Il “canto segreto” della fisarmonica

Intervista ad Alessio Elia

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Alessio Elia-PH MUPA booklet Credit Hrotkó BálintCome recita la sua biografia, giovanissimo, inizia lo studio del pianoforte, poi, qualche anno dopo, con l’ingresso al Conservatorio di Santa Cecilia di Roma, si dedica alla composizione. Prima di entrare nel merito di questa intervista, che verterà su quanto Alessio Elia ha scritto per fisarmonica, cercheremo di capire, più in generale, qualcosa di lui, della sua formazione, dell’humus musicale e culturale in cui è cresciuto.

Il tuo primo brano “ufficiale”, il Trio per violino, violoncello e pianoforte, vede la luce alle soglie del nuovo millennio . Eri ancora molto giovane. Quali erano, allora, i tuoi punti di riferimento musicali e come sono cambiati (se sono cambiati…) nel corso del tempo?

Il Trio per violino, violoncello e pianoforte è stato scritto nel 1999, quando avevo diciannove anni, e l’ho revisionato nel 2000, lo stesso anno di Les Fantômes du future luxe nocturne per contrabbasso e pianoforte (una commissione per il Festival di Sermoneta). A quel tempo i miei punti di riferimento erano Ravel e Scriabin. In particolare ero interessato alla nucleo-polarità scriabiniana che poi ho esteso negli anni a venire fino alla creazione di accordi nucleo-asimmetrici che impiego ancora oggi, anche se il mio vocabolario armonico si è decisamente esteso. Oggi la maggior parte dei miei lavori non utilizza il sistema temperato, ma integra diversi sistemi di intonazione in una procedura compositiva che ho denominato polisistemismo e che ho presentato per la prima volta in pubblico a La Cité de la Musique a Parigi nel 2014. Se negli anni del mio apprendistato intendevo la musica ancora come un linguaggio, oggi la interpreto come una forma di pensiero intellegibile attraverso i sensi e dunque in buona sostanza come sensazione. Compositori a cui sono legato in termini di ricerca sonora sono indubbiamente Ligeti, Scelsi e lo spettralismo francese, influenze che possono essere percepite più in modo concettuale che come un debito stilistico. Ho poi una predilezione per Paolo da Firenze, compositore dell’ars subtilior per lo più ignorato dalla storia della musica “ufficiale” ma che a mio avviso ha la stessa genialità di Mozart. La letteratura musicale si è costruita per lo più in termini storicistici e “politici”, ma non ha nessuna aderenza con lo sviluppo “reale” del pensiero musicale che ha una sua “storia” segreta e sotterranea che solamente chi si prende la briga di indagare approfonditamente può in qualche modo rintracciare.

Saba, Ungaretti, Apollinaire… I tuoi lavori sono ricchissimi di richiami poetici, prevalentemente, ma non esclusivamente, novecenteschi. E filosofici: Nietzsche, per esempio. Come si declinano, musicalmente, questi tuoi interessi letterari e filosofici?

