Carlo Sampaolesi: sperimentare per alimentare la creatività

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Carlo SampaolesiAnimato da una morbosa curiosità, nonché sempre desideroso di sperimentare nuove soluzioni stilistiche e sonore, il giovanissimo e talentuoso fisarmonicista Carlo Sampaolesi descrive i passi della sua carriera ed espone i suoi progetti artistici.

Seppur giovanissimo, grazie al tuo irrefutabile talento, hai già tenuto una pletora di concerti in Italia e all’estero, oltre a figurare in prestigiosissimi festival, su tutti “Il Premio Internazionale della Fisarmonica di Castelfidardo”. Ma ti sei specializzato nel repertorio fisarmonicistico contemporaneo e nella letteratura bachiana. Queste due dimensioni stilistiche sono quelle che più ti appagano sotto l’aspetto tecnico e interpretativo?

«Assolutamente sì. Ritengo che entrambe queste due letterature abbiano molteplici affinità, nonostante apparentemente si possa pensare il contrario, visto il grande arco temporale che le separa. Sono sempre stato enormemente affascinato dalla letteratura bachiana, da fisarmonicista, ma ancor prima da piccolo musicista che l’ascoltava in casa dai fratelli e dai genitori. Ho avuto la grande fortuna, sempre, di incontrare nel mio percorso maestri che hanno coltivato questa mia propensione con estrema dedizione, facendola diventare un carattere musicale di cui ora non posso fare a meno. Non dimenticherò mai, tra tutte le lezioni, che ho avuto il grandissimo piacere di seguire il M° Simone Fermani a Milano, eccellente direttore d’orchestra e raffinatissimo musicista. Quegli incontri in cui si lavorava su Bach, per giornate intere, mi rimarranno sempre come ricordi e insegnamenti indelebili nella mente. Quando, più avanti, ho intrapreso lo studio del repertorio fisarmonicistico contemporaneo, ho ritrovato in questo moltissime peculiarità con la musica bachiana. In primis, entrambi questi universi richiedono una dedizione e meticolosità nell’approccio allo studio pressoché identica, secondo me. Tutto ciò che troviamo scritto nella partitura è precisamente in quel modo perché ha necessità di esistere così. Ho scoperto e coltivato, poi nel tempo, un mio grande interesse per la contemporaneità, sotto ogni sua rappresentazione artistica, e pensare che nel  mio piccolo possa contribuire alla sua diffusione e sviluppo mi rende estremamente orgoglioso».

Da due anni condividi il palco, in duo, con il chitarrista Cesare Sampaolesi (tuo fratello) e con il sassofonista Adolfo Del Guercio. Potresti descrivere la direzione stilistica e l’impronta comunicativa di queste due formazioni?

«Condividere il palco e poter lavorare insieme a mio fratello è sempre stata una mia grandissima ambizione che ora ho la fortuna di veder realizzata. È per me un grande punto di riferimento musicale, nonché un fratello con il quale condivido tutte le mie idee e linee di pensiero. Il duo insieme a lui è incentrato sul repertorio musicale italiano, in un excursus storico che va da Scarlatti e Vivaldi, fino a Porena e Berio. All’interno dei nostri concerti alterniamo sempre momenti di solismo a quelli d’insieme, perché crediamo sia interessante far assaporare le sonorità e le perle dei repertori solistici di entrambi gli strumenti. Tutti i brani che eseguiamo in duo sono nostre personali trascrizioni. Questo, a mio avviso, ci permette di modellarli al meglio intorno alle nostre identità musicali. Con Adolfo ho condiviso un lungo periodo importantissimo della mia crescita musicale, collezionando con lui esperienze e molti  concerti. Il nostro duo è improntato sul repertorio sassofonistico del Novecento storico, lavorando anche qui in personali trascrizioni che mettono in luce le nostre peculiarità musicali. Con lui ho avuto inoltre la possibilità di collaborare insieme al Maestro De Rossi Re, in una personale rivisitazione di un suo brano. Entrambe  queste esperienze cameristiche mi hanno portato a fare innumerevoli viaggi, in Italia e all’estero, a condividere il palco con musicisti che ammiro sotto ogni profilo e ad arricchire il mio bagaglio musicale e personale».

Carlo SampaolesiHai dato vita a un progetto intitolato “Opus 0” in trio con Matteo Giorgetti al pianoforte e Gioele Balestrini alle percussioni. In cosa consiste?

