“Cose così eccelse…” Breve promemoria sulla vita e le opere di Ludwig van Beethoven

361

“Figlio e nipote d’arte”. Ludwig van Beethoven, che nasce a Bonn il 16 dicembre 1770, non deve nulla, però, né al nonno, né, tantomeno, al padre, tenore presso il coro dell’arcivescovo elettore di Colonia. Un uomo rozzo, violento, dedito all’alcol, che porterà la famiglia al disastro finanziario e sociale, e che, memore delle imprese del giovane Mozart e del padre che era stato il suo mentore, cerca — invano — di mettere a frutto il talento del figlio, facendolo esibire e imponendogli massacranti lezioni di musica.

Per la buona sorte di Beethoven e dell’intera umanità, nel 1779, arriva a Bonn Christian Gottlob Neefe (1748- 1798), che intuisce immediatamente le potenzialità del giovanissimo Ludwig e ne diventa il primo, vero Maestro. È grazie a lui, che, nel 1783, Beethoven diventa cembalista nell’orchestra del teatro di corte.

L’anno successivo, una nuova, importante personalità compare nella vita di Beethoven: Maximilian Franz, figlio di Maria Teresa d’Austria, fratello dell’imperatore Giuseppe II e di Maria Antonietta, regina di Francia. In campo politico, il giovane elettore arcivescovo è, come la madre, un convinto riformatore, promuove la nascita di circoli intellettuali e la circolazione di nuove idee. Per suo desiderio, Beethoven diventa secondo organista di corte, e, nel 1787, si trasferisce a Vienna, a quel tempo “capitale musicale” d’Europa, per proseguire i propri studi. Quel soggiorno, però, sarà brevissimo. Le cattive condizioni di salute della madre, che morirà di lì a poco, convincono Ludwig a tornare a Bonn. Il padre è sempre più irresponsabile e Beethoven, non ancora ventenne, deve assumersi la responsabilità di capofamiglia anche nei confronti dei due fratelli più giovani. Per farsi carico, economicamente, di questa incombenza, il giovane moltiplica gli impegni lavorativi: nell’orchestra teatrale suona anche la viola, e si dà all’insegnamento. Soprattutto, presso i von Breuning, dove trova un ambiente tanto ospitale da supplire, in parte, alle deficienze affettive della propria famiglia.

Nel 1790, Beethoven compone la Cantata per la morte dell’Imperatore Giuseppe II e la Cantata per l’elevazione al trono imperiale di Leopoldo II. È anche l’anno in cui ha l’occasione di conoscere Franz Joseph Haydn, che ammira il talento del giovane e gli promette di diventare suo Maestro. Una promessa che il più famoso compositore dell’epoca non manterrà, se non assai parzialmente.

Nel 1792, Beethoven torna a Vienna. Maximilian Franz, la vedova von Breuning e il conte von Waldstein, nuovo mecenate del giovane, lo sostengono nell’impresa senza chiedere nulla in cambio. È così che, con Beethoven, inizia a mutare la condizione sociale del musicista, che si emancipa, finalmente, dalla subordinazione alle corti aristocratiche. A Vienna, grazie alla presentazione di Waldstein, nuovi mecenati si uniscono agli altri: i principi Lobkowitz e Lichnowsky.

Dopo il brevissimo discepolato presso Haydn, gli studi di Beethoven proseguono con Johann Georg Albrechtsberger (1736-1809) e, molto probabilmente, con Antonio Salieri (1750-1825).
Tra il 1795 e il 1798, cresce la fama di Beethoven come compositore e pianista. Sono anni di importanti esibizioni, di pubblicazione delle sue musiche presso l’editore Artaria, di una lunga tournée a Praga, Dresda e Berlino, della composizione di opere importanti come le Tre Sonate per pianoforte, op 10, la Sonata per pianoforte, op. 13 (Patetica). Sono anche gli anni, però, il 1798 in particolar modo, in cui peggiora la sua sordità.
Anche la sua fama d’insegnante cresce. Nel 1799, la famiglia von Brunswick accoglie Beethoven nella propria casa: le giovani Therese e Josephine, e la loro cugina, Giulietta Guicciardi, prendono lezioni di musica da lui e ne restano ammaliate. La Sonata op. 27 del 1801 (in seguito nota col titolo Al chiaro di luna) è dedicata a Giulietta, mentre Josephine potrebbe essere l’«Amata Immortale» delle tre celebri lettere scritte nel 1812 e rinvenute dopo la morte del musicista: “I miei pensieri volano a te, mia Amata Immortale, ora lieti, ora tristi, aspettando di sapere se il destino esaudirà i nostri voti […] Il tuo amore mi rende il più felice e insieme il più infelice degli uomini […] amami — oggi — ieri — che desiderio struggente di te — te — te — vita mia — mio tutto […]”

Data fondamentale per la legittimazione di Beethoven come «gigante tra i giganti» musicali viennesi è il 2 aprile 1800. Al Burgtheater, nell’ambito della stessa serata, vengono eseguiti una sinfonia di Mozart (di incerta identificazione); una parte della Creazione di Haydn; la Sinfonia n. 1 e il Settimino (op. 20), intrattenimento per violino, viola, violoncello, contrabbasso, clarinetto, corno e fagotto di Beethoven.