Gli interessi letterari erano maggiormente presenti nella prima parte della mia produzione musicale, quando da adolescente coltivavo in particolar modo queste forme del pensiero umano. La filosofia è stata una parte integrante della mia formazione, sia scolastica, sia privata, ma con gli anni l’ho ricollocata nell’alveo del pensiero positivista, anch’esso, come la storia, principalmente impegnato nel veicolare forme-pensiero razionali che sono la parte meno interessante della conoscenza umana e probabilmente anche le meno vere. Negli ultimi quindici anni ho approfondito tematiche scientifiche, con un focus sulla fisica più recente, dalla teoria delle stringhe, alla M-teoria, fino alla fisica olografica dell’Universo di David Bohm. In modo specifico quest’ultima interpretazione dell’universo mi pare si coniughi molto bene all’interno di una descrizione più comprensiva della nostra realtà virtuale (ossia quella che comunemente indichiamo come realtà, chiamata più propriamente virtuale in quanto realtà modificabile), partendo dall’assunto che quello che noi definiamo come realtà è solamente una lettura olografica dell’energia che poi noi esseri umani risolviamo in una rappresentazione spaziale e temporale, ma che in vero si è espressa in un unico momento e in unico istante. Noi leggiamo questa realtà in modo progressivo, da lì la “sensazione” del tempo. In una certa misura questa interpretazione dell’universo ben si sposa con l’atto percettivo musicale: noi ascoltiamo eventi sonori in modo consequenziale, uno dopo l’altro, seppur la partitura esista già in modo compiuto nella sua totalità. È la nota dicotomia platonica del tempo kronos e aion, in cui ciò che “procede secondo numero” (la consequenzialità di cui sopra) esprime ciò che esiste già in un tempo esteso, eterno, da sempre e per sempre. Bohm si inserisce in questo contesto quando parla di ordine esplicito e ordine implicito. L’ordine esplicito altro non è che la manifestazione di un ordine più profondo, l’ordine implicito per l’appunto, che esiste al di là della nostra percezione. Il modo in cui queste acquisizioni si riversano nella mia musica sono molteplici. L’ordine esplicito/ordine implicito, è diventato parte fondante della costruzione formale dei miei lavori. Sezioni in cui elementi sono intrinsecamente presenti nella materia sonora si manifestano in modo palese in sezioni successive. Un esempio di facilissima comprensione è il fenomeno dei battimenti. Quando sovrapponiamo due suoni con particolari frequenze produciamo quella sensazione di oscillazione del volume, una sorta di effetto wah-wah, con una specifica frequenza (data dalla differenza della due frequenze utilizzate). Questo fenomeno è implicito nella materia sonora, ossia emerge da sé nella sovrapposizione dei due suoni, ma può essere traslato in una ritmizzazione esplicita realizzata attraverso suoni ribattuti. Da qui emerge anche il falso problema della linearità o non-linearità costruttiva della forma, che tanto ha impegnato i teorici e i compositori dagli anni Cinquanta del Novecento ad oggi. Una delle tante menzogne su cui si poggia la teoria musicale, principalmente occidentale. Seppur una costruzione formale possa essere non-lineare, la modalità con cui la percepiamo è sempre lineare, proprio in virtù della dimensione kronos in cui siamo immersi. Ovviamente esiste poi il paradigma retention/protention della fenomenologia della percezione, ossia la possibilità di mantenere memoria di ciò che esperiamo e di fare previsioni di sviluppo, ma in forme musicali inserite in linguaggi complessi questa facoltà è molto limitata, specificatamente nel cosiddetto strutturalismo degli anni Cinquanta questo meccanismo esperienziale è quasi nullo. Ne ho discusso dettagliatamente in un articolo che ho scritto per l’Università di Praga, per chi fosse interessato.

Sei anche autore di saggi musicologici. Mi piacerebbe sapere qualcosa del tuo lavoro su Sylvano Bussotti e Antonin Artaud, una figura di cui sono appassionato e di cui mi sono occupato, in passato, anche sulle pagine di questo giornale…

Dai sedici ai ventisei anni mi sono occupato di aspetti per così dire musicologici, anche se non ho mai abbracciato la professione. Erano studi indirizzati principalmente a me stesso, nell’ambito della ricerca musicale compositiva. Attorno ai ventidue anni scrissi un trattato di notazione musicale dal punto di vista della resa espressiva che essa sottende, e dai presupposti teorici che la ispirano. Si suddivideva in indirizzi di pensiero compositivo: razionale-deterministico, irrazionale-vitalistico, costruzionistico-empirico-fenomenologico, fisico-meterico, oggettuale-concreto, grafico-verbale. Bussotti era inquadrato in quest’ultimo indirizzo espressivo, nell’ambito della scrittura pittografica della musica, in cui il segno era portatore di un contenuto extra-musicale ampiamente interpretabile. I punti di contatti tra Bussotti e Artaud inerivano all’interpretazione da attribuire alla valenza del corpo, inteso nella sua natura di veicolo semantico e significante. In Bussotti questo recupero approdava direttamente alla dimensione dell’Eros. Nella visione bussottiana occorre restituire importanza al corpo, visto come fonte di energia che si tramuta in suono, quale mezzo di espressione della pulsione erotica, volta al superamento di quell’atrofia e quell’inerzia che il linguaggio musicale contemporaneo, con la sua mortificazione dell’Eros e il suo eccessivo tecnicismo e razionalismo, ha determinato. Artaud, dal canto suo, opporrà al teatro di rappresentazione, la concezione di un’arte che ritorni alle esperienze concrete della gestualità, vista come forma d’espressione anteriore al linguaggio, e come l’unico veicolo atto a manifestare, attraverso il corpo, la fisicità dell’esistente, in opposizione alla sterilità dei sofismi del puro razionalismo. In Bussotti, inoltre, musica, teatro, azione coreutica si fondono in una unio espressiva che trova nella matrice gestuale la sua fonte unitaria per l’appunto, associazione di esperienze che confluiranno nella dimensione del Bussottioperaballet, sigla che indica il festival itinerante del maestro.

