Eleganza, trasparenza e nobiltà della fisarmonica

Intervista a Ivano Battiston

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Ivano BattistonNel corso di questa intervista, diverse domande vertono sulla formazione di Ivano Battiston. Non starò, quindi, a sintetizzare il suo vasto curriculum, per entrare subito nel vivo della conversazione. Non senza ricordare, però, che il mio primo incontro con il Maestro Battiston è avvenuto nel 2020, in occasione del 250° anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven. Fu allora, infatti, che Ars Spoletium e “Strumenti&Musica” ebbero l’onore di averlo tra i protagonisti dell’album Accordion for Beethoven, la cui direzione artistica affidammo a Patrizia Angeloni.

Qualche giorno fa, scherzando in chat, mi hai rivelato – ammetto la mia ignoranza, non lo sapevo – di essere diplomato anche in fagotto. Prima di entrare nel merito dell’intervista, che verterà sulle tue composizioni per fisarmonica, sono curioso di sapere come nacque l’interesse per questo straordinario strumento, che amo moltissimo…

Quando avevo tredici anni ebbi l’occasione d’ascoltare l’Orchestra del Teatro “La Fenice” di Venezia diretta da Zoltán Peskó. Tra i brani in programma c’era anche L’uccello di fuoco di Igor Stravinsky, dove il fagotto si può esprimere in uno dei più suggestivi “soli” di tutto il repertorio sinfonico. La Berceuse mi conquistò a tal punto che, quando mi iscrissi al Conservatorio di Padova, non ebbi alcun indugio nel dedicarmi a questo meraviglioso “tuttofare” orchestrale. Evandro Dall’Oca, il mio maestro, che in quei tempi ricopriva il ruolo di primo fagotto al Teatro alla Scala di Milano, non esitò fin da subito a introdurmi nelle compagini orchestrali (Solisti Veneti, Orchestra Sinfonica di San Remo, Pomeriggi Musicali di Milano, ecc.) e a soli diciannove anni ero perfino docente di fagotto al Conservatorio di Padova, sostituendo il mio maestro, che aveva ottenuto il trasferimento a Milano! Oggi, purtroppo, non ho più tempo di dedicarmi a questo straordinario strumento, ma è mia premura, ogni tanto, fargli prendere aria e suonare qualche brano per il piacere personale.

Veniamo al Battiston compositore. I tuoi primi studi di composizione li hai fatti con Bruno Coltro, “allievo prediletto di Gian Francesco Malipiero”, come si legge sul tuo sito. Qual è stata la sua principale lezione, che cosa ti ha trasmesso il suo insegnamento?

Bruno Coltro, classe 1910, che conosceva a menadito tanto la musica di Palestrina quanto quella di Pierre Boulez, aveva la prerogativa di farmi studiare la composizione attraverso i testi dei musicisti e non dai manuali. Per esempio, la fuga veniva studiata direttamente dagli originali bachiani, i lieder dalle partiture schubertiane e così via. Il suo principale insegnamento è stato proprio questo: la composizione s’impara direttamente dalle opere dei grandi Maestri e molto meno dai Trattati. Un’altra sua affermazione, che ancora oggi mi accompagna, si può sintetizzare in un pensiero di Voltaire: “L’ignoranza afferma o nega rotondamente; la scienza dubita”. Il Maestro Coltro mi ripeteva spesso “In musica non si può mai dire: è così e basta!”

Salvatore di Gesualdo (di cui quest’anno ricorre il decimo anniversario della morte), invece, è stato il tuo Maestro di fisarmonica. Che ricordo hai di lui e come, nella tua arte, hai coniugato i suoi insegnamenti con quelli di Bruno Coltro?

In un certo senso i due viaggiavano sulla stessa lunghezza d’onda: l’assunzione del Dubbio come principio di ricerca ha accompagnato, fino all’ultimo, la loro vita musicale. Di Gesualdo è stato, fin da quando ero adolescente, la mia stella polare fisarmonicistica. Unica presenza “seria” nei palinsesti Rai degli Anni Settanta che ha dato, con la sua genialità, una svolta imprescindibile al concertismo fisarmonicistico italiano e non solo italiano. L’incontro determinante con il Maestro è avvenuto ad Arezzo nel 1982 e da allora abbiamo condiviso tanta vita musicale. Con di Gesualdo ho capito che se un buon insegnante spiega e l’insegnante superiore dimostra, il grande insegnante ispira. Sono stato molto fortunato ad aver incontrato nel mio percorso formativo questi due grandissimi Maestri.

Oltre a Salvatore di Gesualdo, quali sono stati i tuoi principali “punti di riferimento” nella scrittura per fisarmonica?

