Le proprietà transitive della fisarmonica

Intervista a Fabrizio Nastari

450

Fabrizio Nastari - intervista Strumenti&Musica 2023Passare, spontaneamente, dal lei al tu è stata questione di un attimo. Quando si dice empatia… Non solo l’interesse e l’amore per la fisarmonica, ma anche quello per la poesia e le tante (belle) conoscenze in comune hanno contribuito al piacere di realizzare quest’intervista.

Fabrizio Nastari, sul tuo sito si legge che sei “an Italian composer whose aesthetic is based on the use of ironic devices”. Su quello di Nuova Consonanza c’è scritto che la tua “estetica si definisce nella riflessione e nell’uso dell’ironia”. Qual è l’oggetto della tua riflessione e come si traduce l’ironia nella tua musica?

Oggetto della mia riflessione è, in generale, il rapporto dell’uomo con sé stesso e ciò che lo circonda. Questo mi porta spesso a individuare contraddizioni, problemi e domande che nello specifico cambiano poi di brano in brano. Da qui nasce il mio interesse verso l’uso dell’ironia come strumento per evidenziare e invitare anche chi ascolta a meditare su determinate questioni. Ricorrendo quindi a diversi linguaggi musicali, anche lontani fra loro, riesco a tradurre musicalmente l’ironia come io la intendo. Il contrasto fra materiali diversi, la decontestualizzazione o la deformazione di essi per esempio, mi permette di scorgere aspetti dell’oggetto che prendo in considerazione, che altrimenti rimarrebbero nascosti. Per fare un esempio pratico, il quartetto d’archi Rovine che ho composto per il Mivos Quartet, cita nell’ultimo movimento la Marcia di Radetzky in un contesto microtonale e con uno spirito niente affatto gioioso, com’è invece l’originale. In questo modo spero di portare, almeno qualcuno, a ricordare la storia, ovvero che quella marcia fu scritta per celebrare la riconquista di Milano nel 1848. Eppure quando ascoltiamo la Marcia composta da Strauss nessuno ripensa più al motivo per cui fu creata quella musica. L’oggetto di riflessione in questo caso era dunque il significato dell’arte in generale e il suo ruolo storico; le motivazioni di un artista a creare e il suo fine; cosa rimane dell’oggetto artistico dopo il periodo in cui è stato creato.

Sempre sul tuo sito ho potuto scorrere il tuo denso catalogo, suddiviso per generi e forme. Ho messo i tuoi lavori in ordine cronologico: il primo che menzioni è del 2015, Disperata Vitalità per violino, mentre il primo in cui la fisarmonica fa la propria apparizione è Là su del 2018. Tra i due, ben nove partiture per svariati ensemble e appena tre anni. Com’era avvenuto l’incontro con la fisarmonica?

L’incontro con la fisarmonica è avvenuto grazie ad alcuni dei miei docenti del Conservatorio di Latina, che colgo l’occasione di ringraziare: Paolo Rotili, mio primo docente di Composizione, e Patrizia Angeloni, insegnante di fisarmonica, entrambi instancabili didatti che hanno creato sempre molte possibilità di collaborazione fra le loro classi; poi, Francesco Antonioni e Paolo Tortiglione hanno proseguito sostenendo e aiutando gli studenti a dare vita alle loro, e anche mie, idee. Infatti, ci sono altri brani che ho scritto che includevano la fisarmonica prima del 2018, ma essendo progetti scolastici che non mi rappresentano non li ho inseriti nel catalogo.

Dunque, possiamo dire che fu Patrizia Angeloni il tuo mentore?

Il principale mentore è sicuramente Patrizia Angeloni. Ha proposto negli anni così tanti workshop e lecture di fisarmonicisti e/o compositori che hanno reso graduale e quasi semplice avvicinarsi alla scrittura per questo strumento.

Quali caratteristiche della fisarmonica catturarono per prime la tua attenzione?

