La fisarmonica contemporanea. Intervista a Claudio Jacomucci

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Claudio Jacomucci

Claudio Jacomucci, fisarmonicista, compositore e didatta, si è diplomato in fisarmonica al Conservatoire Nationale de Grenoble nel 1992. Ha studiato fisarmonica con Jean Luc Manca, Vladimir Zubitsky e Mogens Ellegaard. Dal 1997 al 2000 si è formato come insegnante di Tecnica Alexander all’ATCA di Amsterdam. Ha studiato la musica classica dell’India del Sud, vinto diversi concorsi internazionali, collaborato e suonato con compositori e musicisti di fama internazionale come Berio, Donatoni, Kurtag, De Pablo, Porena. È autore del volume “TECNICA I” sulla tecnica della fisarmonica (Bèrben), coautore del libro “Mastering Accordion Technique” scritto con Kathleen Delaney sui principi della Tecnica Alexander. È docente di fisarmonica al Conservatorio “L. D’Annunzio” di Pescara e direttore dell’Accademia Fisarmonicistica di Urbino.

Come hai iniziato e in che modo si è evoluta la tecnica dello strumento e come è cambiata la sua immagine nella cultura occidentale?

Quando ho iniziato a suonare, agli inizi degli anni ’80, la didattica fisarmonicistica era agli albori. Ho studiato con una metodologia molto antiquata, pedagogicamente molto povera e assolutamente non adatta ai tempi, parlo della scuola italiana e francese degli anni ’50 (assurdamente ancora in uso oggi). In seguito, ho dovuto operare una vera catarsi, prima studiando la tecnica delle scuole est-europee e scandinave, fino a pubblicare un libro di appunti, esercizi, diteggiature ragionate della fisarmonica a bottoni (Tecnica I, Berben 1998), poi – dopo essermi formato come insegnante di Tecnica Alexander – ho elaborato una tecnica fisarmonicistica innovativa, in cui l’abilità e la destrezza crescono di pari passo con la consapevolezza psico-fisica e l’esperienza musicale.

Oggi esistono varie correnti, “scuole” molto avanzate, basti pensare alla scuola serba, a quella basca, finlandese, danese, tedesca, polacca e francese. Finalmente anche in Italia sta emergendo una nuova scuola. Quasi tutte le scuole europee hanno sviluppato una tecnica alternativa a quella dell’Ex Unione Sovietica imperante per decenni, perché è cambiata l’estetica, il repertorio, gli strumenti e quindi è nata la necessità di una gamma di suoni più ricca ed articolata.

Cosa significa suonare oggi la fisarmonica?

Dal punto di vista professionale, i campi in cui c’è un futuro per la fisarmonica sono senz’altro la musica classica contemporanea, tutto il revival folk, il jazz. Poi ci sono le tendenze più commerciali. Questo è ciò che offre la casa. Suonare la fisarmonica però è ben altro. Ogni musicista ha un’identità artistica e quindi la sua unicità crea nuove “prospettive”. Così è stato per tutti i grandi fisarmonicisti, pionieri di uno stile, veri visionari e così continuerà ad essere.

Oggi la fisarmonica si trova ad uscire dalla sua nicchia, dal suo piccolo mondo, ormai è adulto, ha ottimi interpreti, musicisti di eccellenza che diffondono la sua cultura moderna su una scena più ampia.

Quali sono le tue esperienze nella didattica?

Ho iniziato ad insegnare fisarmonica nel 1993, all’inizio avevo difficoltà, come tutti insegnavo ciò che sapevo, ciò che qualcun’altro mi aveva insegnato, con pochi mezzi e scarsi principi pedagogici.

Non capivo perché molti ragazzi hanno così tanti problemi nell’apprendimento, e tanti limiti psico-fisici fin in tenera età e perché invece, ad altri – coloro che chiamiamo dotati – tutto riesce naturale e semplice.

Anche qui la Tecnica Alexander, che è un metodo molto pratico, mi è stato di fondamentale aiuto, per capire come funzioniamo, sia a livello fisico, fisiologico che mentale e psicologico.

Per circa quindici anni ho sperimentato l’applicazione della Tecnica Alexander sulla didattica e sulla tecnica fisarmonicistica. Ormai da alcuni anni, realizzo un progetto pedagogico e performativo chiamato “Accademia Fisarmonicistica” che è in pratica una formazione, uno stage professionale in cui si preparano e si realizzano dei concerti, dove gli allievi collaborano con altri musicisti, danzatori, coreografi e compositori e tutti realizzano il proprio lavoro con la qualità peculiare di questa tecnica.

Inoltre insegno al Conservatorio “L. D’Annunzio” di Pescara e tengo masterclass in diverse accademie (Royal Academy of London, Sibelius Academy Helsinki, Conservatoire Superieur de Musique et Danse Paris, Royal Danish Academy Copenhagen, Accademia di Cracovia, ecc.)

La tua carriera e i tuoi interessi riflettono una grande versatilità del tuo strumento. Puoi parlarci di come affronti le varie esperienze nel campo dello spettacolo, della composizione, dei concerti ecc.?

