Renzo Tomassini: un successo tra grinta e determinazione

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Renzo TomassiniMolti di noi hanno ben impresso il suggestivo spettacolo che i mitici All Blacks regalano quando scendono in campo. Prove di forza e di sana lealtà sportiva alla quale noi, “inguaribili calciofili”, siamo a dir poco disabituati, un’ostentazione di superiorità che condiziona e intimorisce l’avversario introdotta dall’intonazione della Ka Mate, la più celebre forma di Haka, la danza Maori eseguita ritualmente prima di ogni contesa. Una sfida dove la sostanza degli equilibri tattici risiede nello stratega di turno, la cui abilità consiste nell’adottare la tattica più idonea e congeniale per aggredire e sopraffare l’avversario e, soprattutto, nella forza e nella determinazione che anima i soggetti contrapposti. Forza, grinta e determinazione: qualità indispensabili anche per emergere e distinguersi nella vita quotidiana e che caratterizzano altresì il personaggio di cui sto per parlarvi. Un cosiddetto “duro”, dove per duro s’intende un uomo consapevole dei propri mezzi e deciso a giocarsi le proprie carte senza timore, né riverenza alcuna.
Renzo Tomassini nasce a Spello il 20 luglio del 1965; eredita la passione per la fisarmonica dal padre Tommaso, un talentuoso musicista dotato di quell’orecchio assoluto che gli permette di ben figurare e di sopperire ai limiti tecnici dati dall’impossibilità di esercitarsi con costanza e metodologia. La sua formazione musicale è affidata, sin dall’età di nove anni, alla sapiente direzione del M° Celestino Lepri, un validissimo insegnante ternano molto apprezzato negli ambienti didattici e complice della maturazione artistica di tantissimi pianisti e fisarmonicisti. Si applica con abnegazione e costanza in quegli studi classici che saranno la base di una preparazione tecnica eccellente e partecipa a numerosi concorsi, nazionali e internazionali, conseguendo anche discreti risultati.
Il bivio del suo percorso pedagogico è segnato dal passaggio a uno strumento a bassi sciolti che gli avrebbe consentito di sperimentare nuove tecniche di esecuzione, adottate anche dagli insegnanti del C.D.M.I. e molto diffuse soprattutto nell’est europeo. Ma la sua volontà va a scontrarsi con l’intransigenza del padre, che ha una concezione della fisarmonica ben diversa e così, dopo una (breve) pausa di riflessione, si avvicina a quella realtà che lo vedrà protagonista negli anni a seguire.
A diciassette anni inaugura la prima (omonima) formazione orchestrale che lo porterà, grazie all’avvicendamento di musicisti preparatissimi, all’affermazione e alla consacrazione nei contesti da ballo di tutta la penisola e anche fuori dall’Italia. La sua è un’escalation veloce, figlia di un temperamento forte e deciso e di una dedizione al lavoro puntigliosa e meticolosa, la stessa che, dopo oltre venticinque anni di professione, sfoggia con fierezza anche nel corso di questo breve dialogo, nel quale ci svela sensazioni e progetti.

Vorrei introdurre questa breve conversazione con dei complimenti sinceri per la passione e per il sentimento che traspare dalle tue esibizioni e da quelle dei tuoi orchestrali. La grinta e la determinazione con cui affronti il lavoro sono ben note negli ambienti della musica da ballo, ma, personalmente, apprezzo ancor di più il tuo impegno perché sei uno di quelli che (ancora) “ci mette la faccia” limitando l’uso della tecnologia alla resa acustica e all’impatto scenico dell’orchestra.

Se per tecnologia s’intende l’utilizzo di sequencer e lettori di basi musicali, beh… Prova a chiedere a musicisti diplomati come quelli che ho in organico se, dopo anni di studi e sacrifici, quali i lunghi spostamenti cui siamo ripetutamente sottoposti e l’allestimento del palco, che almeno nel caso nostro è veramente imponente, preferiscono suonare e dare dimostrazione della propria abilità o umiliarsi dietro a una sequenza pre-registrata. Le innovazioni vanno usate nella giusta maniera e io ho sempre avuto una predilezione per tutte quelle novità che permettono a un artista di valorizzare e ottimizzare le proprie prestazioni. Il pubblico è abituato agli standard dati dalla perfezione degli strumenti virtuali e dai supporti a cui ormai rinunciano veramente in pochi e per avere un risultato analogo, oltre a professionisti veramente in gamba, occorre dotarsi di una strumentazione e di un sistema di diffusione acustica che faccia risaltare le prestazioni di ogni singolo elemento. E questo lo fanno in molti. Poi, però, bisogna anche sapere usare il materiale di cui si dispone e, non a caso, per ottimizzare la resa sonora del mio impianto, ho ripetutamente partecipato ai corsi di fonica organizzati dalla Grisby Music con gli ingegneri della Meyer Sound.