Della fisarmonica mi ha sempre attirato un po’ tutto, ed è stato un problema, inizialmente. La sua grande estensione, così come la sua grande varietà espressiva mi portavano più dubbi che idee, ma c’è stato un momento in cui ho capito che ciò che mi catturava di più era la possibilità di poter avere una potenza di suono notevole che però poteva essere ridotta al minimo, fino a far quasi scomparire il suono

Su quali compositori per fisarmonica si è soffermata la tua attenzione? Che cosa hai ascoltato prima di scrivere per il nostro strumento?

Ho potuto ascoltare tantissima musica per fisarmonica durante gli anni di conservatorio, sia solista che in ensemble, e questo mi ha fornito tante idee, ma i brani che mi hanno colpito di più rimangono quelli che sono piuttosto noti a tutti: il De Profundis di Sofija Guibajdulina, Vagabonde Blu di Salvatore Sciarrino e Revis Fairy Tale di Alfred Schnittke.

Mi permetto di rivelare ai nostri lettori, che, in una conversazione privata, hai voluto precisare che i tuoi “lavori per fisarmonica di cui vale la pena parlare” sono solamente gli ultimi due. Hai commesso un errore gravissimo: così dicendo, hai stimolato ulteriormente la curiosità (e la perfidia) del giornalista… Che, in assenza di registrazioni dei brani “proscritti”, ti chiede di parlargliene. Cominciamo dal primo, Là su. In quale contesto strumentale e vocale inseristi la fisarmonica?

Là su è una composizione con un organico molto particolare. È per piccola orchestra e baritono, ma vi sono anche strumenti come chitarra, mandolino, arpa, clavicembalo e, appunto, la fisarmonica, che offrono possibilità di creare situazioni sonore ed espressive interessanti per me. In questo contesto la fisarmonica ha un ruolo funzionale prima di tutto, poiché mi permette di legare bene gli archi, i fiati e gli strumenti a pizzico. Si può dire quindi che la fisarmonica aiuti le transizioni fra timbri e situazioni musicali molto diverse fra loro.

Sempre del 2018 è Nascita del canto per baritone 1111, 1110, 2, accordion, harp, piano, strings; testo da Giosuè Carducci (poi, torneremo sui poeti)…

Questo brano è molto simile come concezione a Là su, infatti è dello stesso anno e la fisarmonica si muove in un contesto simile, di piccola orchestra. Anche qui dunque la fisarmonica mi aiuta a collegare diverse situazioni, ma in questo caso ho voluto sfruttarla anche insieme alla voce che viene arricchita con i timbri e i colori della fisarmonica, senza coprirla.

A cavallo tra il 2018 e il 2019, hai scritto Unforeseen Consequences. Stavolta, assieme alla fisarmonica, ci sono un soprano, un pianoforte, il sax (prima alto, poi tenore) e una chitarra elettrica. Gli ultimi, soprattutto la chitarra elettrica, strumenti desueti nella musica colta. “Raccontami” il brano – a cominciare dal titolo, Conseguenze impreviste -, l’ensemble e il ruolo affidato alla fisarmonica.

Questo brano è nato come esperimento dopo che ho incontrato L’Arsenale Ensemble a Tallinn. Era il mio primo anno in Estonia e loro dovevano fare dei workshop nell’Accademia. Ho quindi avuto la possibilità di approfondire alcuni aspetti della fisarmonica quando combinata con la chitarra elettrica e il sassofono, soprattutto. Ho trovato molto interessante timbricamente l’accostamento con i suoni distorti della chitarra che è difficile spiegare a parole, andrebbe ascoltato, ma è una possibilità che sfrutterò sicuramente in futuro. Unforeseen consequences è il titolo di una poesia dell’inglese Bryan Bilston; il testo applica la serie di Fibonacci al numero delle parole, ciò comporta che, in modo surrealistico, le parole diventino troppe per lo spazio predisposto e la poesia finisce improvvisamente per questo motivo. Ho provato a tradurre musicalmente questa idea ma la composizione è rimasta più vicino a un esperimento e spero in futuro di riprenderlo e renderlo un brano più strutturato.

A chi “consegnasti” la fisarmonica nelle prime esecuzioni di queste “primitive” esperienze con il nostro strumento?

