Una lunga conversazione tra Romano Viazzani e Mario Barigazzi

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Barimar ieriBarimar, all’anagrafe Mario Barigazzi nasce nel 1925 e appartiene a quel gruppo di fisarmonicisti che rappresentano l’età d’oro delle sale da ballo e della musica popolare italiana. Quell’epoca d’oro in cui le orchestre, di tutte le dimensioni, da quella “leggera” al quartetto dove figuravano fisarmonicisti-capi orchestra i cui nomi conosciamo tutti: Gigi Stok, Nando Monica, Gorni Kramer, Wolmer Beltrami, Edoardo Lucchina, Iller Pattacini, per citarne alcuni. Barimar è niente di meno che una leggenda-vivente. Le sue registrazioni si trovano in tutto il mondo. Nonostante l’età ha ancora l’energia di un uomo con metà dei suoi anni e i suoi poteri musicali non sono diminuiti. Un grande talento, ma rimane una persona molte umile e simpatica. Oggi le cosiddette orchestre di “Ballo Liscio” possono vantare anche loro degli ottimi musicisti, ma purtroppo le loro prestazioni sono raramente dal vivo, e nella maggior parte dei casi quando suonano dal vivo spesso si sovrappongono a una base musicale digitale, e in alcuni casi i musicisti mimano sopra a una registrazione. Pochi riescono a eguagliare le orchestre di quell’epoca d’oro, dove il leader di solito arrangiava la musica per il suo ensemble. Ogni complesso aveva un arrangiamento “su misura” della musica popolare del giorno e ogni fisarmonicista aveva la propria identità, la propria impronta musicale che era inconfondibile. Ma questa è solo una parte della sua storia. Il suo nome continua a saltar fuori in tutti i tipi di registrazioni con molte formazioni differenti. Ha composto molti pezzi nella sua lunga carriera e continua a comporne e registrarne di nuovi e originali per fisarmonica solista. La Domenica di Pasqua 2014 gli è stato donato “L’Angelo del Correggio” dal Comune di Parma, in riconoscimento del suo lavoro.

RV: Barimar. É un nome magico che rappresenta un’epoca d’oro e per me personalmente un nome che  ha influenzato molto la mia formazione musicale.  Infatti direi che sei stato il fisarmonicista che mi ha fatto rendere conto che non sempre la fisarmonica doveva dominare la melodia con il suono tipico di fisarmonica.  A volte, infatti, con un registro 16 piedi in cassotto, poteva anche nascondersi tra i fiati in un ruolo ugualmente importante come parte di una sezione.  Cioè poteva imitare altri strumenti se suonata con l’immaginazione che avevi tu.  Basta che i nostri lettori ascoltino il tuo arrangiamento di “Fascination” per sentire come la fisarmonica possa assumere il ruolo di secondo o terzo sassofono, oppure nell’ultima parte di Rosamunda dove una fisarmonica assume i ruoli di clarinetto e trombone in un finale in stile Dixieland. Quando avevo la mia orchestra da ballo a Londra dal 1981 al 2002 devo confessarti che anch’io ho usato queste tecniche di orchestrazione per ampliare il mio organico di nove elementi, per poter fare degli arrangiamenti Big band di Glenn Miller, Artie Shaw ecc. Da dove sono venute queste idee di orchestrazione?

B:  Avrai notato in queste incisioni che tante cose sono improvvisate. Si cerca di fare il meglio per orchestrare con dignità, per fare delle cose carine. Alcune riescono, altre meno.

RV: Mi sembra che quei brani siano riusciti molto bene.

B: Sì. Poi c’è sempre un problema, come nel caso dell’ultima serie di dischi “Permette un ballo” (Ricordi). Mi chiesero di tenere conto del fatto che si trattava di pezzi ballabili e che i ballerini gradivano una linea piuttosto melodica e semplice. Questa richiesta chiaramente mi ha un po’ frenato, anche se a volte  sono  riuscito a sbizzarrimi, come nel brano “L’indiavolata”.

Comunque la serie è andata molto bene, perché abbiamo fatto 25 album!

