, adunanza artistica che si rispetti, un gruppo di giovani creativi, più o meno vincolati da più o meno inoppugnabili dogmi, dichiara, con parole, più che con opere, la propria netta estraneità e contrapposizione ai movimenti e alle tendenze precedenti e contemporanee. Il nome collettivo e i postulati sono, in genere, donati loro da un critico o da un filosofo. Insomma, ogni corrente artistica del Novecento si è autodefinita rivoluzionaria, negando legittimità a tutte le altre e contestando il sistema sociale ed i suoi valori. Si è quasi sempre trattato, però, di disconoscimenti prevalentemente verbali: di fatto, tutti i movimenti d’avanguardia del secolo scorso hanno continuato a nutrirsi dei fondamenti della cultura precedente. Quasi, appunto. Con le sole eccezioni, a parere mio e di molti più autorevoli, del Dadaismo e del Surrealismo. Ciò detto e precisato, resta indiscutibile la considerazione che va dedicata a questi movimenti, siano essi riferibili alle avanguardie storiche, sia ad espressioni del secondo Novecento. Vale, tutto ciò, anche per una delle più interessanti fra queste ultime, che ha avuto (e ha) ramificazioni sia nel campo delle arti visive, sia in quello musicale: la Minimal Art, che, non a caso, è tra quelle che più risentono della lezione di Marcel Duchamp, che del Dadaismo e del Surrealismo è stato protagonista assoluto. Leggiamo una definizione del Minimalismo, tra le più chiare in cui mi sia imbattuto: “Il termine Minimal Art viene coniato nel 1965 dal filosofo americano Richard Wollheim. […] La Minimal Art è costituita primariamente da sculture, composte da forme geometriche singole o ripetute. Prodotte con materiale industriale, sono in prevalenza costruite da tecnici che eseguono le istruzioni dell’artista, la cui manualità è ridotta al grado zero, si annulla, cioè, quasi completamente; esse quindi rimuovono ogni traccia di emozione o impulsività, tipica della pittura dell’Espressionismo Astratto e dell’Informale europeo degli anni Cinquanta. Criticano inoltre l’aspetto commerciale e l’indifferenza verso la nuova etica del consumo della Pop Art, e si affermano invece come un’arte impersonale e fredda”[1]. L’uso dei materiali industriali prefabbricati di cui sopra è, anch’essa, eredità del pensiero di Marcel Duchamp, un’applicazione della sua teoria dell’«indifferenza visiva»: “Un punto che voglio stabilire molto chiaramente” – scrive Duchamp – “è che la scelta di questi ready made non mi fu mai dettata da un qualche diletto estetico. Questa scelta era fondata su una reazione di indifferenza visiva, unita allo stesso tempo a un’assenza totale di buono o cattivo gusto … di fatto un’anestesia totale”[2].
Se gli artisti visuali reagiscono all’irrazionalismo dell’action painting e alla Pop Art, i musicisti hanno anche loro il proprio bersaglio: John Cage e il movimento Fluxus. Pur non disconoscendone un’innegabile influenza, c’è un nodo sul quale i minimalisti si discostano decisamente dalle posizioni di Cage: alla sua imprevedibile casualità contrappongono, con una mentalità schiettamente tecnologica, un andamento razionale ed estremamente rigoroso[3]. Ecco qualcosa per comprendere meglio il Minimalismo in musica: “Termine con cui dagli anni ‘60 si qualifica una corrente musicale (indicata anche con l’espressione «musica ripetitiva») rivelatasi particolarmente vitale e capace di vaste propagazioni. Riduzione del materiale sonoro ai minimi termini e ripetizione di brevi moduli ritmici e melodici sono i presupposti non solo formali del Minimalismo”[4]. “Forme geometriche singole o ripetute”, “ripetizione di brevi moduli ritmici e melodici”: la relazione è evidente. Ma la prosecuzione della lettura dell’ultimo brano proposto, può renderla ancora più esplicita. Si parla qui di due testi, Paragraphs on Conceptual Art (1967), dell’artista visivo Sol LeWitt e di Musical as a Gradual Process (1968), del musicista Steve Reich: “Punto comune dei due documenti è il progetto di ridurre l’universo fenomenico, visivo o sonoro, a pochi elementi semplici ma suscettibili di espansione mediante una loro organizzazione seriale”[5]. Nella Minimal Art il rapporto tra l’opera e lo spazio (condiviso con lo spettatore) è essenziale. Come essenziale è l’idea iniziale, che per Sol LeWitt è il quadrato, origine di inesauribili mutazioni. Scrive, infatti, nei suoi Paragraphs on Conceptual Art, che “l’idea diviene una macchina che crea l’arte”, pensiero ben declinato in “l’idea è una macchina che genera una serie”[6].
Nel campo musicale, la riduzione ai minimi termini del materiale sonoro dà origine a prospettive diversificate: se La Monte Young è il primo a rivolgersi al mondo mistico orientale, Terry Riley inizia studiando i bassi armonici nella musica soul, sempre identici e ripetuti a lungo. Nel 1964, realizza In C (In Do) l’opera che costituisce una sorta di manifesto del Minimalismo musicale e nella quale un DO alto palpita incessantemente durante l’intero brano, che dura circa 40 minuti.
In C si serve dei procedimenti del tape loope del tape delay, tecniche della reiterazione per mezzo del nastro magnetico. Il tape loop, letteralmente, in italiano, «anello di nastro», è, in quegli anni, un procedimento – oggi, ovviamente, largamente superato dalle tecnologie digitali – che consente la ripetizione ininterrotta di un frammento musicale registrato su nastro magnetico. Congiungendo le due estremità di una porzione di nastro, si forma un anello che la testina può leggere all’infinito. Anche il tape delay, «eco a nastro», si serve dei registratori a bobine nei quali, generalmente, la testina di riproduzione è collocata alcuni centimetri più in basso di quella di registrazione. L’intervallo temporale tra il segnale reale e quello riprodotto, la cui durata dipende sia dalla distanza tra le testine, sia dalla velocità di scorrimento del nastro, viene impiegato per ricreare artificialmente un effetto di ripetizione del segnale simile all’eco in natura. Anche Steve Reich si avvale del tape loop. Nel 1965, compone It’s Gonna Rain, dove il principio della ripetizione è applicato alla voce di un predicatore nero, registrata in un parco pubblico, che parla del Diluvio universale. Qui interviene il cosiddetto «defasaggio», un processo compositivo – che diventa, da allora, tipico di Reich – che fa uso della sovrapposizione graduale e sfasata del materiale iniziale. Il «defasaggio» potrebbe essere definito come un’insolita applicazione della tecnica del «Canone», quel “metodo per comporre (e quindi la forma risultante) in cui un materiale sonoro di partenza è riprodotto in materia identica o simile, spostando l’inizio sulla linea del tempo”[7]. In It’s Gonna Rain Reich accresce di nuove possibilità l’insegnamento di Riley secondo il quale un suono reiterato non è mai uguale a quello originale. Ne consegue che ciascun suono può essere apprezzato del tutto solamente nell’insieme delle sue ripetizioni. Reich plasma una struttura in movimento, un “processo” nel corso del quale anche pochissimi elementi, ripetuti e moltiplicati, compongono inediti e differenti contesti armonici e ritmici[8]. Intendendo per “processo” non “il processo di composizione” – scrive Reich nel suo Music as a Gradual Process – “ma pezzi di musica che sono, letteralmente, processi”. E prosegue: “La cosa distintiva dei processi musicali è che essi determinano contemporaneamente tutti i dettagli nota a nota (suono a suono) e l’intera forma (pensate a un canone rotondo o infinito). Mi interessano i processi percettibili. Voglio essere in grado di sentire il processo che avviene in tutta la musica che suono. Per facilitare l’ascolto ravvicinato e dettagliato, un processo musicale dovrebbe avvenire in modo estremamente graduale”.
Tra i brani di Reich che fanno uso del «defasaggio» c’è anche Come out (1966), in cui una breve frase è registrata su due piste, che partono simultaneamente, ma, a poco a poco, si «sfasano», e Drumming (1971), un lavoro corposo, per sole percussioni, nel quale i moduli ritmico-melodici sono soggetti ad un graduale processo di costruzione e decostruzione. Sei anni dopo, il compositore americano torna a far uso di questo metodo con My name is (1977). Nell’incipit, i musicisti si presentano ripetendo la formula che dà il titolo al brano, “My name is …”, alla quale ciascuno aggiunge il proprio nome. Giunti a “Ingrid”, inizia il processo di reiterazione sul nome e, anche, “lo sgretolamento progressivo del significato a favore della sola materia fonica: la parola diventa progressivamente ritmo, sound, musica”[9].