Inizialmente ho lavorato molto con gli studenti del Conservatorio di Latina ed è stato utile per imparare perché fra giovani studenti si esplorano gli strumenti con un’ingenuità e freschezza che permette di imparare; sbagliando s’impara potremmo riassumere. La docente, Patrizia Angeloni, era sempre presente alle prove e aiutava quindi a rendere concrete le idee aggiustando la mira, sia di noi compositori che dei suoi studenti.

Prima di arrivare ai due brani “prediletti” per fisarmonica, prendiamoci una breve “vacanza” dal mantice per tornare sulla tua formazione, sulla tua poetica e per analizzare l’uso che fai di altri strumenti. Ho alcune curiosità da soddisfare in proposito. La formazione, innanzitutto: mi hai già detto di aver studiato composizione con due Maestri che stimo moltissimo professionalmente e umanamente: Paolo Rotili e Francesco Antonioni. Musicalmente sono molto distanti tra loro. Che cosa ti ha trasmesso l’uno e che cosa l’altro?

Credo che sia stata una fortuna per me poter studiare con entrambi perché mi hanno guidato e fatto conoscere la musica con punti di vista diversi. Entrambi mi hanno trasmesso un’etica del lavoro del compositore, che prima dell’idea deve avere voglia e desiderio di passare ore e giorni davanti alla partitura prima di consegnarla; ho sempre avuto chiaro quanto sacrificio e fatica ci sia dietro alla scrittura grazie a loro. Rotili è stato il mio primo insegnante e ho seguito quindi corsi di analisi e di teoria di base che erano fondamentali; negli incontri individuali mi lasciava molto spazio per sperimentare idee diverse e discutevamo dei diversi linguaggi e possibilità che avevo; Antonioni mi ha invece guidato verso il diploma e mi ha aiutato a mettere meglio a fuoco la mia personalità. Sono grato ad entrambi per il loro incessante sostegno che ancora continua adesso. Ora quando insegno cerco di avere il loro stesso atteggiamento.

Sempre a proposito di formazione vorrei conoscere i tuoi gusti personali: quali sono stati i primi ascolti, quelli che ti portarono, magari fin da piccolo, a prediligere la musica colta anziché il rock o il pop? E quali quelli che, maggiormente, hanno inciso sulla tua produzione musicale?

Ho iniziato molto tardi ad avvicinarmi alla musica. Nessuno nella mia famiglia suona o ha studiato uno strumento musicale, anche se fortunatamente avevano gusto e sono cresciuto ascoltando cantautori italiani. Nel primo anno di liceo scientifico, ho fatto amicizia con un ragazzo, Gabriele, che studiava in conservatorio e che mi ha fatto conoscere moltissima musica. Fra vari suggerimenti mi disse di ascoltare la ciaccona di Bach e casualmente ascoltai la trascrizione per chitarra. Quello è stato il colpo di fulmine che ha provocato in me una voglia di conoscere tutta la musica. Siamo ancora amici e abbiamo condiviso moltissime esperienze musicali. Il periodo del liceo è stato caratterizzato dalla passione per la musica rock, anche metal, che coltivavo con gli amici e con cui ho provato a suonare un po’ tutti gli strumenti; contemporaneamente, però, volevo capire bene il funzionamento della musica e le sue possibilità e quindi dopo chitarra classica, ho cominciato gli studi di armonia privatamente, poi contrappunto e anche pianoforte. Finendo il liceo, avevo capito che la musica colta era il mio interesse principale e mi sono iscritto al conservatorio di Latina.

Albert Camus, Dante Alighieri, Giosuè Carducci, Edgar Allan Poe, Ludovico Ariosto, Johannes Schmuul, Giacomo Leopardi: sono gli autori di testi che appaiono nei tuoi lavori. C’è un fil rouge che li collega tra loro e che tu hai scorto?

Non c’è qualcosa che lega questi autori se non il fatto che spesso trovo ispirazione leggendo sia romanzi che poesie. Quando l’ispirazione è molto forte allora la dichiaro all’inizio della partitura, anche quando non c’è una voce nella composizione.

