La folgorazione per il bandoneon

La bellezza del suono del bandoneon ha stregato Maurizio Marchesich

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Maurizio Marchesich - PH Andrej GustinčičFisarmonicista, bandoneonista, bayanista di grande esperienza, sensibilità e poliedricità stilistica, Maurizio Marchesich è un musicista che ha intrapreso da tempo un percorso evolutivo volto ad allargare i suoi orizzonti legati al genere musicale, orientando il suo sguardo e tendendo l’orecchio verso una brillante summa comprendente l’ambito popolare, colto, del tango e non solo. Marchesich parla della sua formazione artistica, dell’amore viscerale per il bandoneon, dei suoi progetti sia da solista che con il Triestango e con 4 Bellows 4 Tales, due ensemble a cui lui è profondamente legato.

Dopo una brillante formazione accademica e in seguito alla vittoria di svariati concorsi nazionali e internazionali, ti sei costruito un repertorio nel segno dell’eclettismo. Infatti, spazi con disinvoltura dalla musica barocca a quella contemporanea, dalla cameristica al repertorio originale per fisarmonica sino al tango. Quando e come hai raggiunto questo livello di versatilità stilistica?

Negli anni di formazione musicale ho sempre cercato di avere una visione a 360°. Ho seguito gli stimoli che recepivo nel percorso di studi classici per fisarmonica, che mi hanno formato sia dal punto di vista tecnico, interpretativo, sia da quello musicale a tutto tondo. Contemporaneamente, però, ho sempre pensato che per fare musica avrei dovuto allargare i miei orizzonti stilistici ricercando contaminazioni provenienti da altri mondi, sia popolari che colti. Questo mi ha portato ad approfondire altri repertori che prevedevano l’uso di altri strumenti affini alla fisarmonica, ma diversi sia dal punto di vista costruttivo sia da quello esecutivo. Però credo che tutto ciò sia partito proprio agli inizi, quando all’età di quattro-cinque anni ho iniziato a suonare-giocare con la “triestina” (armonica diatonica a due file e dodici bassi) di mio papà. Penso che questo sia stato l’inizio di un percorso che, oggi, mi permette di suonare in concerto la triestina, il bandoneon cromatico, quello diatonico, la diatonica “steirische”, sino ad arrivare al mio bayan Mithos della ditta Pigini.

Nel 1995 hai iniziato ad approfondire lo studio del bandoneon. Quali sono le caratteristiche tecniche ed espressive di questo strumento che ti affascinano di più?

Il bandoneon mi ha stregato! L’elemento che più mi ha colpito è stato il suono di questo strumento. Le peculiarità timbriche dei due manuali sono uniche, da situazione a situazione possono provocare emozioni molto forti e al contempo molto diverse tra loro. Dal punto di vista espressivo ed interpretativo, la risposta sonora, l’eleganza del suono, la potenza che può raggiungere unita alle particolarità esecutive specifiche, rendono questo strumento unico ed insostituibile (sotto l’aspetto timbrico ed espressivo) nel repertorio del tango argentino. Questa affermazione deriva dal fatto che quando non avevo ancora i bandoneon ho suonato diverse composizioni di Piazzolla con la fisarmonica, ma era sicuramente un’altra cosa. La mia ricerca sul suono, sia sul piano filologico che espressivo, mi ha portato prima ad avere un Doble AA cromatico e successivamente un Premiere diatonico per le esecuzioni da solista. Oggi sono entrambi presenti nei miei concerti.

TriestangoSempre nel 1995 hai dato vita al Triestango, un quintetto formato da Stefano Furini al violino, tu al bandoneon, Alberto Boischio al pianoforte, Angelo Colagrossi al contrabbasso e Fabian Perez Tedesco alle percussioni. Questa formazione è specializzata nell’esecuzione delle composizioni originali di Astor Piazzolla e del nuevo tango. Dal punto di vista emozionale, tecnico e interpretativo, cosa rappresenta per te e per il Triestango una figura iconica come quella di Piazzolla?

Il Triestango è parte importante della mia vita musicale, mi accompagna da quasi trent’anni, praticamente da quando con Fabian Perez Tedesco abbiamo dato vita al quintetto. Sicuramente devo ai miei amici, grandissimi musicisti, una buona parte della mia evoluzione stilistica. Suonare assieme a loro mi ha fatto crescere e mi ha dato tantissime emozioni. Astor Piazzolla è stato il nostro riferimento, l’autore da cui siamo partiti nella nostra avventura nel tango nuevo. Ancora oggi, nei nostri concerti molte sue composizioni sono la struttura del programma. La sua musica è raffinata, melanconica, forte, elegante, tutto nell’ambito di una costruzione compositiva di altissimo profilo che rende il tango nuevo un tango da concerto, eseguibile su qualsiasi palcoscenico.

In ventinove anni di musica con il Triestango, sotto l’aspetto artistico e umano, quali sono le esperienze più significative vissute con questo quintetto che custodite gelosamente nel vostro scrigno interiore?