RV: Ho un bellissimo libro che si chiama “Tutti in pista”, dove ogni capitolo parla delle diverse orchestre emiliane, partendo dal trio di archi di Augusto Migliavacca, la banda dei Cantoni, fino alle bande del dopolavoro. Fra le grandi orchestre da ballo in quel libro due foto mi sono rimaste impresse nella memoria. Una raffigura un’orchestra leggera enorme degli anni trenta, con archi, fiati e ottoni, fra i cui componenti vi era anche Nando Monica, fisa in spalla; e l’altra, una bellissima foto degli anni quaranta di una orchestra di circa una ventina di elementi tra fiati, archi e ottoni, più cantanti, e davanti il capo orchestra, Barimar in piedi dietro la sua fisarmonica, nome illuminato sul sipario nel sottofondo. Che cosa ricordi di quell’epoca, e esistono registrazioni di quella formazione?

B: No. Esistono cose fatte alla Radio. Quindi non so neanche se all’epoca registravano.

Comunque ti dirò una cosa. A Milano aprirono un locale sul tipo del Moulin Rouge di Parigi. C’era un reparto per i jazzisti e veniva anche Chet Baker, gente con quartetto, e così via. Il locale era stato inaugurato da Gorni Kramer e ci ho suonato anch’io. Dopo due o tre anni però ha chiuso, perché – si sa – Milano non è Parigi…

E’ andata male, però ricordo molto bene che, avendo il contratto con l’EIAR (la Rai di allora), c’erano le trasmissioni delle sei del pomeriggio, si prendevano gli strumenti dall’Olimpia e si andava in Corso Sempione, dove facevamo la trasmissione in diretta per poi tornare indietro alle nove e mezza e cominciare a suonare in questo locale. Non ricordo se si chiamava Olimpia o altro.

RV: Era un grande albergo…un teatro? 

B. Era un locale con tre piste. C’era l’orchestra da ballo, l’angolino del jazz, e la parte dedicata allo spettacolo leggero. Questo era il periodo della foto di cui tu hai parlato.

RV: Che era del quaranta…

B: Avevo vent’anni o ventidue, quindi parliamo del quarantasette… dopo la guerra. Praticamente ho cominciato lì. Poi c’era un’altra cosa. Avevo un trio alla EIAR (RAI), eravamo io, Sangiorgi, il pianista, e Cosimo Di Ceglie. E’ stato proprio Cosimo Di Ceglie a introdurmi un po’ nel Jazz. Era il chitarrista numero uno in quel periodo e qui poi c’è da tornare indietro a quando ho cominciato con la compagnia teatrale. C’erano anche Bixio e Cherubini, cioè gli autori di successo del momento… e  vorrei partire dall’inizio, se posso.

RV: Ok. Benissimo.

B: Abitavo a Carignano, a 10 km da Parma. C’era un ragazzino che passava da Felino a Carignano per andare a lezione con la bicicletta e la fisarmonica nel porta-bagagli. Un giorno mio padre l’ha voluto fermare. “Fammi sentire una suonatina dai”. E lui gli ha risposto, in dialetto, “E’ solo tri o quattre mes che sonu ne son mia bon, ne son ancura bon”. “Ma, quello che vuoi”. Insomma, io lo guardo e vedo che muove i bassi in un modo e i tasti in un altro e la cosa mi ha entusiasmato. Così ho cominciato anch’io, con i sacrifici del papà, perché non era facile avere i soldi per comprare una fisarmonica.

Mio padre aveva in affitto un fondo per lavorare la terra, e io qualche volta volevo andare ad aiutarlo e lui mi diceva, “Ti va a cà e va a studier…” tu vai a casa e studia e non preoccuparti del resto”. Questa cosa non me la posso dimenticare, perché effettivamente lui ci teneva, e desiderava che io potessi suonare, magari anche solo per la festa del paese, non pensava ad altre cose. Poi è successo che Tienno Pattacini – conosci Battagliero?

RV: Certo!