All’inizio di questa nostra conversazione, hai fatto cenno a una tecnica compositiva di tua creazione, che hai chiamato  polisistemismo. Puoi spiegarla sinteticamente e in modo che sia comprensibile anche dai meno esperti tra i nostri lettori?

In parole molto semplici il polisistemismo, come suggerisce il termine stesso, è la simultanea presenza di diversi sistemi di intonazione. Ho utilizzato fino ad otto diversi temperamenti simultaneamente: il sistema equabile a 12-semitoni, il sistema equabile a 24-quarti di tono, il temperamento pitagorico, il mesotonico (quarter comma), l’intonazione naturale, e tre tipi di Werckmeister (I, II e IV). Il fine ultimo dell’uso simultaneo di diversi sistemi di intonazione, ben lungi dall’essere una mera speculazione intellettuale, è la creazione di fenomeni fisico-acustici da integrare all’interno dell’espressività sonora. Io non considero la musica un linguaggio, almeno non nell’accezione che vede il linguaggio come veicolo di un significato condiviso che viaggia da chi lo esterna a chi lo riceve. Al contrario, la musica è per me una forma del pensare che incarnandosi nel suono genera una sensazione. L’integrazione dei fenomeni fisico-acustici all’interno dell’espressione musicale pone un focus sulla percezione, sulle qualità e sui limiti della percezione uditiva umana. L’utilizzo di un solo sistema di intonazione, come ad esempio l’inflazionato sistema equabile a 12 semitoni, crea un numero limitatissimo di fenomeni fisico-acustici. Utilizzare invece otto temperamenti simultaneamente offre una tavolozza molto variegata di fenomeni acustici e un numero elevatissimo di sfumature e gradazione degli stessi. Ho scritto diversi articoli e tenuto molte conferenze e corsi sul polisistemismo, dalla sopramenzionata Cité de la Musique di Parigi, alle Università di Praga, Mannheim, Stoccarda, Oslo, per approdare ai corsi istituzionali dell’Accademia Liszt di Budapest e della Hochschule di Detmold, fino alla tesi di laurea del direttore d’orchestra Andreas Luca Beraldo al Conservatorio della Svizzera italiana di Lugano. I brani più importanti scritti con questa tecnica sono: Trasparenze per grande orchestra, commissione di Radio Bartók (Budapest), l’Octet per strumenti a fiato commissione dei Solisti della Scala di Milano, Traces from Nowhere commissione di Oggimusica di Lugano e Incantesimi di Merseburg, per coro a cappella a 16 parti soliste commissionato dallo Stuttgart Kammerchor di Frieder Bernius. Tra gli ultimi brani scritti con questa tecnica i più significativi sono Out of the magic circle per flauto solista ed ensemble scritto per Andrea Salvi e commissionato da Musicapura, e Crypto-lounge of a dark left per grande ensemble che sarà eseguito dal Ligeti Ensemble diretto da Peter Eötvös il prossimo 19 novembre a Budapest.

Veniamo, finalmente, alla fisarmonica. Il tuo primo pezzo per il “nostro” strumento è Joujoux Séduisantes (Seductive Toys) per flauto (anche piccolo), clarinetto, fisarmonica, violoncello e percussioni. Lo componesti tra il 2004 e il 2005 su commissione della Mehrklangorchester Berlin. Innanzitutto, vorrei sapere qualcosa di più su questo brano e sul significato del titolo…

Il brano è parte dell’opera lirica La Morte del Mago, incentrata sulla figura dello scrittore ungherese Géza Csáth, figura controversa del panorama letterario magiaro di inizio Novecento, morto suicida nel 1919. Csáth è senza ombra di dubbio da considerare un genio puro, un uomo che ha avuto brillanti illuminazioni, anticipando di molti anni gli esiti letterari e scientifici che verranno raggiunti solamente nella seconda metà del secolo scorso. Dico anche scientifici perché Csáth, oltre ad essere un brillante scrittore, era anche musicista e, soprattutto, un medico, tra i primissimi ad occuparsi di territori di confine della mente umana, tra i pionieri che hanno investigato il vasto campo della psicologia e della psichiatria, studi di cui in una certa misura rimarrà anche vittima. Il titolo fa riferimento ad una sua novella in cui alcuni ragazzi salgono nella soffitta di casa e trovano un baule pieno di cose bizzarre che hanno un qualche potere sul loro comportamento e che li destabilizzeranno.

