“Seconda Suite” per fisarmonica di Guido Farina (1903-1999)

La revisione della composizione è stata realizzata da Alessandro Mugnoz e Marco Franconi Ronchetti

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Seconda suite (Guido Farina)In Italia, tra gli anni Quaranta e i Sessanta del secolo scorso, illustri musicisti, compositori e didatti, come Franco Alfano, Luigi Oreste Anzaghi, Mario Barbieri, Efrem Casagrande, Luigi Ferrari Trecate, Gian Felice Fugazza, Felice Lattuada, Lino Liviabella, Vittorio Melocchi, Ettore Pozzoli, Adamo Volpi diedero corpo a quella che possiamo considerare storicamente la prima letteratura italiana per la moderna fisarmonica.

Tra questi autori – che ci hanno lasciato pagine significative, alcune delle quali entrate stabilmente nel repertorio – si inserisce degnamente la figura di Guido Farina, insigne didatta, oltre che raffinato compositore, autore di pregevoli opere liriche, corali e orchestrali.

Probabilmente, il nome di Farina rimane legato alla fisarmonica per il Corale in strofe variate (trascritto magistralmente per lo strumento ad ance – a bassi standard – da Gian Felice Fugazza), ma per il popolare strumento compose diverse pagine, soprattutto di natura didattica, generalmente poco conosciute.

Verso la seconda metà degli anni Cinquanta, si accinse a scrivere questa Seconda Suite per fisarmonica dopo la pubblicazione della precedente raccolta La luna e l’usignolo (1953); tale opera, scritta al pianoforte ma pensata, ovviamente, per lo strumento ad ance, doveva essere adattata alla fisarmonica dal celebre concertista Gervasio Marcosignori, la cui carriera in quel periodo era in vertiginosa ascesa, ma purtroppo – nonostante l’apprezzamento del grande fisarmonicista – essa non fu mai revisionata, né pubblicata.

Dopo più di sessant’anni, indagando sul compositore e poi contattando la figlia – Maria Cecilia, anche lei rinomata musicista – siamo riusciti a venire in possesso non solo di tali brani, ma anche di una lettera, nella quale Marcosignori, rivolgendosi a Fugazza – amico e collega di Farina – fa riferimento a questa suite e alla difficoltà di adattare alla fisarmonica dell’epoca (che, ricordiamo, era in genere esclusivamente a bassi standard, o “Stradella”) l’ultimo brano, di scrittura polifonica e di notevole estensione al manuale sinistro.

Nel 2014, nell’ambito del Corso accademico di II livello in fisarmonica da me tenuto presso l’ISSM (Istituto Superiore di Studi Musicali) “Giovanni Battista Pergolesi” di Ancona, proposi al mio studente Marco Franconi Ronchetti, tra varie altre possibilità, “La musica per fisarmonica di Guido Farina” come argomento per la sua tesi di laurea specialistica; egli, accettando di buon grado, studiò questi brani, che adattammo piuttosto facilmente per lo strumento classico attuale. Fu proprio in occasione di quella laurea, quindi, che essi suonarono per la prima volta, così come li aveva (crediamo) immaginati l’autore.

Dal manoscritto si evince che i pezzi della “suite” originariamente dovevano essere quattro: Melodia, Canto dei battellieri, Piccolo ricercare, Fuga a due voci, ma in realtà esistono solamente tre brani, in quanto, probabilmente, gli ultimi due furono inglobati nello “Studio polifonico”, terzo e ultimo brano (fugato) dell’opera, il quale, oltretutto, ha presentato i maggiori problemi di revisione.

Stilisticamente la Suite, come la precedente raccolta, è volutamente alquanto eterogenea, mostrando di fatto varie sfaccettature tecnico/espressive tipiche della fisarmonica:

– la semplice e lirica cantabilità nel primo brano: Melodia;

– alcune tipiche e popolari movenze di danza nel Canto dei battellieri;

– il nobile e austero afflato d’impronta organistica nello Studio polifonico.

La Suite, così come l’aveva pensata l’autore – in base ai manoscritti pervenutici – è correttamente eseguibile su strumenti che dispongano del manuale sinistro a “bassi sciolti”, o note singole che dir si voglia. Per chi possiede una fisarmonica solamente a “bassi standard”, la raccolta è ugualmente eseguibile (con qualche problematica riguardo al primo e soprattutto al terzo brano) a patto, però, che si disponga di adeguati registri, al manuale sinistro, per poter il più possibile rispettare la corretta altezza dei suoni, soprattutto in rapporto al manuale destro (questo vale, in particolare, per il brano polifonico che conclude la suite).

Il lavoro di revisione, il più possibile rispettoso del manoscritto, si è rivolto quindi a strumenti aventi note singole al manuale sinistro, pensando a un impianto fonico sia a tre voci, sia a due (M III).

L’augurio è che quest’opera possa essere opportunamente apprezzata e utilizzata dai cultori e, soprattutto, dalle scuole, certi che possa arricchire il repertorio, didattico e non solo, del nostro strumento.