Ho sempre molto apprezzato la Scuola tedesca, il cui caposcuola è, senz’ombra di dubbio, Hugo Noth. Ho sempre preferito la sua fisarmonica, dal suono distillato ed elegante, che “parla” e che “canta” allo strumento “chiassoso e prepotente” che s’impone “urlando e ruggendo”! Dalla Scuola di Hugo Noth sono nate centinaia di nuove opere musicali che per me sono un importante riferimento poiché corrispondono al mio modo di sentire e di pensare la musica.

E, al di là della fisarmonica, quali sono i compositori che, maggiormente, hanno contribuito alla tua formazione ed evoluzione musicale? O che, più semplicemente, ami in modo particolare.

I miei “amori musicali adolescenziali” sono stati soprattutto i francesi Fauré, Ravel, Debussy, Poulenc, Ibert, Françaix ma anche Stravinsky, Prokofiev e Bartók mi piacevano da morire. Musicisti che adoro, più vicini ai nostri tempi, sono invece Ligeti, Tiensuu, Gubajdulina, Sciarrino, Berio, Donatoni, Hosokawa, Lindberg, Magini, Rojko e alcuni minimalisti. In generale, apprezzo molto quei compositori dove, parafrasando Rossini, c’è del nuovo ma anche del bello.

Ivano BattistonLa tua prima partitura, almeno ufficialmente, è Rhapsody… Omaggio a Gershwin per 2 fisarmoniche. È un pezzo del 1986, “per principianti”, così come il successivo Notturno e Umoresca per fagotto e fisarmonica del 1987. Quale consideri il tuo primo “vero” pezzo per fisarmonica? Due aforismi (1988)? Che cosa esprimevi in quel brano o in quello che ritieni essere il primo più “compiuto”?

Due aforismi si può ritenere il mio primo “vero” pezzo per fisarmonica. È una composizione del 1988, avevo ventinove anni… Intrapresi lo studio della composizione, nel 1982, più che altro con l’intento di comprendere in modo più approfondito le musiche che suonavo. Poi, sentii che il mettere su carta alcune mie idee musicali mi dava molta soddisfazione e così cominciai, con autentico diletto, a scrivere musica. Nei Due aforismi si possono cogliere due elementi per me importanti: il primo è di carattere strumentale, cioè l’idea di una fisarmonica come strumento dell’anima e non per l’esibizione fine a sé stessa; il secondo, invece, compositivo, ossia un’elaborazione del materiale musicale molto concentrata, tipica di tante altre mie composizioni.

Da allora sono trascorsi davvero molti anni (naturalmente, con una signora non mi sarei mai espresso così…). Quanto e come è cambiato il compositore Ivano Battiston e quali elementi hanno contribuito alla sua trasformazione?

Quando studiavo con Bruno Coltro, una ferrea ricerca di disciplina caratterizzava tutti i miei lavori. Credo che anche in Italia arrivasse l’aria degli Internationale Ferienkurse für Neue Musik di Darmstadt e che il mio Maestro ne fosse influenzato. Anche se qualcosa di quella disciplina è rimasto nelle mie composizioni (Stravinsky diceva: “più regole mi do, più mi sento libero”), piano piano le mie scelte musicali sono andate verso una maggiore emancipazione di linguaggio e un’ecletticità tipica dei giorni nostri.

Quali tra le tue composizioni ritieni che rappresentino i “punti di svolta” del tuo percorso artistico?

Più che punti di svolta, parlerei di consapevolezze. Con la Danza degli Scacchi (1992), il cui organico è lo stesso del Carnevale degli Animali di Camille Saint-Saëns, mi resi conto che le mie composizioni potevano trovare degli apprezzamenti anche ai concorsi di composizione e questo fu molto importante per la mia autostima. Con quel brano, infatti, vinsi il secondo premio assoluto al Concorso di Composizione Umoristica di Roma, evento organizzato dal compianto Luigi Fait. Partecipai quindi ad altri concorsi, ricevendo quasi sempre lusinghieri apprezzamenti con primi e secondi premi, o segnalazioni, in ambito sia nazionale che internazionale. Con Tsunamis per flauto e fisarmonica (1996) divenni consapevole di voler lavorare soprattutto sull’esplorazione del suono nella sua intimità, nella sua essenza, nel suo colore e che anche i giochi ritmici più articolati e tortuosi mi entusiasmavano. Lilliput I (1998) per fisarmonica, invece, mi indicò che un’altra strada importante da percorrere era quella della composizione per la didattica. Avendo iniziato a insegnare la fisarmonica piuttosto presto, ho avuto spesso la necessità di colmare alcuni “vuoti didattici” che mi permettessero di offrire ai miei studenti degli strumenti per poter crescere in modo più completo. Lilliput è una raccolta di piccole forme musicali ispirata al Mikrokosmos di Béla Bartók e composta principalmente con i seguenti intenti didattici: offrire materiale musicale – al fisarmonicista munito di uno strumento a note singole – dalle primissime lezioni fino alle soglie di una preparazione di livello medio; condurre il giovane fisarmonicista verso una graduale esplorazione dello strumento, attraverso una partecipazione attiva alle problematiche dell’interpretazione musicale; aumentare l’abilità strumentale tramite un apprendimento basato sull’accrescimento dell’ambitus di suoni; introdurre lo studioso alla dimensione orchestrale della fisarmonica, realizzando anche composizioni ispirate alle tipicità degli altri strumenti musicali. Un altro ambito per me di grande interesse è quello d’ispirazione etnica: lavori come Ples (2013) per fisarmonica sola, Quattro canti popolari zumellesi (2001) per 3 chitarre, Sogno Africano (2003) per flauto, clarinetto e djembe sono soltanto alcuni esempi. Oggi, quindi, posso affermare che le strade che mi piace percorrere sono principalmente di tre tipi: sperimentale o “progressista”, didattica e d’ispirazione etnica.

