Su sulitu

Il flauto sardo in canna comune

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Un semplice e antico strumento sardo è su pipiolu, pipajolu o sulitu, realizzato in canna comune, appartenente alla tradizione popolare e le cui origini si perdono nella notte dei tempi. A seconda della zona di provenienza, questo strumento ha diversi nomi e differenze sostanziali nella struttura costruttiva. Possiamo distinguerne tre tipologie principali:

1.     pipiolu del Logudoro;

2.     sulitu della Marmilla;

3.     pipajolu della Barbagia.

Pipiolu del LogudoroIl pipiolu del Logudoro è costruito con un unico pezzo di canna comune con l’estremità superiore tagliata ad angolo acuto per formare il becco, e presenta un nodo che ne interrompe il corpo a circa metà o due terzi del canneggio; immediatamente sotto l’imboccatura, ci sono una finestra rettangolare e quattro fori per le dita, di cui tre nella parete anteriore della canna, al di sotto del nodo, e uno posteriore al di sopra. Lo si costruisce in diversi tagli, che prendono il nome dalla tonica dello strumento, che si trova un semitono sopra la nota più grave e produce intervalli diatonici (non sempre precisi) di semitono, tono, tono, semitono (per esempio, in uno strumento in do si avrà la successione si, do, re, mi, fa). Lo strumento in uso nel Campidano di Cagliari (dove prende il nome generico di sulitu o suitu) non presenta, rispetto a questo, sostanziali varianti organologiche, tranne un maggiore diametro esterno e un’angolatura meno pronunciata del becco.

Sulittu della MarmillaIl sulitu della Marmilla è molto simile al pipiolu del Logudoro; se ne differenzia per avere il foro posteriore al di sotto del nodo e un foro in più nella parete anteriore al di sopra, foro che produce il suono più acuto dello strumento. Quello posteriore, aperto, come si è detto, al di sotto del nodo, non ha (come in nessuno dei flauti sardi) la funzione di portavoce, ossia non serve per favorire l’emissione degli armonici superiori, ma è un foro reale che modifica la lunghezza della colonna d’aria vibrante. Il numero totale dei fori è, quindi, di cinque e la tonica, che indica il taglio dello strumento, si ottiene con l’apertura del primo foro. Tagliato in varie tonalità, produce, generalmente, la successione degli intervalli diatonici ascendenti di semitono, tono, tono, semitono, tono (per esempio, in uno strumento in do si avrà la successione si, do, re, mi, fa, sol). Come tessitura corrisponde in pratica al pipiolu del Logudoro con una nota in più verso l’acuto.

Pipaiolu della BarbagiaIl pipajolu della Barbagia presenta evidenti differenze organologiche rispetto ai flauti precedentemente descritti: i quattro fori per le dita, infatti, vengono  praticati esclusivamente sulla parete anteriore e la canna non è interrotta dal nodo che, opportunamente sfondato, è invece situato nell’estremità inferiore. Non vi è, quindi, alcun foro posteriore e il becco ha una minore inclinazione rispetto a quella del pipiolu del Logudoro e del sulitu della Marmilla. La zeppa in sughero presenta, inoltre, un’angolatura nella parte interna, parallela al taglio del becco. La nota più grave corrisponde alla sensibile (che si ottiene con tutti i fori chiusi), mentre la tonica, come negli altri flauti a becco della Sardegna, si ottiene con l’apertura del primo foro. I pipaiolos, tagliati in varie tonalità, producono, partendo dal grave, la successione intervallare di semitono, tono, tono, tono e mezzo (per esempio, in uno strumento in do si avrà la successione si, do, re, mi, sol).

Pipiolu della BarbagiaStruttura e costruzione

Sa fentana (la finestra del becco) rappresenta l’elemento di distinzione tra i vari costruttori e le zone di diffusione. Si riscontrano fentanas aperte in maniera molto rudimentale con due tagli a tacca (diffuse nella media valle del Tirso), con una fessura di qualche millimetro di larghezza (Sarrabus), o finestre tagliate con notevole precisione (Campidano di Cagliari). Sia negli strumenti della Marmilla, sia in quelli campidanesi, su tupponi (la zeppa del becco) è di legno (salice selvatico “molle” o “duro”, qualche volta anche oleandro o ferula nel Sarrabus). Nei pipiolus del Ghilarzese è frequente, invece, su tappu o tupponi di sughero, tipico del pipaiolu barbaricino. Da su tupponi dipende la qualità sonora degli strumenti. La sua inclinazione interna deve infatti favorire il fendersi dell’aria insufflata sul bordo tagliente de sa fentana (in sardo s’invitu).

