Il paradiso perduto dell’umanità

Giuseppina Manin, “Complice la notte”

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Giuseppina Manin - Complice la notteChe siate appassionati di musica (ovvio, altrimenti non leggereste questo giornale), di storia del Novecento o di buona narrativa, questo libro di Giuseppina Manin fa per voi. Se, poi, amaste tutti e tre i generi, allora non potrete fare a meno di leggerlo. Complice la notte, edito da Guanda un anno fa, è un romanzo biografico o – se preferite – una biografia romanzata, in cui mi sono imbattuto grazie alla segnalazione del musicologo Enzo Restagno, che, nel corso di una conversazione su Sofija Gubajdulina, me ne raccomandò la lettura: per comprendere meglio l’ambiente storico e culturale in cui si formò la compositrice sovietica (tatara, per l’esattezza) su cui stavo (e sto) scrivendo una lunga serie di articoli in corso di pubblicazione su questo magazine, nulla di meglio – mi disse – di questo testo. Enzo Restagno aveva ragione – come sempre, d’altronde – e le duecentoquaranta pagine del libro, dedicato alla straordinaria pianista russa Marija Judina, sono fluite sotto i miei occhi – e dentro il mio cuore – in men che non si dica.

Di Sofija Gubajdulina Marija Veniaminovna Judina (1899-1970) fu davvero amica, nonostante la grande differenza d’età (oltre trent’anni). Eseguendone le opere, la pianista contribuì a far crescere la fama dell’allora giovane compositrice e le due donne condivisero, oltre all’amore per la seconda arte, lo slancio verso il Sacro, così presente ed evidente nella musica di entrambe. Nella nota finale, Giuseppina Manin rivela che fu proprio dalle labbra di Gubajdulina che sentì pronunciare per la prima volta il nome e la storia di Marija Judina. Una storia, che, percorrendo i primi settant’anni del secolo scorso, s’interseca con quella della Rivoluzione d’Ottobre, dalla quale, inizialmente, Judina fu attratta con ardore giovanile (“Un giorno, uscendo di casa, d’impulso mi unii alla fiumana di gente. Dal conservatorio arrivai a uno dei centri rivoluzionari. Qui ferveva la vita, vi si rifocillava la gente, si distribuivano armi, si fasciavano i feriti, c’era bisogno di persone istruite, svelte, coraggiose. E io feci in modo di rendermi utile all’istante”) e del suo tradimento da parte di Stalin. Stalin, che l’ammirava profondamente senza essere ricambiato, e che la pianista osò sfidare come pochi ebbero il coraggio di fare. Il romanzo di Giuseppina Manin si apre proprio con uno «zoom» sulla notte in cui morì l’«Uomo d’Acciaio». Sul piatto del grammofono dell’uomo più amato, odiato e temuto di tutte le Russie “gira a vuoto […] come una trottola arrivata a fine corsa” un 78 giri: il concerto per pianoforte n. 23 in la maggiore K 488 di Wolfgang Amadeus Mozart, interpretato da Marija Judina. Stalin aveva ascoltato alla radio quell’esecuzione per la prima volta nove anni prima. Rimastone folgorato, ne aveva preteso la registrazione. Alla pianista inviò, in segno di riconoscenza, una cifra del tutto considerevole (ventimila rubli) accompagnata da un biglietto: “Marija Veniaminovna, voglio esprimerle la mia ammirazione per la sua magnifica esecuzione del concerto di Mozart alla radio. Conserverò con cura la registrazione discografica che mi è stata recapitata. Voglia gradire un piccolo segno di gratitudine per la sua arte. Iosif Stalin”. La risposta di Marija Judina non si fece aspettare. Con un coraggio pari solamente alla propria arte, scrisse: “Iosif Vissarionovič, vi ringrazio per il vostro aiuto. Pregherò per voi giorno e notte, chiedendo al Signore di perdonare i grandi peccati che avete commesso nei confronti del popolo e del Paese. Il Signore è misericordioso e vi perdonerà. Quanto al denaro, l’ho dato alla chiesa che frequento. Marija Veniaminovna Judina”.

Tra le speranze accese dall’Ottobre e i crimini di Stalin, prima, e di Bréžnev, poi, passando attraverso la breve stagione di Chruščëv, si dipanarono l’arte e la vita di Marija Judina, e si dispiegano le pagine del bel romanzo di Giuseppina Manin. Una vita fatta di dolori incolmabili (la morte del suo unico, grande amore: il giovane, brillante allievo Kirill Georgevič Saltykov), di persecuzioni dalle quali solamente il suo grande talento la salvò da esiti irreparabili, di amicizie intensissime e incontri straordinari con le “migliori menti della sua generazione”: Anna Achmatova, Michail Bachtin, Lev Pumpjanskij, Boris Pasternak, Sergej Prokof’ev, Maksim Gor’kij, Dmitri Shostakovich, Igor Stravinsky, Pavel Florenskij, filosofo, matematico e presbitero ammirato da Trotsky, che, nel 1936, quattro anni prima dell’assassinio di quest’ultimo da parte di un sicario di Stalin, deportato nel gulag presso il quale avrebbe trovato la morte l’anno successivo, le scrisse: “Cara Marija, poco fa alla radio ho ascoltato un concerto di Mozart. E ogni volta, con stupore, riconosco questa chiarezza, il paradiso perduto dell’umanità. Il mondo impazzisce e infuria alla ricerca di un qualcosa, mentre ha già in mano l’unica cosa che serve: la chiarezza. La cultura borghese si sta disgregando perché in essa non c’è un’affermazione chiara, un netto sì al mondo. Essa è tutta nel come se, come se fosse, l’illusione è il suo vizio principale. Solo nell’autocoscienza infantile ciò non esiste, e così è in Mozart”.

Giuseppina Manin collabora alle pagine “Spettacoli e Cultura” del “Corriere della Sera”. Si occupa di teatro, musica e cinema. Tra le sua pubblicazioni, Nel giardino della musica. Claudio Abbado: la vita, l’arte, l’impegno.

 

Giuseppina Manin, Complice la notte

Editore: Guanda, Milano

Anno di edizione: 2021

Pagine: 240, bross., € 18,00

 

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