Ho “studiato” il tuo catalogo. Oltre ai numerosi pezzi per fisarmonica sola o per più fisarmoniche, ce ne sono moltissimi per fisarmonica in ensemble davvero diversificati, che hanno solleticato molto la mia curiosità di appassionato di strumenti musicali e delle loro possibilità espressive. Da quali esigenze creative nascono questi connubi?

La mia generazione ha sofferto un pochino il fatto che ne La Tecnica dell’Orchestra Contemporanea di Casella – Mortari si trattasse la fisarmonica con sufficienza, anzi, additandola come un arnese musicale che non si amalgama con nessun altro strumento! Credo, quindi, che la voglia di riscatto sia stato il motore principale di questa rinascita cameristica dello strumento, oltre ovviamente al desiderio di sperimentare nuovi impasti sonori e nuovi colori. Il fatto di insegnare in un conservatorio, poi, mi ha stimolato a scrivere per i colleghi di musica da camera brani per organici inconsueti da loro stessi proposti. Ma anche quando l’organico sembra omogeneo, in verità all’interno dello stesso ci possono essere ruoli diversi, come in Movida, brano vincitore del Concorso di composizione per la didattica fisarmonicista “Bio Boccosi” del 2012. Tale composizione è stata pensata per un ensemble di 6 fisarmonicisti con differenti livelli di abilità strumentale e questo tipo di composizioni è quasi inesistente nel repertorio didattico, anche se tale configurazione scolastica è frequente nei conservatori e nelle scuole musicali. Tra le cose più bizzarre, mi piace ricordare la manifestazione romana Tutti a Santa Cecilia del 2009. L’Accademia di Santa Cecilia mi commissionò un paio di brani da eseguire per l’occasione. Nacquero così Rock.it (2009) e Galaxy VI (2009), che David Bellugi e il sottoscritto eseguirono, insieme a mille ragazzi della Scuola dell’obbligo, nella Sala Sinopoli, al Parco della Musica di Roma.

Per i nostri lettori faccio un breve elenco degli strumenti, che, nelle tue partiture, hai “associato” alla fisarmonica: flauto traverso, flauto dolce, clarinetto, sax baritono, sax soprano, fagotto, tromba, corno, pianoforte, chitarra, mandolino, violoncello, violino, djembe. E poi, orchestra d’archi e orchestra. Qual è, tra questi strumenti, quello foriero della “relazione più pericolosa” con la nostra fisarmonica? Il più complesso da indagare e per il quale scrivere…

Nessuno in particolare, dipende da come gli strumenti vengono utilizzati e da cosa vogliamo ottenere. Anche il pianoforte, considerato quarant’anni fa di difficile abbinamento alla fisarmonica, attraverso una scrittura appropriata può offrire felici e interessanti situazioni sonore. Tra quelli per cui non ho scritto nulla in abbinamento alla fisarmonica, citerei sicuramente l’organo, soltanto però per i problemi derivanti dall’accordatura che ne limitano le esecuzioni pubbliche.

Lo strumento che hai associato più volte alla fisarmonica è il flauto dolce. Perché questa scelta?

Ho suonato per anni ed effettuato concerti in tutto il mondo con David Bellugi, grande virtuoso del flauto dolce, purtroppo prematuramente scomparso cinque anni fa. Ho, quindi, approfittato di questa nostra grande amicizia e dei numerosi concerti che avevamo in programma per scrivere alcuni brani, tutti intrisi d’ironia com’era nel nostro carattere. Il più curioso è sicuramente il Double B Concerto – a musical self portrait per flauto dolce, fisarmonica e orchestra d’archi (2005), che eseguimmo in prima mondiale a Krasnoyarsk, in Siberia, e i cui tre movimenti rappresentavano, come specificato dal sottotitolo, i nostri tre principali interessi musicali: musica antica, musica colta contemporanea e musica etnica.