Mi hai detto, prima dell’intervista, che sei interessato alla composizione di brani con azioni teatrali. Tra gli esempi che mi hai fatto c’è Elogio dell’errore per clarinetto solo (2022). L’esecuzione prevede una serie di movimenti della concertista sulla scena. Qual è il valore aggiunto dell’azione? E una curiosità: è facile trovare strumentisti che siano interessati e disponibili a questo tipo di performance?

Credo che sia interessante lavorare pensando al palco e ai movimenti del musicista. Non so se aggiunga qualcosa, perché a ogni modo bisogna trovare un equilibrio tra la componente teatrale e quella musicale. Spesso un compositore immagina il gesto del musicista che suona, e questi gesti possono essere molto teatrali, anche se dipende molto dalla personalità del musicista. Credo però che la componente visiva durante un concerto abbia un suo ruolo e, nel momento in cui ho cominciato a soffermarmi sull’importanza di ciò che volevo vedere sul palco, non solo ascoltare, allora ho voluto chiedere a degli interpreti di utilizzare anche il proprio corpo e tutto il palco nella loro interpretazione. Per scrivere un brano con azioni teatrali credo sia necessario conoscere i musicisti con cui si collabora e dialogare molto. Del resto non siamo formati per essere ballerini o attori, e il palco lo viviamo in modo diverso. Sarebbe del tutto legittimo se un musicista non avesse voglia di sperimentare soluzioni di questo tipo. Nel caso che citi di Elogio dell’errore ho avuto la fortuna di avere una collega e amica molto disponibile e curiosa di provare alcune soluzioni, tra cui quella di cambiare da clarinetto moderno a clarinetto antico durante il brano. Ci tengo a ringraziarla, Vittoria Ecclesia, a cui ho chiesto di indossare un tamburello su uno dei due piedi, e di suonare mentre cammina, marcia e corre lungo il palco. È molto faticoso fisicamente e richiede grande concentrazione perché oltre alla musica bisogna imparare i movimenti. Non so quanti musicisti sono interessati a lavorare in questo modo, ma per ora ne ho trovati diversi. Il prossimo lavoro, Épos, che ho scritto per i Blow Up percussion, prevede diverse azioni teatrali, e ci siamo confrontati molto per trovare le soluzioni più efficaci.

L’ukulele è decisamente uno strumento inconsueto nel mondo della musica colta. Molto di più della chitarra elettrica. Hai scritto ben tre partiture per ukulele solo: Dies Rainbow del 2020, Disperata Vitalità, nella sua versione del 2021, e Pappagalli Verdi dello stesso anno. Quali sonorità e quali possibilità espressive dell’ukulele hanno stimolato la tua creatività? Ho ascoltato Dies Rainbow e ne sono stato davvero sorpreso. Mi è piaciuto molto e ti confesso che, probabilmente, se non avessi saputo che si trattava di un ukulele e non avessi visto il video dell’esecuzione, non avrei saputo riconoscere lo strumento…

Tutto è nato dall’idea di Giovanni Albini, docente al conservatorio di Alessandria, che ha deciso di investire le sue energie in questo strumento aprendo anche il primo corso in un conservatorio italiano. Ha commissionato molti pezzi e io sono stato subito stimolato. Ogni brano che scrivo cerco di trovare nuove sfide che in questo caso era lo strumento stesso. È uno strumento piccolo e può sembrare un giocattolo ma può anche avere un suono caldo e profondo; inoltre, l’ukulele soprano ha l’accordatura rientrante, e ciò permette soluzioni interessanti a livello sia accordale che melodico. Queste caratteristiche mi hanno fatto pensare, nel caso di Dies Rainbow, alla possibilità di un contrappunto fra la melodia leggera e sognante di Somewhere over the Rainbow, con il canto gregoriano del Dies Irae. Invece, in Pappagalli Verdi ho preso spunto dal libro di Gino Strada, dove descrive l’uso di bombe a forma di pappagallo per attirare i bambini. In questo caso dunque ho immaginato l’ukulele come un giocattolo che lentamente cambia tipo di risonanze e di gesti, come si rompesse. Lavorare con strumenti inconsueti mi ha sempre stimolato molto, perché diventa quasi obbligatorio lavorare a stretto contatto con l’interprete; a questo proposito vorrei citare anche Alessandro Santacaterina, musicista eccezionale che sta girando l’Italia con la chitarra battente. Propone improvvisazioni, combinazioni con l’elettronica, o brani di nuova musica scritta per lui, tra cui il mio brano Tarantoten. Ne sto scrivendo un altro, e mi piacerebbe in futuro combinarlo con altri strumenti, magari proprio la fisarmonica.

