Kay McCarthy: Respirare le canzoni
Intervista alla cantautrice irlandese
Questa volta abbiamo intervistato Kay McCarthy, che potremmo definire una pioniera della cultura gaelica in Italia e una musicista che, sicuramente, ha contribuito a rafforzare l’attrazione del pubblico italiano verso la musica irlandese. In questa conversazione, abbiamo tracciato, per quanto possibile, il suo percorso musicale e di vita, in cui le origini dell’ “Isola di Smeraldo” s’intrecciano con la vita in Italia da ormai più di cinquant’anni, fatta di incontri, persone ed eventi. Ringrazio moltissimo Kay per avermi concesso questa occasione.
Nonostante la sua carriera già avviata in Irlanda, il suo debutto in Italia risale agli anni Settanta. Com’è stato il primo impatto con un pubblico per lei nuovo e forse poco abituato a certi suoni? Anche se ha iniziato dal Folkstudio di Roma, dove si presume che ci sia stato un pubblico già interessato a un determinato genere musicale.
La prima volta che ho cantato in pubblico in un locale italiano fu una domenica pomeriggio intorno alla Pasqua del 1974, al Folkstudio di Roma, quando chi credeva di avere qualcosa da offrire al pubblico si esibiva al “Folkstudio Giovani” proponendo un paio di brani. Io cantai due canzoni in gaelico, a cappella. Nel 1969, alcuni amici mi avevano già proposto di presentarmi al Folkstudio, ma anche se non sono timida quando sono sul palcoscenico, non sono brava ad autopromuovermi. Negli anni, infatti, è stato mio marito, Piero Ricciardi, a occuparsi della promozione della nostra musica. Nel 1974, fu invece un collega del Liceo Sperimentale Unitario di Roma dove insegnavo, Stefano Palladini, il quale cantava i sonetti di Giuseppe Gioachino Belli al Folkstudio, a spingermi ad andare alle “selezioni” che si tenevano nel club ogni domenica pomeriggio. L’addetto al palco segnava i nomi degli aspiranti su un foglietto e chiedeva a ciascuno di presentare chi lo seguiva nella lista: io fui introdotta dal bravissimo, compianto, Stefano Rosso. Non mi ricordo chi venne dopo di me quel pomeriggio. Quando mi contattò Giancarlo Cesaroni, “the Boss”, mi consigliò di trovare un accompagnatore: ci misi tre anni a trovare la soluzione. Nel frattempo, presi parte al bellissimo spettacolo musico-teatrale Quando il tuo Mondo è un’Isola dove il compositore, scrittore e regista Silvano Spadaccino insieme a noi (Rosalba Mereu, Rosina Putzu, Antonio Gavino Sanna e me) tesse una tela di canzoni e storie della Sardegna e dell’Irlanda, che si replicò per ben trentuno serate al teatro Ripagrande di Roma, dove oggi c’è il locale Big Mama. Durante questo spettacolo, venne a sentirci un gruppo di giovani, sei romani e un inglese, che suonava un repertorio misto di danze e canzoni irlandesi, scozzesi e inglesi sotto il nome di Black Jack Davy. Dopo un secondo incontro all’unico pub irlandese della capitale di allora, ci mettemmo d’accordo di collaborare, a patto che il gruppo cambiasse nome. Proposi loro di chiamarci Róisín Dubh e così fu.
Nel 1977, quando abbiamo cominciato a fare serate al Folkstudio, il pubblico già conosceva la musica di gruppi irlandesi come i Chieftains, specialmente dopo il successo del film Barry Lyndon (1976), dove la musica del gruppo dublinese figurava nella colonna sonora. Nel frattempo, nel 1975, un gruppo italiano dal nome Whisky Trail si era formato a Firenze e cominciò a proporre un repertorio di musica detta “celtica”: si direbbe che in quegli anni ci fu una specie di momento assiale che fece nascere una passione per la musica tradizionale irlandese, scozzese, inglese e bretone. Credo che anche l’interessamento del pubblico italiano per la questione irlandese, i cosiddetti “Troubles” dell’Irlanda del Nord, abbia acuito la passione del pubblico per tutto ciò che riguardava l’Irlanda. Dopo la nostra prima serata al Folkstudio, Róisín Dubh divenne uno dei gruppi di musica irlandese più gettonati d’Italia. Dopo alcuni anni, lasciai i Róisín Dubh e cominciai a presentarmi con il mio nome e cognome.