 

NOTE

[1]Francesca Ponzini, “Minimal Art”, in Arte Contemporanea. Anni sessanta, Mondadori Electa – Gruppo Editoriale L’Espresso, 2008, p. 112.
[2]M. Duchamp citato in M. Sanouillet, Duchamp du signe, Paris, Flammarion, 1975, p. 49. Trad. di Filippo Toppi, in F. Toppi, Il ready made di Marcel Duchamp: teoria dell’indifferenza visiva, in www.filosofia.unimi.it.
[3]Gianfranco Vinay, Il Novecento nell’Europa orientale e negli Stati Uniti, Torino, EDT, 1991.
[4]Voce “Minimalismo” in Musica. Le garzantine, Milano, Garzanti, 1999.
[5]Idem.
[6]Giorgina Bertolino, “Panorama artistico Internazionale”, in Arte Contemporanea. Anni settanta, Mondadori Electa – Gruppo Editoriale L’Espresso, 2008, p. 14.
[7]Mario Piatti, Enrico Strobino, Grammatica della fantasia musicale, Milano, Franco Angeli, 2011, p. 29.
[8]Ernesto Assante, Gino Castaldo, Blues, Jazz, Rock, Pop. Il Novecento americano, Torino, Einaudi, 2004.
[9]Idem.

 

PER APPROFONDIRE

BIBLIOGRAFIA

CASTELLANO, Pierluigi, Le sorgenti del suono. Trenta incontri con musicisti straordinari, Roma, Derive Approdi, 2004.

BERIO, Luciano, Intervista sulla musica, Roma-Bari, Laterza, 2011.

BORTOLOTTO, Mario, Il viandante musicale, Milano, Adelphi, 2018.

DAL SOLER, Gino, con CIARLETTA, A. e SAVINI, F., “Minimalismo (1964-1989)”, in Blow Up, n. 248, gennaio 2019, pp. 40-59.

MAFFEI, Giorgio, DE DONNO, Emanuele, Sol Lewitt Artist’s Books, Foligno, Viaindustriae, 2009.

POLI, Francesco, Minimalismo, Arte povera, arte concettuale, Roma-Bari, Laterza, 2005.

 

LINK AUDIOVISIVI

https://www.youtube.com/watch?v=vugqRAX7Xqe