Dopo tanti anni trascorsi a suonare nei locali e nelle piazze più importanti d’Italia, dopo migliaia di chilometri percorsi e nottate insonni, qual è la molla, la motivazione, fatta eccezione per il “vil denaro”, che esorta un artista nel continuare a mettersi in gioco?

I soldi che girano negli ambienti della musica da ballo non ripagano certo dei sacrifici cui siamo sistematicamente sottoposti. Mantenersi ad altissimi livelli richiede un’abnegazione e una dedizione assoluta allo strumento il quale diventa parte integrante della nostra vita, una sorta di “alter ego” che condivide in simbiosi tutte le emozioni, quelle esaltanti e quelle avvilenti, che caratterizzano il percorso di un’artista. Spesso, poi, ci si dimentica che la giornata lavorativa di un orchestrale non è circoscritta esclusivamente alla prestazione musicale, alla singola esibizione e, se si considerano gli spostamenti e gli allestimenti, i compensi per i musicisti a volte sono veramente inadeguati. Fatta eccezione per queste “futili” considerazioni, il palco è la mia vita e io… se non suono sto male. Detto ciò, non riuscirei a immaginarmi in nessun altro ruolo, neanche la certezza di uno stipendio fisso e di un lavoro più sedentario mi gratificherebbe quanto questa vita “un po’ zingaresca” alla quale tutti noi siamo particolarmente affezionati.

Renzo TomassiniTorna per un attimo bambino e cerca di essere sincero… lo rifaresti ancora?

Sì, senza ombra di dubbio! E proverei a soddisfare anche il mio unico rimpianto che è quello di non aver dato seguito agli studi classici con uno strumento a bassi sciolti.

Hai mai avuto dei punti di riferimento? Ti sei mai ispirato a qualcuno in particolare? Il tuo modo di suonare e la configurazione del tuo repertorio lasciano supporre una predilezione e una predisposizione per lo stile del “vecchio Castellina”. Ti riconosci in queste mie affermazioni?

In effetti, agli inizi della mia carriera mi chiamavano il “Castellina dell’Umbria”, vuoi per lo stile pulito ed essenziale che caratterizzava le mie esibizioni, simile a quello del celebre Maestro Roberto Giraldi, vuoi per la gran parte dei suoi successi presenti nella mia scaletta. Oggi, ad eccezione di quattro/cinque classici intoccabili, il mio repertorio è stato integrato quasi esclusivamente con brani di mia composizione, un altro traguardo che mi riempie di orgoglio, l’ennesimo sogno coronato. Tornando alla domanda iniziale, forse c’è un fisarmonicista che più degli altri ha influenzato il mio modo di suonare e di propormi al pubblico; ho sempre avuto una grande ammirazione per Al Pedulli, un grande musicista, magari non dotato di una tecnica sopraffina, ma provvisto di un gusto musicale veramente fuori dalla norma.

Renzo Tomassini non è solamente un valente fisarmonicista, c’è dell’altro. Quand’è che ti sei accorto di essere particolarmente bravo anche a scrivere brani?

Io l’ho sempre saputo, sono gli altri che se ne sono accorti solo ora. Scherzi a parte, mi diletto a scrivere canzoni da tantissimi anni e oggi posso dire di aver azzeccato un filone che piace alla gente, che contribuisce alla mia consacrazione e a quella dell’orchestra.

Ce n’è uno a cui sei particolarmente legato e che magari ha segnato una svolta nella tua prolifica carriera di compositore?

El Chiquito è un brano eseguito ormai in tutte le piazze e le balere d’Italia, una bella soddisfazione e non solamente in termini di diritto d’autore. Poi ce ne sono tanti altri di cui vado particolarmente fiero.

Il tuo talento non è passato inosservato ai grandi produttori e da anni i tuoi brani sono editi dalle più importanti etichette discografiche. C’è una persona, un musicista cui devi riconoscenza e che ha contribuito in misura maggiore alla tua consacrazione artistica?

Senza falsa presunzione, no. Mi sono fatto da solo e non devo dire grazie a nessuno.

Chiudiamo con la più scontata e la più rituale delle domande: cosa farai da grande?

Mi piacerebbe chiudere la carriera da professionista allestendo una Big Band sullo stile di quella che per anni ha accompagnato le esibizioni del grande Gorni Kramer e proporre la mia musica con arrangiamenti e accorgimenti armonici mirati ad una formazione che preveda l’utilizzo di un’imponente sezione di fiati. Chissà? Magari riuscirò a realizzare anche quest’ultimo desiderio…