Per costruire un sulitu nelle sue varietà bisogna, anzitutto, procurarsi una buona canna stagionata. Le tecniche di raccolta sono generalmente comuni ai diversi costruttori: la canna deve essere raccolta durante i mesi invernali, quando la pianta è a riposo e contiene una minore quantità di acqua (è importante anche scegliere la fase lunare giusta e l’orario del taglio della canna, ma non tutti i costruttori sono d’accordo su questo punto). La stagionatura prevede un tempo minimo di un paio d’anni; talvolta, i costruttori ricavano la materia prima dagli incannucciati che reggevano il tetto di vecchie case in demolizione e, pertanto, non è raro trovare sulitus fatti con canne ultracentenarie. La sezione migliore della canna è quella tagliata oltre il terzo nodo partendo dal basso, perché risulta la parte più resistente, ma non eccessivamente spessa. Anche per la zeppa del becco è necessario tagliare il legno in un determinato periodo, solitamente in inverno, e si richiede una stagionatura di almeno due anni, mentre il sughero, quando viene usato per realizzare la zeppa, deve essere della migliore qualità e il più compatto possibile. La tecnica costruttiva varia a seconda del grado di abilità artigianale e musicale raggiunto dal costruttore e va dall’impiego di misurazioni di tipo antropometrico (si dispongono cioè le dita sulla canna come per impugnare lo strumento e, quindi, si determina la posizione dei fori) all’osservanza meticolosa di proporzioni e misure precise. Solitamente, si realizza prima sa fentana e, in seguito, su tupponi, procedendo con vari aggiustamenti sino ad arrivare a una soddisfacente qualità del timbro. Si asporta la canna per ottenere un buco di forma quadrata o rettangolare e, successivamente, si provvede a realizzare s’invitu assottigliando il bordo inferiore della finestra. Nel caso in cui, a becco ultimato, lo strumento presentasse alcune note crescenti, si provvederebbe a chiudere leggermente i fori con un po’ di cera, mentre, se le note fossero calanti, si allargherebbero. L’intonazione generale dello strumento può essere, invece, abbassata leggermente mettendo un po’ di cera sul bordo superiore della fentana. Non è possibile, invece, innalzare l’intonazione.Pipiolu decorato con pelle di Biscia - Vinicio Sanna

Nella finitura dei vari strumenti si riscontrano diverse tecniche decorative, dal semplice intaglio alla pirografia, alla pittura ad olio e, in certi casi, al rivestimento in pelle di biscia d’acqua. È inoltre frequente la sottolineatura, attraverso segni grafici, dei vari elementi strutturali dello strumento come fori, finestra, becco, nodi. Oltre alle tecniche di tipo decorativo, è quasi sempre d’obbligo, per dare una certa rifinitura, levigare esternamente il nodo sino a renderlo privo di asperità. In certi casi vengono anche realizzate delle legature che circoscrivono, in alcuni punti deboli, la circonferenza del canneggio, in maniera tale da rafforzarne la struttura.

Alquanto ridotto, come si può immaginare, è l’elenco degli attrezzi necessari per costruire i flauti, che comprende quasi unicamente un coltello per la lavorazione della canna e della zeppa e un tondino di ferro che viene arroventato per aprire i fori.

 

Esecuzione/modalità di utilizzo dello strumento

La successione semitono, tono, tono e quella speculare di tono tono e semitono, sono le uniche possibili nelle mancoseddas di tutti i cuntzertus di launeddas (fatta eccezione per quello chiamato punt’e organu). E poiché prevalentemente alla mancosedda o destrina (canna sciolta suonata con la mano destra) è affidata la realizzazione della linea melodica, ne consegue che tutti i flauti a becco sardi sono capaci di riprodurre (anche se solo monodicamente) buona parte del repertorio delle launeddas. Sono evidenti, infatti, le strette analogie tra le musiche per sulittus/pipiolus e quelle per launeddas, anche in aree in cui queste non sono attualmente attestate (come la Barbagia); ciò non solo nell’utilizzo di comuni formule melodiche, ma anche, e soprattutto, nello sviluppo dei materiali musicali secondo il principio delle nodas: microvarianti ottenute con permutazioni e sostituzioni di note, fioriture di vario tipo, ecc., di un semplice elemento melodico tripartito.

 

Simone Grussu per Accademia di Musica Sarda

Fonti: SPANU, Gian Nicola (a cura di), Sonos: strumenti della musica popolare sarda, Nuoro, Ilisso, 1994

Foto: https://viniciosanna.itSonos: strumenti della musica popolare sarda