I progetti che realizzo sono il frutto di una ricerca, guidata dalla curiosità e dall’interesse musicale, artistico, compositivo. In qualche modo l’immaginazione si deve concretizzare per essere realizzata con un mezzo, uno strumento o più strumenti. E qui avviene una sfida, una scommessa: conciliare una nuova idea con l’identità dello strumento. Non sempre va a buon fine. Qualche anno fa avevo trascritto parecchi brani di Flamenco e composto della musica sulle strutture ritmiche di questa musica. Non volevo rassegnarmi, ma alla fine ho buttato tutto ed ho abbandonato il progetto!

Io definisco il mio strumento come “fisarmonica classica”, non è un termine che si riferisce ad uno stile musicale, né tanto meno a Mozart e Haydn. È lo strumento più evoluto della famiglia ed il suo raggio di azione è vastissimo a prescindere dal genere musicale (che tra l’altro non è più neanche definibile). Sicuramente prediligo quei tipi di musica che sfruttano tutto il suo potenziale e che soddisfano il mio interesse e la mia estetica.

Così può essere che dedico anni allo studio della musica barocca (in fondo la fisarmonica classica è un successore degli antichi strumenti a tastiera), che mi dedichi a riscrivere e rivisitare musiche di origine tradizionale (immaginario popolare indelebile). Ma il campo in cui credo che ci sia più creatività è quello della musica contemporanea, non più confinata alla scuola di Darmstadt e alle correnti degli anni ’60 e ’70 che hanno allontanato il pubblico creando una barriera con la complessità di una musica mentale e teorica.

La musica di oggi è ricchissima di influenze ed i progetti in cui la fisarmonica è protagonista sono tantissimi, proprio grazie ai pionieri, agli sperimentatori del passato.

La cosa più difficile è sempre trovare il canale giusto sulla scena concertistica per proporre i propri progetti. Esso può cambiare da progetto a progetto e le possibilità sono numerose. Bisogna saper attrarre l’interesse verso “la fisarmonica”, affascinare con i suoni e i con i contenuti.

Dalla classica, al jazz all’etno-jazz-elettronica. Qual’è la differenza? È più tecnica o culturale?

Ovviamente culturale. Come dicevo, i generi non sono più così definiti. Tutti gli stili si sono influenzati, mescolati, generandone altri. Così la tecnica: non si può parlare di tecnica slegata dal contesto musicale. Ogni linguaggio o stile ha la sua tecnica.

Il problema di molti fisarmonicisti è la mancanza di creatività. Il jazz dei fisarmonicisti (tranne rari casi) è un folk con qualche fioritura di swing. L’elettronica è la fisarmonica elettronica per suonare magari il varieté (intrattenimento virtuosistico di scarsissimo interesse musicale). La musica classica-contemporanea è quella di qualche fisarmonicista-compositore che scrive musica come a fine Ottocento. Siamo completamente fuori dalla realtà musicale attuale.

Non si può suonare partendo da uno spartito qualunque. I musicisti hanno interessi e passano anni ed anni a studiare e ricercare. I fisarmonicisti suonano sempre le stesse cose, hanno poca curiosità, idolatrano le figure del passato, i campioni, i Paganini, i Segovia della fisarmonica, perciò la loro emancipazione è quella che è.

Ci sono tanti bravi fisarmonicisti, alcuni grandi musicisti, pochi artisti. Rarissimi sono coloro che possiedono tutte e tre queste qualità.

Puoi parlarci sinteticamente del libro “Mastering accordion technique”? Ho visto che sono previste presentazioni in contesti importanti, come Copenaghen ed Helsinki.

Grazie ai principi della Tecnica Alexander e all’esperienza nella sua applicazione all’insegnamento della fisarmonica, Kathleen Delaney ed io abbiamo fatto chiarezza sui fondamentali temi della tecnica fisarmonicistica, da un punto di vista anatomico, fisiologico, ergonomico, insomma più scientifico delle intuizioni personali che vengono di solito proposte.

La prima parte del libro affronta varie problematiche della tecnica: dalle qualità ergonomiche dei diversi strumenti, all’impostazione dello stesso (come “indossarlo”, come sostenerlo e come sedersi). Abbiamo disegnato un modello di cinghie ergonomiche molto funzionali. Poi, nello specifico, la produzione del suono, le tecniche del mantice, la tecnica digitale, i criteri di diteggiatura, senza tralasciare i temi legati all’apprendimento, come “imparare ad imparare”, “udire ed ascoltare”, “tempo e metronomo”, “sviluppare le abilità tecniche”, “come imparare un nuovo brano”, “fraseggio e respirazione”, “interpretazione”, “imitazione”, “panico scenico”. La seconda parte del libro invece illustra le origini ed i principi della Tecnica Alexander, le procedure e le applicazioni; aggiunge elementi di anatomia, fisiologia, propriocezione ed alcune riflessioni sull’educazione infantile, sulla salute del musicista e sulle patologie legate all’attività musicale e ai comuni problemi fisici dei fisarmonicisti.

Il libro, per il momento, è disponibile solo in inglese.