La crescita della sensibilità dopo la sofferenza

Il cambiamento umano e artistico di Enrico Capuano

121

Enrico Capuano - PH Tania AlineriEnrico Capuano è considerato dalla stragrande maggioranza degli addetti ai lavori il pioniere del nuovo folk rock italiano. Il noto cantautore romano vive di musica, e per la musica, per trasmettere energia positiva al pubblico, per inculcare i veri valori della vita – attraverso le sue canzoni – alla gente che lo ascolta, esprimendosi con toccante autenticità e trasporto emotivo, affrancandosi totalmente da concetti dogmatici e senza mai farsi condizionare dalla moda del momento, bensì credendo fortemente nelle sue idee. In questa chiacchierata si racconta senza filtri, passando dalla sua infanzia musicale a un trapianto di cuore che gli ha salvato la vita, fino alle sue esperienze da artista affermato a cui è particolarmente legato.

Sei considerato l’antesignano del nuovo folk rock italiano, innervandolo con uno spirito innovativo che ha influenzato la musica italiana negli anni successivi. Come e quando è nato questo processo evolutivo?

Fin da bambino seguivo il gruppo musicale dei miei fratelli, chiamato cooperativa Lavoro Culturale, che suonava folk progressivo. Loro, grazie a Ivan Della Mea, erano collegati al nuovo canzoniere italiano, una struttura che aggregava tanti artisti e formazioni legate al folk e alla canzone operaia negli anni Settanta. L’ idea di un folk in trasformazione mi ha sempre affascinato. Ascoltando una band molto innovativa all’epoca chiamata il Canzoniere del Lazio, e la prima tarantella rock della storia, cioè il brano È Festa della PFM (Premiata Forneria Marconi, n.d.r.), capii che si poteva fare. Cominciai prima timidamente, e poi sempre più marcatamente, a mescolare il rock con le tradizioni popolari italiane – e fin dai primi anni Ottanta lavorai in questa direzione. Nella mia vita ho avuto la fortuna di fare un tour con Franz Di Cioccio della PFM chiamato Franz Di Cioccio ed Enrico Capuano in Tammurriatarock. Fu una soddisfazione immensa per me essere sul palco con uno dei miei miti.

Già a soli dodici anni conducevi il programma Folk in Lotta nelle radio libere romane. Da lì, lo studio del canto contadino nel laboratorio di Giovanna Marini presso la “Scuola Popolare di Musica di Testaccio” a Roma. Dal punto di vista tecnico, interpretativo e stilistico, quali sono le principali peculiarità del canto contadino?

Tantissime, ovviamente. Ma ne cito alcune tanto per capire di cosa stiamo parlando. Nel canto popolare, il pentagramma, così come lo conosciamo oggi con le sette note e le distanze di tono, decise dalla scala detta “temperata” dovuta alla teorizzazione di Werckmeister nel 1691 che oggi impariamo, è distantissimo dal quel mondo popolare e contadino. Le note del canto contadino storico sono tantissime, si può parlare tranquillamente di quarti di tono. Gli strumenti utilizzati suonano accordi minori e maggiori senza accavallarsi, il cantante respira anche dentro le parole, la voce in maschera era una condizione diffusa, l’impostazione diaframmatica che conosciamo oggi non esisteva. Ci sono i contesti, le ritualità, i canti del lavoro e la festa che condizionano molto gli stili, a partire dal timbro. Sarebbe bello parlarne di più. In questo senso gli studi effettuati da Giovanna Marini sono preziosi, oppure gli studi del professor Diego Carpitella, antropologo ed etnomusicologo italiano, o del famosissimo Ernesto De Martino, possono far comprendere meglio a chi è interessato qual è il contesto in cui ci stiamo muovendo.

Sei fra i fondatori dell’etichetta discografica indipendente “Tide Records”. Qual è il manifesto e quale l’obiettivo primario di questa label?

Sono partito da una prima label chiamata “Monitor” – e passando attraverso la “Tide Records” sono poi approdato vent’anni fa alla “Blond Records”. Queste tre esperienze sono state sempre caratterizzate dalla ricerca di promuovere buona musica e che abbia contenuti da trasmettere. Con la Tide Records, tra tanti nomi interessanti, abbiamo prodotto un bellissimo disco di Claudio Lolli, uno dei cantautori italiani storici amico di Francesco Guccini.