Con il Triestango sono innumerevoli le esperienze vissute in Italia e all’estero. Sicuramente la partecipazione   del quintetto al “Buenos Aires Tango Festival” (per ben cinque volte) come unica formazione dall’Italia si pone come eccellenza nella nostra attività concertistica. Nelle tournée in Argentina abbiamo avuto l’onore e la fortuna di incontrare personaggi quali Horacio Ferrer, Jose Bragato, Jose Carli, Saul Cosentino, Leopoldo   Federico, Roberto Pansera, Rodolfo Mederos, Walter Rios, che sono la storia del tango di ieri e di oggi. A titolo personale mi piace citare un aneddoto vissuto al primo concerto in assoluto in terra Porteña. Era il 2005, live davanti al “Palais de Glace in Recoleta” nell’ambito del “Buenos Aires Tango Festival”. Iniziammo a suonare, ma nel momento degli applausi sento alcune voci commentare «que polenta!» Mi avvolse un pensiero, un dubbio, una preoccupazione!  Pensando al significato che si dà dalle nostre parti a un polentone pensai «sto suonando troppo morbido, soave, devo dare di più». Più andavamo avanti nel concerto, suonando con ancora più tenacia e grinta, più queste voci aumentavano. A fine esibizione mi sentivo un po’ strano, felicissimo della prima performance in Argentina, esausto per la fatica immane, ma allo stesso tempo incerto sull’apprezzamento del pubblico. Solo a quel punto mi fu spiegato che l’espressione “que polenta!”, in Argentina, significa “che forza”, “che determinazione”, “che carattere”. Mi spaventai, ma alla fine andò alla grande!

4 Bellows 4 TalesA proposito di ensemble, dal 2020 sei membro del quartetto fisarmonicistico 4 Bellows 4 Tales costituito da Zoran Lupinc (armonica triestina, fisarmonica diatonica e fisarmonica a ​tastiera), Polona Tominec (fisarmonica a bottoni), Stefano Bembi (fisarmonica a tastiera) e tu al bandoneon, fisarmonica a bottoni e fisarmonica triestina. La singolarità di questo gruppo è la varietà dei diversi tipi di fisarmonica suonati da ognuno di voi. Esattamente, in cosa consiste questa unicità?

Il quartetto fisarmonicistico 4 Bellows 4 Tales, quattro mantici e quattro storie, è certamente unico nel suo   genere.      Ognuno di noi porta nell’ensemble le proprie peculiarità musicali derivanti dai diversi stili approfonditi e le proprie competenze tecniche su strumenti differenti, che assieme sono la base della nostra diversità ed originalità. I mondi dai quali provengono alcuni degli strumenti che usiamo sono abbastanza autoreferenziali. Il nostro obiettivo invece è proprio quello di unire strumenti, suoni, culture e stili di estrazioni differenti in una formazione che nel suo repertorio può spaziare dalla musica popolare a quella originale per fisarmonica, dalla classica a quella contemporanea sempre nel rispetto dei nostri   percorsi formativi di derivazione accademica e delle caratteristiche stilistiche dei repertori affrontati. Nello stesso arrangiamento, dunque, possiamo trovare strumenti classici, quali il Bayan, il Super VI della Scandalli assieme a strumenti popolari come la diatonica steirische, il bandoneon o l’armonica triestina. Tutto ciò genera dinamicità ed eleganza sonora nella nostra proposta musicale.

Zoran Lupinc, Polona Tominec, Stefano Bembi e tu siete fondatori del D.I.H, Centro di Formazione per Fisarmonicisti con sede a Lokev (Slovenia) e con filiali in diverse città slovene e a Trieste. Qual è la vostra “mission”?

In Slovenia e in Italia sono numerose le scuole pubbliche e private dove si può imparare a suonare la fisarmonica classica, la diatonica e via discorrendo. Purtroppo, specialmente in ambito privato, l’insegnamento non ha sempre una base solida che sostenga l’allievo sia dal punto di vista esecutivo che teorico-musicale.  Questo porta a lavorare per molti anni scoprendo più avanti la difficoltà nel fare il salto di qualità. Creare un centro dove qualsiasi fisarmonicista o amante della fisarmonica, indistintamente dal tipo di strumento, (a piano, a bottoni, bassi a note sciolte, bassi standard, diatonica, organetto, bandoneon e così via), dal livello, dal genere o dall’età potesse trovare un supporto alla propria crescita tecnico-strumentale ed artistica è stata la molla che ci ha spinto alla fondazione del D.I.H. Centro di Formazione per Fisarmonicisti. In principio abbiamo iniziato presso la nostra sede di Lokev (Slovenia) con un bel numero di allievi, successivamente anche in altre città slovene e a Trieste, implementando l’offerta didattica con   l’organizzazione di concerti, saggi musicali e campi estivi.

Focalizzando l’attenzione proprio sulla formazione didattica, oltre a essere assai prolifico come concertista, sei docente di fisarmonica presso la scuola secondaria di 1° a indirizzo musicale “SS. Cirillo e Metodio” di Trieste. Sul piano del metodo d ’insegnamento e sul lato umano, in che modo interagisci con i tuoi allievi?