Ecco. Renato Benelli, che era il fisarmonicista della sua orchestra, era stato chiamato a fare il militare e quindi cercava un sostituto. Si sono presentati in tanti. Non so come, ma mi sia arrivata questa voce. Mio fratello, che suonava la tromba e aveva cinque anni più di me, mi dice: “ti porto, ti porto a Barco”. Da Carignano a Barco voleva dire 25 chilometri sempre in bicicletta! Quindi prendiamo lo strumento, andiamo là e mi faccio sentire da Tienno Pattacini. Lui mi sceglie tra tutti quelli che aveva ascoltato e io accetto. Però non si suonava per il ballo. Si suonava per lo spettacolo…  Nel ’38, ’39 io avevo tredici, quattordici anni. Funzionava così: finita la serata io prendevo la bicicletta di notte, partivo e tornavo a casa a dormire. Se penso adesso a una cosa del genere mi vengono i brividi per i rischi che ho corso: era buio fitto e per strada c’erano solo cani che abbaiavano! Io andavo a suonare ma poi volevo tornare a casa mia. Sono sempre stato testone! La mamma di Tienno, che mi voleva un gran bene, mi diceva “Ma no, stà chi”. Ma io volevo tornare a casa. Devo ringraziare mio padre per i sacrifici che ha fatto e Tienno Pattacini perché mi ha instradato nel modo giusto. Mi ha fatto capire che suonare bene non bastava e che per fare il professionista avrei dovuto studiare anche armonia e contrappunto. Perciò sono andato dal Maestro Pietro Tamani a Parma.

RV: Aveva un’orchestra anche lui, vero?

B: Lui aveva un’orchestra, era pianista e ho studiato lì e in seguito a Milano alla scuola civica di Corso Venezia. Ma io non potevo solo studiare, dovevo anche mantenermi e quindi facevo anche delle serate. Quando studiavo da Tamani io alloggiavo da mio Zio a Parma. Un giorno vedo sul giornale che c’è uno spettacolo al Teatro Ducale (Autori alla ribalta). Allora vado in teatro e a un tratto sento il presentatore che annuncia: “Abbiamo saputo che in sala c’è un certo Mario Barigazzi”. Ho pensato che mi chiamassero per comunicarmi qualcosa di non bello, mi sono preoccupato… “Venga su”, mi dicono. Io ero proprio in prima fila. Salgo sul palco, tremante, sono sempre stato timido. Mi chiedono, “Lei suona la fisarmonica?”, “Si”, ho risposto. “Allora ci faccia sentire qualcosa perché sappiamo che lei suona bene”. “Ah, lo farei volentieri ma non ho lo strumento!” “Ma ce l’abbiamo noi!”. Mi portano una fisarmonica a piano e io quella non la sapevo suonare, e poi mi portano la mia fisarmonica. E lì ho dovuto suonare. Ma sai come è andata? Suonavo con  Emilio Ferrari, figlio del burattinaio Italo Ferrari –  lui era professore di violino. Avevamo formato un quartetto a Parma in un locale in Piazza Garibaldi e anche lui aveva saputo di questi spettacoli e disse, “Voglio che Mario si faccia sentire da questo gruppo teatrale”. Così lui è andato da mio zio a chiedere di me.

Mio zio gli risponde che ero appena uscito a vedere uno spettacolo. Allora lui ha pensato che i teatri fossero due. Il più vicino era il Ducale quindi pensò che io fossi lì. Prende la fisarmonica e la porta al Ducale. Quindi ho dovuto suonare! Ho fatto tre o quattro pezzi. Fortunatamente ero preparato ed è andato tutto benissimo. Allora si faceva “Il Carnevale di Venezia” di Frosini, poi il “Moto Perpetuo” di Paganini, ma quella sera avrò fatto “La Gazza Ladra” o brani così piuttosto inusuali per i tempi, nel senso che erano abituati ad altro.

Capirai, l’impresario mi dice “Preparati che al massimo tra un mese ti mando a prendere e devi fare parte della nostra compagnia”.

Dopo un mese arriva il suo segretario a Carignago dove abitavo e mio padre: “Chi è chi lu? Cosa vuole da mio figlio? Mio figlio non c’è”. “Dov’è?, l’impresario e il capo comico vogliono che io lo porti a Milano”. È stato lì tanto e parlava in Milanese per far capire che era uno dei nostri. Alla fine gli ha detto dov’ero, ed ero in un paese 15-20 km sotto Parma da un altro Zio. Per farla breve arriva questo e chiede di me, ma io avevo la febbre e gli ho detto che non potevo partire.