Ti faccio tre domande “al prezzo di una”… Quando era avvenuto il tuo primo incontro, almeno da ascoltatore, con la fisarmonica? Perché, per Joujoux Séduisantes decidesti di confrontarti con questo strumento? Quali esigenze espressive pensavi che avrebbe soddisfatto?

Difficile rispondere alla prima domanda. Probabilmente il primo ricordo che ho della fisarmonica è quello legato alle feste di paese a cui si andava con la famiglia. Probabilmente avrò avuto quattro o cinque anni. La fisarmonica è presente in Joujoux Séduisantes per il semplice motivo che faceva parte dell’organico della Mehrklangorchester Berlin, l’ensemble che commissionò il lavoro. Incontrai la fondatrice di questo ensemble, Annette Riessner [fisarmonicista n.d.r.], nel 2004, ai corsi estivi di musica contemporanea di Darmstadt, e lei mi propose di scrivere un brano per il suo ensemble la cui esecuzione sarebbe poi avvenuta durante il Festival “Italianità” di Saarbrücken del 2005. Nel brano in questione ho affidato alla fisarmonica un canto dal carattere decisamente folklorico, immaginando l’ambientazione campagnola che emergeva dal racconto di Csáth.

Ti confrontasti con Annette Riessner durante la scrittura? Che tipo di relazione artistica ci fu tra di voi?

Il brano nacque proprio dallo scambio di idee avvenuto già durante i giorni dei corsi e approfondito successivamente via email nei mesi successivi. Fu una bella esperienza, umana prima che artistica, e fu anche l’occasione per me di visitare per la prima volta Berlino, città di cui mi innamorai immediatamente e nella quale sono tornato spesso negli anni a venire.

Per il tuo secondo incontro con la fisarmonica – Outskirts of Matter per controtenore, fisarmonica, pianoforte, trombone, 2 violini con scordatura, e violoncello con scordatura dobbiamo attendere ben quindici anni. Perché? Qualcosa si era incrinato nel tuo rapporto con il “mantice”? E com’è stato ritrovarsi a tu per tu con la fisarmonica dopo così tanto tempo?

In realtà non esiste una ragione specifica per cui non ho più utilizzato la fisarmonica. Semplicemente non è accaduto. Dal 2013 in poi, ho iniziato a scrivere quasi esclusivamente su commissione, e nella maggior parte dei casi l’organico è indicato dal committente, anche se non è sempre così. Outskirt of Matter è anch’esso un brano commissionato. L’ho scritto per i Wiener Collage, un ensemble costituito dai solisti dei Wiener Philharmoniker a cui si uniscono di volta in volta musicisti celebri del panorama internazionale. Il brano apparteneva a un concerto tematico sulla figura della Maddalena che si è tenuto nel dicembre 2020 presso l’Arnold Schönberg Center di Vienna. Mi sono ispirato alle primissime parole del capitolo quarto del Vangelo della Maddalena (i primi tre capitoli sono perduti) in cui ci si interroga sulla fine della materia, se essa venga distrutta oppure no, interrogativo che può essere esteso anche al suono come manifestazione sensoriale di un movimento materico. Il brano esplora proprio i confini della materia sonora, dove il suono ad altezza determinata si confonde col rumore, con l’effetto sonoro, con il fenomeno psico-acustico. Indubbiamente, la scrittura nella parte della fisarmonica di Outskirts è più matura rispetto a Joujoux Séduisantes. Per scrivere Outskirts of Matter mi sono avvalso della consulenza di Davide Vendramin, anche lui conosciuto ai Ferienkurse di Darmstadt nello stesso anno in cui conobbi Annette Riessner.

Chi c’era alla fisarmonica per la prima esecuzione di Outskirts of Matter? Che tipo di scambio c’è stato con lui?