Viene spesso definita “ambasciatrice della musica irlandese in Italia”, proprio per essere stata probabilmente una delle prime ad avvicinare il pubblico italiano a questo tipo di musica e per il suo intenso lavoro artistico. Si riconosce in questa definizione?
Mi fa piacere questo gentil riconoscimento, ma lo prendo con la giusta dose di sale (cum grano salis). Non sono stata la prima a cantare canzoni irlandesi a Roma, credo, ma forse la prima a farlo in lingua gaelica e in pubblico. Durante la seconda guerra mondiale, parlando di ambasciatori, la moglie dell’ambasciatore irlandese presso la Santa Sede, Delia Murphy, già famosa come cantante professionista in Irlanda, cantava per i suoi connazionali durante l’occupazione nazista della città, specialmente per i giovani studenti del collegio pontificio irlandese, bloccati a Roma a causa della guerra. Non solo, ma insieme al famoso Monsignor Hugh O’Flaherty (noto come “la primula rossa del Vaticano” e celebrato nel famoso film Scarlatto e nero con Gregory Peck nel ruolo del monsignore e Christopher Plummer nel ruolo del Colonello Herbert Kappler) aiutava le persone ricercate dai nazisti e dai fascisti a rifugiarsi dentro al Vaticano e in vari conventi della città.
Tornando a me, sono contenta di avere portato la mia versione della nostra cultura in Italia: ognuno di noi inventa la storia delle proprie esperienze e percezioni da narrare quando si presenta in pubblico. Infatti, oltre a cantare il repertorio della cosiddetta “Isola di Smeraldo”, presento la storia del Paese e cerco di collocare nel loro contesto i testi delle canzoni, specialmente quelle in lingua gaelica: a questo proposito, negli anni, diversi italiani sono venuti da me per studiare la lingua irlandese e con una di loro, Anna Fattovich, ho scritto una grammatica della lingua gaelica d’Irlanda “a quattro mani”.
Se dovesse pensare al suo percorso musicale, come direbbe che è cambiata la sua musica dagli inizi in Irlanda a oggi?
Ho sempre cantato, fin da bambina. In Irlanda, in famiglia, tra amici, a scuola la musica era protagonista e alle superiori ho studiato in un convitto femminile dove la musica era tra le materie a scelta più importanti: bisogna spiegare che in Irlanda non esistono indirizzi negli istituti secondari, ma solo cinque materie di base (core subjects) insieme a una rosa di materie a scelta offerte dalle singole scuole. Fin da piccola, ho sempre cantato nel coro sia della chiesa, sia della classe. Dall’età di dieci fino all’età di diciott’anni, ho partecipato a tutti i “feiseanna” (festival di cultura tradizionale) dove venivano premiati i più bravi. Nel convitto avevamo un’orchestra e un coro femminile a tre voci (soprano, mezzo soprano, contralto) che vinceva molti premi ai concorsi nazionali per cori scolastici. Inoltre, ogni anno, prima delle vacanze di Natale, mettevamo in scena per un pubblico pagante, un’operetta dove, essendo tutte ragazze, recitavamo i ruoli anche dei personaggi maschili. All’università, ho fatto parte del coro dell’ateneo, sempre come contralto, mentre recitavo con la filodrammatica, che ogni anno metteva in scena opere di prosa.
In Italia, ho avuto la fortuna di incontrare tanti musicisti, quasi tutti diplomati nei conservatori italiani, disposti a collaborare con me, scrivere canzoni con me e definirne gli arrangiamenti, contribuendo così alla creazione di un sound particolare che credo ci distingua. Per alcuni anni, una bella belfastese, Ruth Mulvenna, che ora abita a Tokyo, ha eseguito le tipiche danze irlandesi quando il gruppo suonava reel, gighe e hornpipe. Ora, da anni, un’amica romana diplomata in danza irlandese, Maria Matricardi, ha preso il suo posto per il puro piacere di danzare con noi.