“Devi partire subito con me, adesso o mai più”, mi ha detto lui. E quindi nonostante tutto siamo partiti, in treno, e siamo arrivati a Lodi, dove c’era la compagnia teatrale.

Finita la serata, come succedeva sempre, si andava a mangiare tutti al ristorante e alla fine io non vedevo l’ora di vedere un letto. Porca la miseria, non ce la facevo più. E loro chiacchierano, sai. Alla fine ci portano in albergo: io qui, tu là e come entro nella stanza mi trovo Valdemaro, un comico livornese… gobbo, bravissimo, che comincia a saltare da un letto all’altro e alla fine ho capito che era uno scherzo, perché sono spuntati tutti alla porta a ridere come matti! Dopo ho avuto finalmente la mia camera! Poi, andando con loro, Bixio, l’autore di “Mamma”, mi dice: “Barigazzi Mario come nome non va bene, dobbiamo trovare qualcosa di diverso. E così venne fuori ‘Barimar’, come acronimo tra Mario e Barigazzi.

RV: Bellissima storia. Parlavamo prima delle orchestre grandi. Presumo che la quantità di musicisti era necessaria non solo per il suono sofisticato dell’epoca ma anche perché forse c’era meno amplificazione in giro in quell’epoca. E’ stato forse lo sviluppo di migliori impianti di amplificazione che ha ridotto il numero di elementi nelle orchestre, oppure esistevano anche altri motivi, forse economici?

B: Altri motivi sicuramente. Il costo, perché io ricordo che di formazioni ne ho fatte tantissime. Prima di quella di Milano, di cui abbiamo parlato prima, avevo formato un sestetto. Si andava a suonare al mare per esempio, un mese di qui un mese di là, poi, difficilmente riesco a dire tutto, perché ogni volta cambiavano le situazioni, le orchestre. Non posso dimenticare i 15 anni a “La Voce Del Padrone” come direttore d’orchestra e arrangiatore con i cantanti di allora. Si trattava di Jula De Palma, Luciano Virgili, Narciso Parigi …

Sono stati 15 anni beati nel senso che sì, andavo per un mese al mare con il complesso, ma il lavoro importante era stato quello.

RV: Più o meno di che anni parliamo?

B: Dal ’55 in poi. La cosa che volevo dire prima è che, una volta entrato a “La Voce del Padrone”, eravamo quattro o cinque direttori d’orchestra e il lavoro che facevamo veniva esaminato dalla casa madre di Londra; “His Master’s Voice”. Parlo degli albori della televisione. All’inizio della televisione io ho fatto due cose: ho partecipato in collegamento televisivo con fisarmonica in solo suonando in uno studio di Milano, mentre registravano a Torino, con pezzi classici per fisarmonica.

L’altra cosa interessante è stata l’unione di due orchestre, “Columbia” e “La Voce Del Padrone”, che ha portato i 20 elementi a 40. Quindi gli arrangiamenti con 8 trombe, con 10 sassofoni… Che facciamo? Facciamo un unisono? Ho pensato di fare 4 trombe libre senza sordina e 4 con sordina, insomma ho scritto un pezzo apposta per questa trasmissione.

RV: C’era anche la fisarmonica in questa orchestra, cioè nella formazione?

B: No. Con i cantanti a volte sì. Intervenivo come faceva Kramer, per esempio con un semplice fraseggio piuttosto che con un pezzo da solista.

RV: In quell’epoca esisteva rivalità tra orchestre da ballo o c’erano sempre buon rapporti fra tutti? Chiedo perché vedo tante collaborazioni nelle composizioni per fisarmonica tra fisarmonicisti, forse però scritte in un’epoca più recente.

B: Io ho avuto poco contatti con altri fisarmonicisti. A parte con Stok. Devo dire che con Gigi eravamo come fratelli, non colleghi. Ci ammiravamo a vicenda, ci scambiavamo complimenti. Per esempio quando gli ho fatto sentire “Gipsy”, non so se hai presente Stok com’era…

RV: Sì. L’ho conosciuto.