E – ne sono rimasto meravigliato, visti i tuoi trascorsi – quello che hai utilizzato meno è proprio il “tuo” fagotto…

Vero, forse la mission fisarmonicistica mi ha completamente assorbito e distratto! Ribadisco, comunque, che il fagotto rimane sempre nella mia anima di musicista e, probabilmente, qualche cosa di fagottistico esce anche dalla mia fisarmonica, soprattutto quando suono la musica antica. Non mancano, comunque, incursioni verso il mio “tubo” preferito come nei Due Sketch o nel recente Tre dediche, eseguito pochi giorni fa in Polonia dal fagottista Miroslaw Pachowicz e della fisarmonicista Elżbieta Rosińska. In questi giorni, in ogni caso, risuonano nella mia mente alcuni particolari studi “polifonici” per fagotto solo che presto metterò su carta.

Quale, o, meglio, quali ruoli affidi alla fisarmonica in questi dialoghi?

Dipende dal tipo di progetto. Nelle 4 miniature per mandolino e fisarmonica gli strumenti sono piuttosto dialettici, a volte trattati anche in un modo paritetico tipico della polifonia. In altri casi, invece, cerco un particolare amalgama, come in Totem, per fisarmonica e pianoforte. Nella maggior parte dei casi, però, tratto il mio strumento come un’orchestra portatile, ampliandone così l’arco delle possibilità espressive.

Tra le tue numerose composizioni per fisarmonica sola o per ensemble di fisarmoniche, quali rappresentano meglio la complessità dello strumento e le sue immense potenzialità espressive?

Le composizioni che possono offrire interessanti stilemi di scrittura fisarmonicista sono, secondo me, Ples (2013) per fisarmonica, Movida (2012) per sei fisarmoniche, Akkordeon Extreme (2002) per fisarmonica, Paganiniana (2000) per 2 fisarmoniche, Alter Ego (1997) per fisarmonica. Credo, inoltre, che in alcuni brani per fisarmonica e altri strumenti ci siano delle situazioni interessanti come, per esempio, in Postcards (2010) per sax (soprano e baritono) e fisarmonica, Tangram (2009) per flauto e fisarmonica, Totem (2006) per fisarmonica e pianoforte, Ghiribizzo (2003) per sax baritono e 2 fisarmoniche. In ogni caso la mia idea dello strumento fisarmonica rimane sempre quella di un mezzo che si deve esprimere in modo elegante, trasparente e nobile, come più volte ribadito.

Una fisarmonica per comporre e una per i concerti? Quale, o quali, sono i tuoi strumenti del cuore?

Più che di strumenti del cuore, parlerei di musica del cuore. Gli strumenti rimangono comunque dei mezzi, anche se in alcuni casi feedback emotivo e sonoro viaggiano insieme. Quando scrivo mi sento certamente più libero rispetto a quando suono e in quest’ultimo caso la ricerca di un certo grado di “oggettività interpretativa” mi obbliga ad avere più disciplina. Ma la curiosità d’esplorare il mio strumento, o di abbinarlo ad arnesi musicali anche molto lontani dalla mia storia musicale, è sempre tanta.

Una domanda che rivolgo a tutti i compositori: il fatto di essere anche un fisarmonicista concertista è un valore aggiunto per un compositore che si dedica a quello strumento?

Direi di sì, soprattutto quando si utilizza la tastiera sinistra con bassi e accordi precomposti, i cosiddetti bassi standard. Quando i più celebrati compositori utilizzano questo tipo di tastiera ne fanno spesso un uso banale o inappropriato mentre i migliori esempi di scrittura in questo ambito sono sempre quelli dei fisarmonicisti compositori. Talvolta, però, scrivere per il proprio strumento ci può portare verso un autocompiacimento strumentale, a discapito di una costruzione musicale più profonda e solida.

Quale percorso di ricerca sta orientando, attualmente, i tuoi passi di compositore?

Sono sempre più affascinato da una costruzione musicale in cui l’interprete possa avere un ruolo attivo. Nella mia serie di brani denominata Galaxy, per organici vari, l’esecutore ha facoltà di suonare una, più di una o tutte le linee da me proposte, da sole o insieme, complete o incomplete, eventualmente ripetute e anche ritmicamente variate. È quindi il gusto personale e la sensibilità dell’interprete a guidarlo, creando ovviamente ogni volta configurazioni e risultati diversi. La mia attuale direzione, quindi, è orientata verso sonorità sempre più distillate e libere, verso il silenzio in forma dialettica con il suono e verso la sospensione tensiva. Uno dei primi esempi del genere si può trovare in Galaxy I e II.