Sempre in ambito di produzione discografica, come da te già accennato, nel 2001, nasce la tua etichetta “Blond Records”, il cui intento è quello di promuovere musica di qualità affrancata dall’omologazione tra il folk e il rock. Secondo la tua visione della musica, come ci si può svincolare dalla standardizzazione proprio fra questi due generi?

Nello spirito. Il rock nella cultura del rock and roll e nella vicenda dei figli dei fiori sono l’esempio di cosa significhi uscire fuori dalle righe di un certo moralismo. L’autenticità prevale sulla pura estetica. Ma qui serve anche un lavoro di crescita e apertura mentale di chi ascolta musica. La scuola italiana, e spesso le istituzioni, sottovalutano questo aspetto della crescita umana.

Enrico Capuano - PH Tania AlineriNel 2002, sei stato in Iraq per una serie di concerti contro la guerra. Sotto l’aspetto umano e musicale, che tipo di accoglienza hai ricevuto?

I ragazzi conosciuti in Iraq in quel 2002 erano come i nostri ragazzi (i ragazzi italiani, n.d.r.), con la voglia di vivere, divertirsi e costruire una vita migliore. Noi eravamo lì come artisti senza confini e dogmi da imporre, ma nel segno della pace contro le guerre sostenute sempre dal profitto di qualcuno. Musicalmente le culture folk comunicano molto più di quanto pensiamo. Abbiamo suonato al “Palestina”, un hotel dove si stagliava un’enorme statua di Saddam Hussein che poi fu abbattuta. Ricordo i tanti giovani venuti al nostro concerto, eravamo un gruppo di artisti, poeti e giornalisti. Tra questi vorrei ricordare un cantautore scomparso che si chiamava Kuzminac e gli amici calabresi del Parto delle Nuvole Pesanti.

Nel 2016 sei stato salvato grazie a un trapianto, a causa di gravissimi problemi cardiaci. Per questo hai dedicato alla ragazza donatrice il tuo album intitolato “Viva”. Questa esperienza così toccante ha segnato e ha cambiato la tua vita anche in campo artistico?

Certo, umanamente e artisticamente. La mia sensibilità è aumentata. Il valore della vita è importante come il tempo, una delle cose che spesso ci rubano. Il mio “angelo” che mi ha donato il cuore mi ricorda sempre l’importanza di donare positività al pubblico, servirsi della musica per dire delle cose non solo come un qualcosa legato al proprio ego. Mi ritengo fortunato di essere ancora in vita, di vivere suonando, di aver vissuto emozioni bellissime come suonare dodici volte su Rai 3 in una piazza strapiena al “Concerto del Primo Maggio”, di aver presentato tre edizioni nella fascia pomeridiana “senza santi”, ma da indipendente e da figlio della classe operaia – e di dare un senso a tutto questo portando valori positivi e interessanti tra la gente. Grazie a lei, con infinito amore e gratitudine.

A proposito di pubblicazioni discografiche, al momento hai realizzato otto progetti. Quale fra questi rappresenta più significativamente la sinossi della tua sensibilità musicale?

Sempre l’ultimo, finché scriverò brani. Chi mi conosce sa bene che la mia scelta di artista indipendente è stata sempre e solo una mia scelta. Non voglio inseguire mode imposte, ma solo idee che mi piacciono. La musica è un fatto artistico, non solo commerciale.

Soffermandosi invece su progetti discografici per l’immediato futuro, nel 2023 è prevista la pubblicazione di un nuovo singolo intitolato Milano è Sud. Qual è il mood e quali temi tratti in questo brano?

La musica nasce da un vero e proprio sogno di leggerezza. Ero ad Amsterdam – e anche se non fumo né sigarette né marijuana, non per convinzioni moralistiche ma perché non sono portato, mi trovavo con amici in un Coffee Shop. Ovviamente fumavano tutti, quindi ho iniziato a pensare a tante cose. Vedevo che quelli che lavoravano lì erano tutti giovani italiani, per cui pensando al nostro Sud Italia, dove si annidano tanti problemi, mi è venuta in mente insieme alla cantautrice Dunia Molina, anche lei di Tammurriatarock, che era lì nella stessa dimensione anche mentale, di scrivere un testo leggero, visionario e ironico che spiegasse che ogni posto del mondo è a sud di qualcos’altro, che tutto è sud. Dunque, abbiamo cominciato a canticchiare fino a scrivere il ritornello. A mio parere è venuto fuori un piccolo capolavoro, il pubblico giudicherà. Saluti folk rock a tutti voi.

 

(Foto di Tania Alineri e Blond Records)

 

GUARDA IL VIDEO