B: Si è messo a saltare perché gli piaceva da matti. La rivalità non esisteva. Con Wolmer e Kramer ho fatto qualcosa per la radio sempre allora. E lì no, a parte che io ero più giovane, quindi, capirai, cominciare, essere ammiratore di Kramer e Wolmer è una cosa, ma trovarmi a suonare con loro è stata una  grande emozione.

RV: È successo in Inghilterra pochi anni fa con Jack Emblow, il rinomato fisarmonicista jazz inglese, ormai ottantenne anche lui, che si è trovato a suonare con Art Van Damme ed un quartetto jazz ad un festival a Caister in Inghilterra. Forse era l’anno prima che morisse Van Damme, che Emblow ammirava molto.

B: Anch’io!

RV: Emblow, suonando con il suo idolo, era visibilmente emozionato. Per noi che ascoltavamo era un momento magico.  

B: Era veramente molto bravo. Pensa che io ho sempre rinunciato a fare l’impronta della mano al museo della fisarmonica di Recoaro Terme. Una sera siamo andati a fare una serata con Stok.Erano tre giorni confisarmonicisti italiani, tutti lì a fare un po’ di baldoria, sai suonare di qua e di là, “Ma venga a fare l’impronta”, e io “No, non metto la mano lì”, non ho mai voluto.

Accidenti, poi ho saputo che c’era Art Van Damme!

RV: È carino il museo. Piccolo ma bello. Ci sono stato anch’io. Infatti su internet ho visto una sua esibizione che forse era lì nel teatro. Se mi ricordo bene suonò “Autumn Leaves”.

B: Si, a Recoaro ho suonato tanti pezzi e qualcuno ha fatto un video mentre eseguivo “Autumn Leaves”. L’ho visto per caso. Io non volevo più suonare però Gigi Stok mi ha detto: “Prendi su la fisarmonica, non si sa mai”.

Alla fine ho visto quel teatrino dove puoi suonare anche senza microfono e mi è venuta voglia di suonare. Così sono andato a prendere la fisa e ho suonato. Caso vuole che qualcuno mi abbia registrato.

RV: Per questa generazione d’oggi che è sempre su internet è una bella cosa, perché magari non hanno sentito dal vivo musicisti della vostra generazione.

B: Su internet c’è qualche video, soprattutto sulla mia pagina Facebook. Qualcosa che ho fatto per RAIDUE negli anni ’90.

 

RV: A parte la marea di registrazioni che hai inciso, ci saranno state numerose trasmissioni sulla Radio o anche in Televisione?

B: Si, come dicevo prima ho partecipato al programma di Funari “Mezzogiorno è…” su Rai2, e ci sono alcuni video su Youtube.

RV: Quando ricerco il nome Barimar su Google trovo dischi da tutte le parti del mondo con formazioni diverse, serie di dischi diversi fra i quali la serie “Permette un Ballo”, una serie di titoli legati a Sanremo, un gruppo che si chiama I Barimars, Barimar e Capricorn College (Prog Rock), la lista non finisce più! Non so se un altro fisarmonicista della sua generazione abbia avuto una esperienza così vasta. Può parlarci un po’ di queste varie formazioni?
B: Si, ho avuto certamente una vasta esperienza. Poi sul contenuto e il valore delle cose che ho fatto magari c’è un po’ da discutere.

Per Sanremo, per esempio, ci davano i brani da incidere una settimana prima e dovevano essere pronti in fretta. Quindi per fare gli arrangiamenti potevi solo mettere un po’ di accordi qua e là, non c’era tempo. Non era simpatica la cosa. L’ho fatta per tanti anni. Quando c’era ancora Nunzio Filogamo.

RV: Cioè anni ’50, ’60?

B: Beh sì, sempre quell’epoca lì. L’epoca in cui ero a “La Voce Del Padrone”.

RV: E I Barimars? Era un’altra formazione?

B: Si, era un’altra formazione. Non ero più a “La Voce Del Padrone”.

Ero con un’altra casa discografica. ll primo disco lo abbiamo fatto come Capricorn College, che era un gruppo di progressive rock. È stato inciso perché lo richiedeva il momento. Allora si tentava di sbarcare il lunario… facciamo questo, facciamo quello. Avendo già un nome potevo sfruttare altre situazioni, come suonare nei “night”.