La fisarmonica era affidata ad Alfred Melichar. Purtroppo non ho avuto modo di interagire con lui. Eravamo nel pieno della seconda ondata pandemica. È stata la prima volta che ho seguito le prove tramite una piattaforma social ed è stata un’esperienza terribile! È impossibile ascoltare il suono tramite queste piattaforme, soprattutto in un brano così dettagliato dal punto di vista timbrico. È stata la prima “prima” a cui non ho potuto presenziare, e me ne sono dispiaciuto molto, sia perché l’ensemble era eccellente, sia perché molte delle tecniche esecutive utilizzate in quel brano (ma in generale nella mia musica) hanno bisogno di una spiegazione dal vivo. Inoltre, la notazione ha i suoi limiti e alcune cose dell’arco espressivo formale non trovano compiutezza nella scrittura, ma necessitano di una integrazione verbale.

Il pezzo è preceduto dalla recitazione di un testo. Qual è il “soggetto” del testo e della partitura?

Il testo è presente solamente nel video del concerto, che è stato trasmesso in diretta streaming, senza pubblico per la ragioni spiegate prima. È il testo che ho preso a riferimento per la scrittura musicale, ossia le prime righe del capitolo quarto del Vangelo della Maddalena. “La materia sarà distrutta, oppure no? Il Salvatore disse: «Tutte le nature, tutte le formazioni, tutte le creazioni sussistono l’una nell’altra e l’una con l’altra, e saranno nuovamente dissolte nelle proprie radici. Poiché la natura della materia si dissolve soltanto nelle radici della sua natura»”.

Il prossimo 10 dicembre, a Roma, nell’ambito del Festival di Nuova Consonanza, sarà eseguito in prima assoluta Il Canto Segreto per tre fisarmoniche. Naturalmente, ancora non ho potuto ascoltarlo (il 10 dicembre, però, ci sarò!), ma ho letto alcune tue annotazioni in cui fai riferimento a Il Canto sospeso di Luigi Nono (1955/56), che prevedeva, tra l’altro, un organico estremamente diverso e ampio. In che relazione sono le due composizioni?

In relazione antitetica. Se nel brano di Nono il discorso è frammentato in modo puntillistico, nel mio brano le voci si compenetrano in un continuum. Se Nono declinava la forma in una struttura pre-ordinata, “matematica”, io ho scelto di valorizzare il fenomeno acustico, e la sua percezione, esplorandone i limiti, giocando con essi, verso una concezione della musica come sensazione. Il riferimento a Il canto sospeso di Nono è di natura poetica direi. È stato uno dei primissimi ascolti fatti nella classe di Giovanni Piazza, mio maestro di composizione al Conservatorio di S. Cecilia a Roma. Il brano è stato scritto in sua memoria. Il titolo ha una doppia lettura, una metaforica e l’altra prettamente tecnica. Il canto segreto è quella linea invisibile che lega le persone, che giace in un territorio remoto della nostra anima. Nel brano, inoltre, il canto segreto è costituito da una serie di suoni “invisibili”, non notati in partitura ma che emergono all’ascolto, prodotti da fenomeni fisici che si palesano attraverso alcune organizzazioni armoniche delle tre fisarmoniche.

Sempre in queste annotazioni parli di compenetrazione delle voci delle tre fisarmoniche in un tessuto inestricabile…

Il brano inizia con un unisono delle tre fisarmoniche, che via via si allarga verso altri intervalli, passando anche attraverso glissandi microtonali che sono realizzabili sulla fisarmonica attraverso una particolare tecnica dei tasti e del mantice. A poco a poco si inserisce una scrittura a mo’ di canone che si realizza su intervalli vicini, determinando una regione sonora in cui l’elemento melodico si compenetra in un tessuto armonico fatto di aggregazioni complesse. Il brano è organizzato come una singola voce, le tre fisarmoniche suonano infatti una sola linea melodica per manuale. Solo in alcuni momenti emergono bicordi, che servono per punteggiare il passaggio da una sezione all’altra. Dal momento che ho immaginato la linea melodica come un continuum, necessariamente, per via della durata limitata del “respiro” del mantice, essa deve passare da una fisarmonica all’altra attraverso un gioco di continui fading. La melodia è dunque realizzata solamente da una fisarmonica per volta, lasciando alle altre due il compito di realizzare echi, tracce sonore residue della melodia stessa, determinando un’acustica extra, che si sovrappone a quella fisica della sala da concerto. È un’acustica propria della scrittura musicale, oggettiva.