Veniamo agli ultimi pezzi per fisarmonica che hai composto. Di 9 13 18 24 Umberto Turchi, che ne è stato anche l’interprete, ha scritto sulle pagine di “Strumenti&Musica” che “nasce da un’interessante ricerca intorno alle sonorità fisarmonicistiche”. Un pezzo “in cui la ciclicità è uno degli elementi strutturali. Nel brano si fa uso di pochi gesti strumentali, che vengono sapientemente sfruttati per costruire una trama talvolta al limite dell’alienante”. In quale contesto è nato il brano e come si articola?

Il brano è stato scritto durante la prima pandemia, per cui la parola “alienante” che usa Umberto è molto adeguata. Ero chiuso in casa con la mia compagna a Milano, ma entrambe le nostre famiglie erano a Roma. Quello che cadenzava le giornate erano purtroppo i bollettini dati dai notiziari. Il titolo, infatti, si riferisce agli orari in cui ci mettevamo davanti al televisore a seguire gli aggiornamenti. In questo contesto l’elemento della ciclicità e dell’alienazione era costante e ho cercato di trascriverlo in musica alternando gesti molto chiari che non sembrano portare da nessuna parte.

Elogio della Caduta per fisarmonica e violino è l’ultima delle tue creazioni per il nostro strumento. Eseguito da Kaija Lukas (violino) e Momir Novakovic, un fisarmonicista che, recentemente, proprio Patrizia Angeloni ha intervistato per questo giornale. Quali qualità della fisarmonica hai voluto esplorare in questo brano e su quale terreno avviene l’incontro con il violino?

Momir ha avviato questo interessante progetto con sua moglie, che è una violinista eccezionale. Purtroppo lei non era disponibile nella data del concerto, ma Kaija è una violinista altrettanto talentuosa. A ogni modo avevo sentito un loro concerto l’anno scorso e avevo già in mente diverse sonorità che mi avevano colpito. Mi sono concentrato molto sul registro acuto; entrambi i manuali della fisarmonica e il violino si mescolano molto bene e a volte si confondono. Il brano poi si sofferma sull’idea della cadenza classica, quindi entrambi gli strumenti hanno momenti solistici, e credo che la fisarmonica riesca a esprimere bene il suo potenziale e sfrutto quasi del tutto la sua estensione. A settembre Momir suonerà nuovamente Elogio della caduta, questa volta con sua moglie Mari, al Festival di Castelfidardo.

Finiamo, naturalmente, con i progetti. So che hai in cantiere un lavoro importante da portare a termine per ottobre 2024. Nell’ensemble ci sarà la fisarmonica e…? Prosegui tu…

A ottobre del prossimo anno presenterò un’opera da camera all’interno dell’Afekt Festival con il supporto dell’Ambasciata Italiana di Tallinn. Verrà eseguita da L’Arsenale Ensemble e sarà il progetto finale della mia tesi di dottorato all’Accademia Estone. La fisarmonica quindi, suonerà con una chitarra elettrica, un sassofono, un pianoforte e l’elettronica, oltre, ovviamente, alla voce di Livia Rado. L’opera sarà un’allegoria del mondo accademico, e metterà in scena il dialogo fra “lo studente” e “la ricerca”. Una situazione kafkiana, dove “lo studente” è incastrato fra diverse realtà fra cui scegliere o che è obbligato ad accettare. Sarebbe bello ricreare questo stato d’animo anche negli strumentisti, ma sono solo alle prime fasi dell’ideazione, è troppo presto per sapere esattamente che strada percorrerà la musica.