RV: Sì, negli anni sessanta la fisarmonica era andata fuori moda. So che Gigi Stok si mise a suonare il basso in quell’epoca. So anche che tanti non vedevano l’ora però che prendesse in mano la fisarmonica per fare due valzer. Come ha affrontato questa nuova moda? Ha potuto continuare a suonare la fisa o si è dovuto adattare?

B: Con la fisarmonica no. Avevo il vibrafono e l’organo Hammond. Non sono organista però quei pezzi non erano difficili. Mi adattavo. Sai, quando sei a Milano, la famiglia, la professione… poi è comunque il mio lavoro.

RV: Questo fatto è successo anche in Inghilterra. Dal ’63, ’64 in poi nessuno voleva più la fisarmonica. Un mio collega fisarmonicista con cui ho suonato tanti anni, Armando Guselli, anche lui, si e messo suonare l’organo Hammond. Corrado Medioli qui in Italia, il basso ed il vibrafono.

B: Ci si arrangiava così. Però avevo dei musicisti che reggevano molto bene questo tipo di musica e il disco come Capricorn College l’abbiamo fatto senza ordinazione di nessuno.

Poi alla fine l’ho presentato a Ricordi in Galleria del Corso a Milano e l’hanno accettato per la distribuzione. Sono rimasti entusiasti e l’hanno pubblicato, ma sotto il marchio Kansas. Era il periodo dei New Trolls, degli ABBA e introdurci in quel mondo non è stato facile.

RV: É molto bello. C’è su internet.

B: È ricercato dai collezionisti. Molti me lo chiedono ma non ne ho più! Ne avevo uno, ma un mio ammiratore di Bari mi ha chiamato con un tale entusiasmo che gliel’ho spedito.

RV: Negli anni settanta mi ricordo però che c’è stato un revival del cosiddetto “liscio”. Riemerge un po’ più folkloristico forse di prima, e forse anche un po’ più romagnolo, con l’orchestra di Raoul Casadei ed altri. Ho una teoria e forse mi sbaglio. Ma il termine “liscio” venne chiamato così solo dopo gli anni sessanta, cioè per distinguere fra il ballo da coppia liscio e i balli dell’epoca che si ballavano da soli (Twist, shake), cioè senza contatto fisico, o esisteva anche prima questo termine?

B: Questo termine non credo. Non ero amante del “liscio”. Facevamo il liscio tradizionale con un complessino di quattro o cinque elementi. Suonavamo lo swing e pezzi dell’epoca.

RV: Era musica da ballo? Non si chiamava liscio prima.

B: Non so dirti esattamente com’è nato il termine “liscio”. Non l’ho mai tollerato. Mi sarebbe piaciuto fare quello che studiano i giovani fisarmonicisti da concerto oggi, però non è stato possibile. Quando hai una professione in mano fai quello che puoi. Dici, io mi impongo come fisarmonicista. Ho musicato anche per la rivista, e la rivista adesso dov’è? È finita da tanti anni.

Tante cose cominciate e poi finite. Devo molto a Tienno Pattacini, perché mi ha dato un po’ il la per ampliare le mie conoscenze musicali. Hai scritto anche tu il tuo Concerto per fisarmonica e Orchestra…

RV: Ah! Ti è piaciuto?

B: Mi è piaciuto, mi è piaciuto, ti ho invidiato un po’. Bravissimo. E poi anche quella “Gigi Stok Fantasia” per Fisarmoniche e Orchestra Sinfonica. Peccato  che lui non la possa sentire…

RV: L’avevamo invitato a Londra per il London Accordion Festival nel 2001, ma lui stava già male.

B: Una fine molto triste, si. Non sapeva più dov’era la sua casa. Usciva in bicicletta qualche volta e non riusciva più a trovarla.

RV: Un altro che ho conosciuto brevemente a Parma era Bruno Clair, cioè Bruno Stocchi, cugino di Gigi Stok, ma era già in cattiva salute.

B: Sì era il cugino di Gigi. Non l’ho mai sentito. Non saprei dire come suonava. Lui non si voleva adattare a fare un po’ di tutto. Non so come sia andato.

