Emilia Fadini tra semplicità e mito

La scomparsa della grande clavicembalista

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Emilia FadiniIl 16 marzo del 2021, all’età di 90 anni, si è spenta Emilia Fadini. Pianista, clavicembalista, musicologa, è stata una delle figure chiave per la diffusione della cosiddetta “pratica esecutiva storicamente informata” in Italia.

Avevo conosciuto Emilia più di vent’anni fa, quando, da perfetto sconosciuto, le telefonai per chiederle di darmi delle lezioni sul repertorio barocco. Ricordo che dopo un breve disorientamento nell’apprendere che aveva a che fare con un fisarmonicista, mi ascoltò con pazienza, indirizzandomi poi presso Marco Farolfi, un suo ex-studente, con il quale iniziai il mio lavoro di ricerca sulla musica antica. La semplicità e la disponibilità di una musicista che già allora era un mito per chiunque volesse avvicinarsi al mondo della pratica esecutiva storicamente informata e la sua mancanza di pregiudizi verso uno strumento come la fisarmonica che, a causa delle sue origini popolari, era spesso emarginato dai musicisti colti, mi colpirono. Dopo quella prima telefonata non ebbi più contatti con lei per qualche anno, ma, appreso che coordinava i corsi di musica antica della Scuola Musicale di Milano, feci domanda di iscrizione e iniziai a lavorare con lei sulla trattatistica e sulla prassi esecutiva e con Luca Oberti sul basso continuo.

Ho letto molto in questi giorni a proposito del grande lavoro di Emilia al Conservatorio di Milano con i suoi studenti di clavicembalo e come promotrice dei corsi popolari serali di musica e posso solo tentare di immaginare il fermento di quegli anni, ma anche l’atmosfera delle sue lezioni nei pomeriggi del sabato alla Scuola Musicale di Foro Bonaparte era straordinaria. C’era un viavai continuo di studenti (tastieristi storici, pianisti, chitarristi, violoncellisti e molti altri), di ex-allievi di Emilia e di suoi amici e colleghi che regolarmente arrivavano a farle visita e che spesso si fermavano ad ascoltare le sue lezioni e i seminari che organizzava. Ogni settimana, c’era una sorpresa: poteva essere Diego Fratelli che veniva a parlarci della mensuralità rinascimentale, Deda Colonna che ci faceva danzare il Minuetto e la Bourrée, Sergio Chierici, Enrico Baiano o Bruno Cavallo che passavano a farle un saluto…

Uno dei tratti del carattere di Emilia che mi colpiva di più era la sua curiosità: era sempre pronta a mettersi in gioco e ad accogliere nuovi stimoli, sia che provenissero dai colleghi coinvolti nella didattica, sia che arrivassero dagli studenti. È stata una delle persone più colte che io abbia mai incontrato eppure non ha mai sfoggiato il suo immenso sapere. Il socratico “sapere di non sapere” era davvero il suo faro e cercava di trasmettere a tutti gli allievi il fascino dell’imparare l’incertezza piuttosto che dell’acquisire granitiche sicurezze. Era molto indipendente, ma, nonostante la sua relativa solitudine nel paesino di Parzanica, dove si era ritirata, mi disse, per sfuggire alla vita milanese, era sempre disponibile verso gli altri (esseri umani e non) e amava ricevere ospiti e riempire la sua casa di musica e di confronti dialettici. Ricordo una nostra telefonata qualche settimana dopo l’inizio del primo lockdown causato dal COVID-19, quando immaginavo di trovarla depressa e demotivata e avevo scoperto invece che era felicissima di avere tanto tempo da dedicare ai suoi studi e ai suoi adorati animali.

La sua modestia e la sua sincera curiosità per tutto ciò che la circondava non erano un atteggiamento, ma erano profondamente radicati in lei. Il suo pensiero e la sua azione erano perfettamente coerenti. Quando terminai la mia esperienza alla Scuola Musicale e cominciai a frequentare casa sua, ricordo che ad ogni incontro mi comunicava il suo stupore per qualche nuova acquisizione. Poteva essere un’intuizione sulla realizzazione del trillo in Bach, o la comprensione di un’accentuazione più efficace per la Corrente rinascimentale, o un nuovo elemento identificato, magari grazie ad un musicista ascoltato all’angolo della strada, nel linguaggio flamenco di alcune Sonate di Scarlatti.

Aveva vissuto un’intera esistenza seguendo il suo istinto e la sua sensibilità, cedendo “il passo al sogno” come si può intuire dalla lettura del bellissimo volume curato da Marco Moiraghi[1], ma aveva un’attenzione costante verso gli altri e soprattutto verso i più deboli e i più bisognosi.

Era venerata dai suoi studenti e dalla maggior parte di coloro che avevano occasione di avvicinarla, ma non abbondavano le occasioni pubbliche nelle quali incontrarla. Le grandi stagioni concertistiche spesso la snobbavano e al di fuori dell’Italia, forse anche a causa della mancata traduzione in inglese della maggior parte dei suoi scritti, il suo grande lavoro musicologico non ha avuto una grande diffusione.

È probabile che il suo pudore e il suo amore per la riservatezza non abbiano contribuito al riconoscimento della sua grandezza in vita, ma c’è da sperare che adesso, dopo la sua scomparsa, si ponga rimedio a questa grave mancanza e si possano diffondere come meritano il suo pensiero e la sua visione della musica.

 

[1] Cedere il passo al sogno – L’esperienza musicale di Emilia Fadini a cura di Marco Moiraghi – LIM 2020