«Opus 0 è stata un’esperienza creativa e concertistica tra le più soddisfacenti che abbia potuto realizzare fino ad ora. Nasce dall’esigenza di tre giovani studenti di conservatorio che volevano salire sui palchi dei teatri non più sotto le vesti di studenti, ma come giovani professionisti. Dunque, abbiamo raccolto i nostri repertori, dal brano visual per tape e performer del 2013 fino al corale BWV 639 di J.S. Bach suonato sul palchetto più alto completamente al buio. Lo spettacolo aveva come obiettivo principale stupire il pubblico in ogni suo momento, creando una storia che non lasciasse spazio, una volta iniziato, neanche ad un applauso. Attraverso giochi di luci e di buio più totale creavamo il nostro racconto, le nostre connessioni e gli spostamenti che consentivano di legare ogni brano all’altro, suonando sul palco, in platea e sui palchetti appunto, da soli o insieme. La cosa più affascinante che mi è rimasta impressa da tutta quest’esperienza, che ci ha portato a esibirci in tanti teatri bellissimi in meno di un anno, è stata la ricerca e la realizzazione di una completa autonomia, dai preparativi allo spettacolo. Riuscivamo, con l’aiuto volontario di qualche amico, a montare tutta l’attrezzatura e, una volta iniziato, eravamo i fonici e i tecnici delle luci di noi stessi. Spero di riproporlo con queste o altre vesti in futuro, perché in assoluto rappresenta l’idea di artista/musicista che più si amalgama a me, utilizzando un materiale preesistente per riuscire a creare qualcosa di nuovo e di personale».

Hai eseguito composizioni in prima assoluta e italiana di svariati autori, fra cui Boris Porena e Lars Petter Hagen, oltre a contribuire all’arricchimento e all’evoluzione del repertorio fisarmonicistico insieme a compositori come Maurizio Azzan, Fabrizio De Rossi Re, Vincenzo Ruggiero e Lisa Colonella. Soprattutto dal punto di vista umano, come definiresti queste importanti esperienze?

«Mi piace pensare che, nel mio piccolo, possa anche io contribuire all’arricchimento della cultura fisarmonicistica, alla conoscenza e creazione di nuove opere, dando al pubblico e agli interessati la possibilità d’ascoltare qualcosa che prima non conoscevano. So che questa è un’ambizione forse troppo grande, però non mi tiro sicuramente indietro nell’esecuzione e realizzazione di nuovi brani per fisarmonica. Ciò che mi porto dietro da tutte queste esperienze, che spero di poter coltivare il più possibile anche in futuro, è proprio il legame umano, d’amicizia e di stima reciproca che si è creato con i compositori. Li ho raggiunti a Milano o a Venezia, ho passato intere giornate con loro e abbiamo sperimentato sullo strumento smontandolo, mettendo scotch e tanto altro ancora. L’aspetto che più mi affascina è vedere e cercare di capire il loro processo creativo, come delle menti lucide vedono e pensano la fisarmonica. Io ho messo a disposizione solamente le mie competenze tecniche e musicali, le mie idee e volontà di sperimentare. Ne ho tratto finora solo bellissime esperienze e vorrei che fosse sempre più per il futuro un carattere che mi possa contraddistinguere come musicista ed esecutore».

Carlo SampaolesiSoffermandoci sul tuo strumento, quale fisarmonica suoni in studio di registrazione e nei concerti?

«Ho intrapreso il mio percorso musicale con la fisarmonica a pianoforte e l’ho portato avanti insieme a essa fino all’età di circa vent’anni. In quel periodo ho compreso che sentivo l’esigenza di conoscere anche lo strumento a bottoni, per una mia maggiore completezza musicale e per arricchire e non aver limitazioni sul repertorio da poter intraprendere. Non nascondo le enormi difficoltà tecniche dei primi mesi, ma ad ​oggi sono contento di aver fatto questa scelta e di avere una conoscenza, seppur da approfondire, su entrambe le tastiere. Mi è capitato di registrare utilizzando entrambe le fisarmoniche (dell’azienda fidardense Mengascini), ma recentemente tutti i progetti a cui sto lavorando e che ho inciso li ho realizzati con lo strumento a bottoni».

Attualmente, quali sono i tuoi progetti artistici più significativi e quelli che hai in mente per il futuro?

«Indubbiamente l’esperienza in duo insieme a mio fratello e il progetto “Opus 0” sono le realtà musicali nelle quali mi identifico meglio, per motivi completamente diversi. Il primo mi permette di collaborare con una persona con la quale ho affinità totale, ci dà la possibilità di viaggiare e vivere esperienze musicali in contesti sempre nuovi. “Opus 0” è invece la realizzazione di un’idea di concerto e spettacolo insolita, è sicuramente l’embrione di un processo creativo che vorrei sempre più sviluppare nel mio percorso professionale. Ad oggi sto lavorando ad un progetto dal titolo “Si.len.ce”, che si pone l’arduo obiettivo di esplorare la fisarmonica al di fuori del suo suono, dando rilievo a tutte le sue peculiarità che prescindono dal timbro dello strumento. Il progetto verrà realizzato in forma di House Concert, sempre in un contesto intimo e con poche persone, ricercando così un’esperienza d’ascolto più attenta e partecipata. All’interno del concerto ci saranno brani nuovi con elettronica, capisaldi del repertorio contemporaneo per lo strumento e mie personalissime trascrizioni e composizioni. Spero con tutto il cuore che questo progetto possa vedere la luce il prima possibile, perché sono estremamente curioso di sperimentarlo e di osservare le reazioni del pubblico».