RV: Avrai conosciuto anche Umberto Allodi, il cui fratello, Bruno, vendeva le fisarmoniche a Londra, un’attività che oggi continua suo figlio Emilio, mentre l’altro figlio Claudio suona.

B: Sì. Da ragazzo mi aveva molto colpito perché suonava il “Moto Perpetuo” molto bene.

RV: Umberto suonava una fisa con i bassi sciolti già a quell’epoca. Aveva un fisa con nove file di bassi, cioè i bassi sistema “Modenese”, poi in più tre file di bassi sciolti.

B: Sì, infatti. Non so come ho fatto a vincere il concorso del ’46. Partecipava anche Bruno Allodi. Quando l’ho visto ho pensato di non avere alcuna chance. Invece ce l’ho fatta.

RV: Vedo dal CD che mi hai dato l’ultima volta che ci siamo visti che continui a comporre pezzi per fisarmonica. Sono rimasto sinceramente sorpreso dall’originalità dei pezzi che hai composto per fisarmonica da solista. Sono pezzi che dovrebbero essere pubblicati e suonati nei concorsi per fisarmonica con bassi standard. Hanno una freschezza che viene indubbiamente da un’esperienza vasta.

Che cos’altro hai composto che forse il pubblico non conosce?

B: Sai che dopo questa chiacchierata che abbiamo fatto se avessi le gambe ancora buone farei un salto! (Ridono).

RV: Parlo di brani come “Profondo Buio”. Sono rimasto sorpreso perché avevo sentito registrazioni tue di musica popolare e da ballo ma…

Barimar oggiB: Avrei voluto fare solo cose del genere, sia come esecutore che come compositore. Sono cose che ho scritto senza pensare di proporle a qualcuno in particolare. Avevo bisogno di esternare un po’ magari, quando tornavi alle cinque del mattino dopo il “night”.

Quei brani sono nati a Milano, quarantanni fa. Li ho scritti per conto mio e poi li ho proposti a Capitan, un editore di Reggio Emilia, che li ha pubblicati.

RV: Sembravano più moderni e sono bellissimi.

B: Ne avrò cinquanta di quelle cose lì. Ne scrivo continuamente.

RV: Tante volte nei concorsi, quando sono in giuria, si sentono gli stessi pezzi suonati da concorrente dopo concorrente, cioè ogni insegnate ha un certo repertorio che insegna ai suoi studenti. Vengono ripetuti non solo gli stessi pezzi ma anche il modo di suonarli. Per fortuna ogni tanto arriva un compositore che propone qualcosa di nuovo, come hanno fatto negli ultimi anni insegnanti come Renzo Ruggieri nella musica varietè e compositori come Franck Angelis nella musica contemporanea. A me piacciono molto.

B: Detto da te dovrei essere molto contento.

RV: Io mi auguro che vengano scoperti e che qualcuno li suoni in qualche concorso, perché sono sicuro che nessuno li ha mai suonati. Sono brani  musicalmente profondi, non solo tecnici, anche se credo non siano proprio facili.

B: C’è stato il desiderio di esprimere qualcosa. Senza che nessuno mi abbia chiesto niente. E’ stata un’esigenza. Per esempio, parlando di “Profondo Buio”: è un brano che mi è stato ispirato dalla situazione di una persona a me vicina che ha avuto molti problemi, problemi esistenziali, anche di depressione. E quando qualcuno ti racconta qualcosa di drammatico, che non hai mai sperimentato, resti di ghiaccio. Sono stato molto colpito e ho scritto “Profondo buio”. Che sia riuscito o meno non dobbiamo essere noi a giudicare.

Come “Sul Treno”. È stata una cosa simpatica, perché ero proprio sul treno che andavo a Firenze, non sapevo cosa suonare e alla fine ho scritto quello.

RV: Come sei arrivato a suonare la fisarmonica e chi era il tuo insegnante?

B: Il mio primo insegnante è stato Marmiroli. Sai, valzerini e cose del genere. Poi ho cominciato ad ascoltare i dischi di Wolmer e di Kramer. E sicuramente studiare è molto importante, ma anche saper ascoltare, anche la musica classica. E poi comunque ognuno deve dare la propria impronta.