Nel suo repertorio troviamo, andando avanti con gli anni e con le uscite più recenti, sempre più brani inediti (forse potremmo definire Am, 2000, l’album di svolta in questo senso) in cui il racconto della tradizione irlandese e della cultura gaelica si intreccia con visioni attuali e con il presente. C’è un filo conduttore che unisce i vari momenti musicali della sua carriera, nonostante l’evoluzione?
C’è una specie di fil rouge che collega tutto: si tratta di un intreccio tra melodie modali e, spesso, l’uso della lingua gaelica nella composizione dei testi. Fino all’uscita dell’LP Stormy Lullaby (1983) non avevo mai provato a scrivere qualcosa. Incoraggiata da Piero decisi di provarci, e così nacquero due canzoni, Stormy Lullaby e A Sword of Steel. Sul primo CD, Arís (1995) si trovano, oltre a diverse rielaborazioni come Ocras e Alba, le composizioni originali Arís, Buttercups and Daisies e Ag fillead Abhaile. Ma l’album che contiene più inediti di brani tradizionali è Am.
A questo proposito, come è avvenuto il passaggio da un repertorio prevalentemente tradizionale a uno prevalentemente fatto di inediti? Quali obiettivi si è posta e si pone nei suoi brani, oltre a quello di raccontare la sua terra d’origine?
Come appena detto, la transizione è avvenuta gradualmente e, più recentemente, abbiamo (Piero e io) sentito la necessità di trattare avvenimenti dei giorni nostri, come la guerra moderna e le sue vittime civili, bambini in particolare, come nella canzone Pléascáin Glice (“Bombe intelligenti”) sull’album Rianta (2004).
C’è qualcosa o qualcuno che l’ha ispirata o spinta a fare musica e a raccontare la sua terra anche in Italia?
Ho sempre cantato e devo molto a mia nonna materna che era un’ottima cantante. In estate passavo dei mesi da lei, l’ascoltavo mentre cantava e senza rendermene conto ho imparato decine di canzoni tradizionali. Come ho detto prima, la musica è protagonista in ogni occasione in Irlanda: una serata con amici dove manca la musica è inconcepibile. Ascoltavo molto la radio in decenni (Cinquanta e Sessanta) quando in Irlanda non c’era ancora la TV, che arrivò nel 1962. Oltre alla musica, un altro fil rouge culturale che ha dominato la mia infanzia e adolescenza è stata la storia. Mio padre, Kevin McCarthy, mi fece venire la passione per la storia raccontando le eroiche gesta degli O’Neill e degli O’Donnell che si batterono contro la Regina Elisabetta I d’Inghilterra. A proposito, due di questi sono sepolti a Roma sotto il pavimento della chiesa di San Pietro in Montorio. Non a caso, la mia laurea irlandese è in storia, oltre che in inglese e in lingua e letteratura italiana.
Raccontare la sua terra e la cultura gaelica ha significato trasporre in musica anche le sofferenze subite dal popolo irlandese e affrontare tematiche sociali delicate. Con quale scopo le inserisce nei suoi brani? Si tratta di un processo “naturale” che la porta a esprimere certi pensieri in un linguaggio che le è vicino come quello musicale, in tutta la sua potenza espressiva?
Moltissime canzoni tradizionali irlandesi e scozzesi narrano delle varie sconfitte subite nei secoli dai due popoli. Oggi, cerco di andare oltre la narrazione dei mali del passato e affrontare temi che riguardano la contemporaneità: la canzone Nothing at all, sull’album Rianta, parla di un femminicidio, mentre quasi tutte le canzoni su L’amore tace (2013) narrano eventi e fenomeni dei giorni nostri.
Dietro ai suoi brani c’è sicuramente una grande attività di ricerca e studio, ci porti un po’ dentro il suo mondo se le va.