Assieme alla fama, cresce anche la sordità, però. La malattia e il dolore profondo che ne consegue, sono drammaticamente documentati dal cosiddetto Testamento di Heiligenstadt, scritto nel 1802, ma mai inviato ai fratelli che ne sono i destinatari. Il testo sarà ritrovato, assieme alle lettere all’«Amata Immortale», dopo la scomparsa di Beethoven. L’incipit è ormai celeberrimo: “O voi, uomini che mi ritenete o mi fate passare per astioso, folle o misantropo, come mi fate torto! Voi ignorate le segrete ragioni di ciò che vi appare”. E prosegue: […] da sei anni mi ha colpito un grave malanno peggiorato per colpa di medici incompetenti. […] Tali esperienze mi hanno portato sull’orlo della disperazione e poco è mancato che non ponessi fine alla mia vita. La mia arte, soltanto essa mi ha trattenuto […]”.

In quello stesso 1802, Beethoven conclude la partitura della Seconda Sinfonia; compone le tre Sonate per violino e pianoforte dell’op. 30 e quelle per pianoforte dell’op. 31; inizia il Cristo sul Monte degli ulivi, op. 85 e la Sonata in la maggiore per violino e pianoforte, op. 47, meglio conosciuta come Sonata a Kreutzer.
Nel 1804, termina la Terza Sinfonia op. 55, Eroica. Nel novembre 1805, va in scena la prima di Leonora, che, in seguito (1814), intitolerà Fidelio. Nonostante l’insuccesso, la fama di Beethoven resta solida e si rafforza con i capolavori successivi: le Trentadue Variazioni in do minore per pianoforte (1806); la Sonata per pianoforte in fa minore Appassionata, la Quarta Sinfonia, l’ouverture Coriolano (1807); i Tre Quartetti per archi op. 59, la Quinta Sinfonia, la Sesta Sinfonia Pastorale, alcune parti della Messa in do maggiore op. 86 e della Fantasia per pianoforte, coro e orchestra op. 80 (1808); la bagatella Per Elisa,
dedicata alla giovanissima Therese Malfatti di cui è innamorato, ma che non potrà sposare per l’intransigente opposizione dei genitori della ragazza.

Nel 1811, Beethoven pubblica la Sonata degli addii per pianoforte op. 81, nel 1812 scrive le musiche di scena per II Re Stefano e per Le Rovine d’Atene di Kotzebue, nel 1813 La vittoria di Wellington e la Settima Sinfonia.
Da novembre 1814 a giugno 1815, si svolge il Congresso di Vienna che darà un nuovo ordine all’Europa dopo la caduta di Napoleone. Prima del suo inizio, Beethoven ha composto l’Ottava Sinfonia e il 29 novembre, in un concerto in onore dei monarchi e degli statisti che partecipano al Congresso, vengono eseguite alcune sue opere, tra le quali la Settima Sinfonia.
A causa di un ulteriore peggioramento della sordità, nel 1815, probabilmente, per l’ultima volta Beethoven suona pubblicamente il pianoforte.

Nel 1817, Beethoven inizia a comporre la sua Nona Sinfonia, mentre, a partire dal 1820, si moltiplicano e si aggravano, progressivamente, i problemi di salute: sordità, disturbi polmonari e visivi, febbri reumatiche, una malattia intestinale. Continua, però, imperterrito, a lavorare: tra il 1820 e il 1822 compone le Sonate per pianoforte, op. 109, 110, 111 e, nel 1823, pubblica le Trentatré Variazioni su un valzer di Diabelli op. 120. Nel 1824, a San Pietroburgo, viene eseguita per la prima volta la Missa Solemnis op. 123; a Vienna, invece, la Nona Sinfonia.
La morte arriva il 26 marzo del 1827. Il 29 marzo, decine di migliaia di viennesi partecipano, commossi, al funerale di Ludwig van Beethoven. Il celebre attore Heinrich Anschütz legge l’orazione funebre scritta dal poeta e drammaturgoFranz Grillparzer: “[…] L’ultimo grande Maestro, lo splendido portavoce dell’arte dei suoni colui che ereditò e dilatò la fama immortale di Händel e di Bach, di Mozart e di Haydn, ha concluso la sua esistenza, e noi, piangendo, siamo qui accanto alle corde spezzate dello strumento che ora tace. […] Ma voi, voi che avete fin qui seguito questa cerimonia […] prendete un fiore dalla sua tomba – il ricordo di lui e del suo operare. E se voi sarete talvolta sopraffatti come dal temporale che si avvicina dalla potenza delle sue creazioni, allora rievocate questa giornata, rievocate il ricordo di lui, che ha prodotto cose così eccelse e in cui non vi era macchia”.