RV: Esistevano concorsi per fisarmonica in quegli anni? Quale concorso avevi vinto nel ’46?

B: Era il concorso nazionale di Stradella. C’era Marcosignori, più giovane di me, nei dilettanti.

RV: I lettori di Strumenti&Musica sono sempre interessati al sistema di fisarmonica suonato dai diversi fisarmonicisti che intervistiamo. Tu suoni la tastiera a bottoni C griff nella mano destra, però nella mano sinistra suoni un sistema che sta diventando abbastanza raro, cioè iI sistema Modenese. Come sei arrivato a suonare questo sistema?

B: Mi hanno dato in mano una fisarmonica così, in legno con solo tre file di bottoni. Aveva 46 bassi.

RV: Abbiamo parlato dell’ispirazione che hai dato ad altri fisarmonicisti come me. Quali sono le tue influenze musicali? Chi ti ha dato ispirazione sia nel mondo della fisarmonica che nel mondo della musica più generale?

B: Inizialmente è stato Paganini. Se prendi il “Sogno del Prigionero” ci sono dei riferimenti tecnici a Paganini. Poi, che so…Menuhin. Miro sempre in alto eh! Penso che sicuramente lo studente abbia bisogno di formarsi tecnicamente e di studiare ascoltando anche i classici, il fraseggio.

RV: Hai praticamente risposto alla mia prossima domanda, cioè: che consigli daresti ai giovani fisarmonicisti di oggi che vogliono essere i professionisti di domani?

B: Sicuramente studiare per sé stessi è la prima cosa. Tutte le professioni sono difficili. Chi vuole fare questa professione oggi deve avere un grande talento, che non è da tutti ma se c’è è una bella cosa riuscire a coltivarlo. In ogni caso la musica è qualcosa che ci accompagna per tutta la vita, lo dico per esperienza perché per me è ancora importantissimo poter suonare e incidere dischi.

RV: Che cosa pensi del liscio oggi? Ha un futuro?

B: Il liscio è un genere che è stato molto richiesto e che ho fatto come anche altri.

Il fatto è che prima del boom del liscio io avevo un complesso che andava nei night. Io andavo in giro così e una sera capita un tizio che mi manda a chiamare nella  pausa e mi dice, “Senta, noi abbiamo avuto Casadei per due sere a Milano ed è stato un boom”.

Gli ho chiesto, “Che genere fanno?” Dice, “Fanno valzer, polche, mazurche, insomma, alla gente piace molto. Lei verrebbe con la sua orchestra? Vorremmo aprire un locale… ”. Sono rimasto stupito e ho accettato di incontrarlo. Ci siamo trovati, è stato aperto un locale, in seguito altri due e ho iniziato ad adattarmi a quel genere non-tradizionale, perché si doveva fare anche “Blue Moon”, bisognava fare anche un po’ di swing e dei ballabili. Insomma ha funzionato, al punto che hanno aperto anche un altro locale che ha avuto il suo bel successo.

Ho ringraziato Dio perché era un momento un po’ difficile. Dovevi spostarti continuamente, invece lì si faceva un mese intero nei tre locali, in modo alternato. La cosa è proseguita per due o tre anni. Per fortuna, perché non ce la facevo più, anche se in fondo si guadagnava bene.

Avevamo un repertorio di 500-600 pezzi. In seguito ho lasciato quella formazione per fondare un complesso con due ragazzi, basso e chitarra, molto bravi. Si chiamava Historia Barimar e decidevamo il programma insieme: brani molto attuali, moderni.

RV: Mi ha fatto tanto piacere poter intervistare un fisarmonicista che mi ha ispirato così tanto da giovane e mi rincresce solo di non aver avuto l’opportunità di intervistare altri fisarmonicisti della sua generazione.  Una generazione che deve essere ricordata, di grandi musicisti con grande immaginazione, buon gusto, ed una buona preparazione musicale, di un epoca in cui il cosiddetto “liscio” era veramente bello, anche se il liscio è solo parte della storia di questo genio chiamato Barimar. Ti ringrazio da parte mia parte e di tutti i nostri lettori per averci concesso l’intervista.