Le canzoni tradizionali che presento non hanno richiesto una ricerca particolare: sono le canzoni che ho appreso dalla nonna e a scuola. Ho imparato tante canzoni senza accorgermene, direi che le respiravo quasi come l’aria. È un patrimonio che credo chiunque nato in Irlanda ai tempi miei condivida. Come ho appena detto, la passione per la storia ha fatto tutto il resto e studiare la storia non mi ha mai pesato: divoravo i libri senza fatica e il fatto di avere molta memoria è stato di grande aiuto. Sono affascinata dai “corsi e ricorsi” vichiani della storia: anche se i dettagli tecnici e tecnologici cambiano, alcune modalità comportamentali sembrano riproporsi. Inoltre, credo fermamente nel lifelong learning e studio sempre con grande piacere: conoscere e capire mi gratifica e posso dire, perfino, che mi diverte. La mia curiosità è insaziabile!
Oltre a essere una grande musicista, ci ha detto di essersi laureata in storia moderna e in lingua e letteratura italiana in Irlanda e in lingue e letterature moderne in Italia. Ci racconti qualcosa in più: questi percorsi s’intrecciano in qualche modo con il suo lavoro artistico?
Nel 1969, sono venuta a Roma con una borsa di studio del governo italiano per studiare gli irlandesi nell’esercito di Pio IX. Il titolo della tesi che stavo scrivendo era Da Castelfidardo a Porta Pia. Ma quando morì all’improvviso il Professor G.A. Hayes-McCoy che mi seguiva, ho regalato le mie note a un’amica e ho deciso di seguire un altro percorso: insegnare la lingua inglese nelle scuole statali d’Italia. Nel 1972, Piero e io ci siamo sposati al Campidoglio di Roma, il che mi ha permesso di acquisire la cittadinanza italiana, prendermi una laurea italiana e insegnare nelle scuole di Stato. Insegnando al Liceo Sperimentale Unitario di Roma ho conosciuto Stefano Palladini, che, ho detto prima, mi ha spinta a presentarmi al Folkstudio. Insegnando e seguendo gli studi di nostra figlia Antonietta, mi sono resa conto che tra le “materie Cenerentola” dell’ordinamento scolastico italiano si trova la musica.
Il suo ultimo album L’amore tace (2013) è l’unico con un titolo in italiano. In che cosa si distingue dagli altri?
Quasi tutti i testi delle canzoni in questo album sono in lingua italiana. I temi, di attualità, tra cui il femminicidio e il naufragio dei profughi, per esempio, sono stati scritti da Piero e rielaborati da me. Ogni canzone è una composizione a quattro mani con un amico musicista che poi ha registrato l’album con me.
Lasci un messaggio per i nostri lettori, se le va.
Ci sono solo due tipi di musica: musica e non-musica. Che cosa sono? Ognuno di noi decide quale musica riesce a emozionarci.
“Sono particolarmente grata” alla mia corte di bardi fedelissimi” che suonano con me da tanti anni: Susanna Valloni (flauti dolce e traverso, ottavino e whistle irlandese), Cristiano Brunella (violino) Fabio de Portu (chitarre), Stefano Diotallevi (pianoforte e tastiera), Piero Ricciardi (bodhrán).
Mille grazie ragazzi!!!”
(Foto in evidenza di Josepha van Gennip)
DISCOGRAFIA
Róisín Dubh (Fonit Cetra-Folkstudio, 1978 – LP)
Stormy Lullaby (RCA International, 1983 – LP)
Arís (Helikonia Recording, 1995 – CD)
Níl Sé ‘na Lá (Evvenimenti/Helikonia Recording, 1996 – CD)
Fadó, Fadó (Helikonia Recording, 1998 – CD)
Am (Helikonia Recording, 2000 – CD)
Crossaire (Helikonia Recording, 2000, Limited Edition – CD)
Rianta (Storie di note, 2004 – CD)
Kay McCarthy live in Rome, Villa Ada (Storie di note, 2005 – CD)
Quintessence (Helikonia Recording, 2006 – CD)
L’amore tace (Storie di note, 2013 – CD)