Credo sia importante instaurare da subito un buon rapporto con gli alunni. Parlare e spiegare molto, guidare   senza imporre, condividere le scelte motivandole è alla base di un rapporto sano e proficuo. Sin dall’inizio è indispensabile insegnare loro le peculiarità dello strumento e un sistema di studio semplice ma organizzato, che abbia nella costanza il suo punto di forza. L’obiettivo è quello di conseguire abbastanza velocemente la capacità di gestire lo strumento e di eseguire semplici studi o brani. I miei allievi usano solitamente lo strumento a bottoni con bassi standard il primo anno (più raramente lo strumento a tastiera). Dal secondo in poi iniziamo a conoscere e ad usare i bassi a note sciolte creando, fino alla fine della terza, una competenza strumentale di base che permetta loro di poter continuare lo studio della fisarmonica classica anche in ambito accademico.

Anche la tua attività discografica è molto centrale nella tua vita professionale, infatti hai registrato numerosi dischi. Ce n’è uno, fra quelli incisi, che ad oggi ritieni ti possa rappresentare di più a livello artistico?

Le mie esperienze discografiche sono state numerose come solista, in formazioni cameristiche e con   orchestre di fisarmoniche. La mia prima esperienza risale agli inizi degli anni Novanta quando ero integrante dell’orchestra di fisarmoniche GM Synthesis 4 diretta dal mio insegnante: il M° Claudio Furlan. Successivamente numerosi CD con il Triestango e come solista. Ma fra tutti spicca il doppio CD Triestango desde Piazzolla del 1999 edito dalla EMI. La stessa major ci ha poi inserito nel doppio CD The Tango WayThe Classic Way con i brani Invierno Porteño, Nuestro Tiempo ed Oblivion, insieme ai mostri sacri del tango di tutti i tempi quali Astor Piazzolla, Leopoldo Federico, Osvaldo Frasedo, L’Orchestra di Osvaldo Pugliese, il Sexteto Major, l’Octeto Academico de Caracas, L’Orchestra del Teatro Colon, i dodici cellisti dei Berliner Philarmonic e molti altri.

Maurizio Marchesich - PH SergettiPonendo l’accento sugli strumenti che suoni, quali modelli di fisarmonica utilizzi in studio di registrazione e nei concerti?

Da fisarmonicista eclettico non ho nessun problema a suonare l’armonica triestina o il bayan, il bandoneon o la diatonica steirische ed eseguire brani tratti dal repertorio loro affine. Il consiglio che do ai ragazzi che si approcciano allo studio della fisarmonica è quello di studiare seriamente e di fare un percorso accademico classico che li formi sia dal punto di vista​ tecnico-strumentale sia da quello teorico-musicale ad ampio spettro. Mai, però, soffocare i propri desideri di avvicinarsi a stili o ambiti musicali diversi e magari con strumenti differenti, perché questo porterà sicuramente a un arricchimento a livello personale. Una base solida   semplifica e permette di eseguire qualsiasi repertorio in maniera seria e strutturata nel rispetto delle peculiarità filologiche che sono per me imprescindibili. Se suono tango argentino lo devo fare con la mentalità da bandoneonista e non da fisarmonicista. Se non suono il bandoneon fa nulla, ma devo ascoltare molto e cogliere l’essenza del tango sia dal lato interpretativo sia da quello esecutivo. Nei miei concerti suono un Mythos della Pigini, un Cromo Superior della Scandalli, con due bandoneon un Alfred Arnold e un Premier, nonchè un’armonica triestina Ploner del 1909.

Dando un’occhiata al calendario musicale, quali sono gli impegni più importanti da solista, con il Triestango e con 4 Bellows 4 Tales da qui ai prossimi mesi?

Questo è un periodo molto importante in cui vanno confermati i contatti per i concerti della stagione estiva. In questo momento sto lavorando su alcuni progetti a medio termine. Mi piacerebbe rivedere gli amici   porteñi e partecipare nuovamente al “Buenos Aires Tango Festival” con il Triestango. Ci stiamo lavorando, ma le condizioni in Sud America non sono attualmente delle migliori. Con i 4 Bellows 4 Tales abbiamo un concerto a breve nel comune limitrofo di Hrpelje – Kozina in Slovenia e un progetto nell’ambito di “Go 2025 Gorizia Nova Gorica”. La realizzazione di un disco è un obiettivo non molto lontano. A luglio del 2023 ho fondato l’orchestra di fisarmoniche Alamut composta dai miei ex allievi, dai membri del 4 Bellows 4 Tales e da altri fisarmonicisti. Stiamo preparando un bel repertorio, quindi spero che a giugno potremo presentarci al pubblico con un concerto di qualità. Tempo da dedicare al mio impiego da solista non ne rimane molto, però mi auguro di realizzare un desiderio impegnativo, ma unico, di cui magari parlerò la prossima volta.

 

(Foto Maurizio Marchesich di Sergetti e di Andrej Gustinčič)

 

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