Italia, bella senz’anima

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FIlippo Arlia - Febbraio 2018Correva l’anno 1711 quando Scipione Maffei, noto ed erudito drammaturgo e critico musicale, annunciava ufficialmente la nascita del cosiddetto “gravecembalo col piano e forte”. Maffei, autorevole penna del “Giornale de’ letterati d’Italia”, parlava ovviamente del primo pianoforte, nuovo strumento a tastiera caratterizzato da una meccanica innovativa e rivoluzionaria.

Ma da dove nasceva l’idea del pianoforte? Perché nel ‘600 prese forma l’esigenza di superare il glorioso passato del clavicembalo e di scoprire se la tastiera poteva esplorare nuovi orizzonti?

La spiegazione non è solo di natura culturale, ma anche geopolitica. Il principe Ferdinando II de’ Medici, a capo di una corte tra le più ricche del XVII secolo, era un grande mecenate e sincero amante della scienza, dell’arte e della cultura, e il suo mecenatismo stimolava un fermento culturale notevole tra tutti i suoi collaboratori. Ferdinando, insomma, era la forza motrice della Toscana, era l’anima della sua corte, perché aveva capito, già quattro secoli or sono, quello che oggi si dimentica colpevolmente: la crescita di un paese non può assolutamente prescindere dall’aspetto culturale dello stesso.

Il nostro amato pianoforte nasceva infatti ad opera di Bartolomeo Cristofori, costruttore e cembalaro al servizio del Granduca Ferdinando, per superare i limiti tecnici del clavicembalo, uno strumento la cui struttura, per causa di forza maggiore e per motivi squisitamente meccanici, limitava l’espressione del suono. Il pianoforte era quindi il simbolo musicale di un inevitabile desiderio di rinnovo sociale che alla corte del Granduca si consumava frequentemente in tutti i campi dell’arte e della scienza.

D’altro canto, nel nostro paese il fermento e le idee non sono mai mancati: l’Italia è storicamente riconosciuta come la patria dell’arte e della bellezza. Da Antonio Vivaldi, mitico pioniere del barocco, a Giuseppe Verdi, massimo esponente del melodramma, l’Italia è stata sempre una grande protagonista della storia antica e moderna.

A questo punto sorge spontaneo chiedersi cosa sia accaduto negli ultimi 30 anni, se vogliamo iniziare un processo di autocritica indispensabile per cambiare. Cosa è venuto a mancare all’improvviso al nostro paese? Sicuramente non il talento e l’intelligenza. Sicuramente non la bellezza. Sicuramente non le grandi menti e i pensatori. Dagli Appennini ai Nebrodi, dalle montagne al mare, la nostra terra brulica di potenziali “Bartolomei” innovatori e geniali. E allora cosa manca? Se l’Italia c’è, e la bellezza pure… manca un Granduca di Toscana, che si adoperi energicamente affinché la cultura sia riconosciuta come un capitolo imprescindibile della nostra crescita. Manca la forza che attivi di nuovo quel “motore” culturale che sembra essersi inceppato a causa della ruggine. Manca l’anima ad una terra che il mondo intero ci invidia da sempre.

In questa storia, ognuno di noi dovrebbe ricordare che recita una parte molto importante ai fini del risultato. Forse è arrivato il momento di svegliarci da questo sonno infinito… e di riflettere attentamente per capire se, prima o poi, anche noi avremo il nostro Ferdinando II.

 

Filippo Arlia Libero Pensatore

 

(Filippo Arlia è Direttore del Conservatorio “P. I. Tchaikovsky” di Nocera Terinese, Direttore stabile dell’Orchestra Filarmonica della Calabria e, dal 2018, è Direttore Musicale al Teatro Greco di Taormina per “Mythos Opera Festival”)

Per info: www.filippoarlia.net