Da ensemble compositi a un trio di fisarmoniche. La scrittura è stata agevolata da questa scelta oppure è risultata più complessa?

Sono scritture totalmente differenti. La fisarmonica in un ensemble ha funzioni molto diverse se rapportata alla scrittura solistica o per gruppi di fisarmoniche. Sia per ragioni timbriche, sia per ragioni estetiche. Nel caso de Il Canto segreto, la fisarmonica è pensata come una voce, da lì anche la scelta di utilizzare un registro vocale, sovrapponibile alla voce di un soprano.

Puoi anticiparci i nomi dei tre concertisti?

Certamente: Umberto Turchi, Riccardo Pugliese e Stefano Di Loreto. Sono stati scelti da Nuova Consonanza che mi ha commissionato il brano. Non ho ancora avuto modo di incontrarli e sarò felice di farlo durante le prove del brano a Roma.

Tra la prima e la seconda partitura per fisarmonica sono trascorsi quindici anni; tra la seconda e la terza solamente due. Quando scriverai di nuovo per il nostro strumento?

È molto probabile che inserirò la fisarmonica in un brano per ensemble che sto progettando da molti anni e che probabilmente vedrà la luce il prossimo anno.

I tuoi prossimi progetti, anche extra fisarmonicistici?

Ho appena concluso la scrittura di cinque nuovi lavori che saranno eseguiti tutti in un arco temporale di un mese, dall’11 novembre al 10 dicembre, motivo per il quale la loro scrittura è stata gestita in modo parallelo. È stato un periodo lavorativo intensissimo. L’11 novembre ci sarà la prima asiatica, in Singapore, dell’Octet che ho scritto per i Solisti della Scala. Il 13 novembre la prima di Out of the magic circle per flauto solista ed ensemble, scritto per Andrea Salvi, che sarà eseguito nel Festival di Musica Pura in Pordenone con l’ensemble Impronta diretto da Andreas Luca Beraldo. Nello stesso concerto sarà eseguito anche un altro mio lavoro, Conifold transitions, per clarinetto solista ed ensemble. Poi, il 19 novembre, ci sarà la prima assoluta del mio più recente brano per ensemble, Crypto-lounge of a dark left, con il Ligeti Ensemble diretto dal grande direttore e compositore ungherese Peter Eötvös, all’interno del Festival “The day of listening” dell’orchestra Concerto Budapest. Il 23 novembre, invece, ci sarà la prima del mio Etude for string quartet, sempre a Budapest, con il Roman quartet. E poi arriviamo al 10 dicembre con Il Canto segreto, durante il 59° Festival di Nuova Consonanza. Questo per parlare dei brani terminati e in concerto nei prossimi giorni. Per quanto riguarda i nuovi lavori, al momento sono alle prese con tre commissioni. L’impermanenza della memoria per il Trio K (Manuel Zurria, Francesco Dillon e Emanuele Torquati) che lo eseguirà al Budapest Music Center il prossimo 23 maggio. Wreiheit per orchestra di fiati, commissione della Dresdner Bläserphilharmonie diretta da Andrea Barizza, la cui prima sarà il 12 marzo 2023 presso il Kulturpalast di Dresda. E infine Celestial keys, per coro misto e orchestra commissionatomi dallo Stuttgart Kammerchor diretto da Frieder Bernius, per il Festival Ligeti 100. Quest’ultimo brano è pensato come “contraltare” di Clocks and Clouds di Ligeti con cui condivide lo stesso organico, un’orchestra imponente molto particolare, in cui i fiati sono presenti fino a un numero di cinque per strumento (5 flauti, 5 clarinetti etc.). Tra i prossimi progetti c’è anche un CD monografico di miei lavori. La mia prima esperienza discografica, avvenuta nel 2018, è stata davvero entusiasmante: i Solisti della Scala diretti da Andrea Vitello e un’etichetta discografica major come la Warner Classics. Ritornare in studio sarà una gioia immensa. È decisamente un periodo lavorativo molto intenso, di cui sono molto entusiasta soprattutto per la particolarità dei progetti e per gli eccellenti musicisti coinvolti.

 

Foto: © Andrea Félvegi – © Bálint Hrotkó