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GUIDO FARINA: CENNI BIOGRAFICI

Ma chi era Guido Farina? Il musicista nacque il 30 ottobre 1903 a Borgo Ticino (Pavia). L’esperienza musicale di Farina iniziò con Luigi Picchi e con Franco Vittadini, proseguì poi al “Giuseppe Verdi” di Milano, dove venne accolto nella classe di Composizione di Vincenzo Ferroni. Oltre al diploma in Composizione, completò la sua cultura musicale diplomandosi in Pianoforte (con Guido Alberto Fano, 1930), in Canto corale e Polifonia vocale (con Achille Schinelli, 1931/1940). Inoltre, per la formazione puramente musicale e artistica di Farina, furono importanti gli incontri con Ettore Pozzoli, Arturo Toscanini e Ildebrando Pizzetti.

Nel ’29 debuttò sulle scene con La dodicesima notte, tratta da Shakespeare. Gli anni Trenta risultano quelli più prolifici, tanto che – quando l’8 settembre del 1940 andò in scena al Teatro delle Novità di Bergamo La finta ammalata, prima opera goldoniana – il catalogo del compositore trentaseienne annovervaa già tre opere, tra cui il suo maggior successo, Tempo di carnevale, un dramma sacro, due messe, trascrizioni di musica antica, diverse pagine orchestrali tra cui i Quadri sinfonici per grande orchestra dedicati alla città di Pavia; e poi, molte composizioni per pianoforte, per organo, per coro, liriche da camera, lavori di musica didattica: Solfeggi e, successivamente, un Trattato di Armonia, che riscosse notevole successo.

Farina espresse il proprio pensiero attraverso uno stile vicino al neoclassicismo colto che si era appropriato della tradizione; la sua musica è fedele al “linguaggio dei padri”. Mentre Pizzetti attuò una rilettura dello stile rinascimentale di Palestrina, Monteverdi e Frescobaldi, Farina si rifece alla musica settecentesca (specialmente quella operistica) caratterizzata da venature di garbata ironia. Queste sue composizioni – di ascolto immediato – non escludono una limpidezza formale che coesiste con una scrittura di ideazione a volte polistilistica. Farina acquisì uno stile compositivo “antico” ma, allo stesso tempo, contaminato positivamente da qualche modernismo: uno stile personale e autentico.

Alcuni musicisti della generazione di Farina – come Ghedini, Petrassi e Dallapiccola – avevano proseguito la propria ricerca durante il dopoguerra; nel ‘49 avvenne lo storico “Primo Congresso Internazionale di Dodecafonia”; in quegli anni,  poi, giunse a maturazione la generazione dei compositori più giovani, nati negli anni Venti: Maderna, Nono, Berio, che – insieme a Boulez e Stockhausen – misero in pratica le tecniche della serialità integrale, della musica concreta e di quella elettronica. Si tratta di un contesto di ricerca proteso al nuovo, con la determinazione spietata che non fa sconti a nessuno; chi invece optò per l’immediatezza comunicativa, come Farina, di fatto venne solitamente tacciato dalla critica come disimpegnato o tradizionalista. La poetica di Farina non ha bisogno di atti dimostrativi o dichiarazioni programmatiche: il suo umanesimo musicale discende da un patrimonio culturale interiorizzato, dalla volontà di esternare i propri sentimenti e l’intimità.

Il rifiuto consapevole quindi, a favore di un’estetica personale, lo condurrà sostanzialmente a concludere, non senza sofferenza, la carriera di compositore verso i primi anni Cinquanta. Si dedicherà sempre più, quindi, a impegni didattici che avevano assunto un peso preponderante: la direzione dell’Istituto di Pavia “Vittadini”, poi la cattedra (tenuta per vent’anni) di “Composizione Polifonica Vocale” e la vicedirezione del conservatorio di Milano. Come ultimi lavori pubblicò trascrizioni per coro di canti regionali e compose alcuni brani per fisarmonica, nonché alcune raccolte per pianoforte, prediligendo la composizione di piccole suite dalla funzione didattica. Scrisse poi vari e interessanti articoli – dedicati alla pedagogia e anche alla fisarmonica – saggi e anche dei libri di narrativa e storia locale.

Significativo operatore culturale, fin dalla giovane età, fu presidente di importanti associazioni, fra cui la C.M.A. (Confederation Mondiale de l’Accordéon). Ricevette vari premi e riconoscimenti: già nel 1926, a Milano, ottenne il primo premio al concorso di composizione bandito dal “Circolo di Cultura Francescana” con un oratorio sacro. Per i suoi vari meriti nel settore della fisarmonica gli fu assegnato nel 1960 l’Oscar Mondiale de l’Accordéon, mentre nel 1974 ricevette la medaglia d’oro del Comune di Pavia.

La figlia di Guido Farina, Maria Cecilia – anche lei apprezzata musicista (organista e clavicembalista) docente presso il Conservatorio di Milano – donò alcuni anni orsono all’Associazione NoMus (Novecento Musicale, con sede a Milano) i manoscritti musicali di Guido Farina e molto altro materiale: opere a stampa, documentazione fotografica, dischi 78 giri, ecc., costituendo così il vasto “Fondo Farina”, oggi presente anche su SBN. Come ha scritto la stessa musicista: “L’Associazione NoMus valorizza come meglio non potrebbe il Fondo Farina, promuovendo spesso l’esecuzione dal vivo di composizioni in esso custodite e registrando professionalmente ogni concerto, per costituire un archivio sonoro. Memorabile è stata la prima esecuzione in tempi moderni, il 6 dicembre 2019, nella Sala Fontana del Museo del Novecento a Milano, a cura di Achrome Ensemble, del Quartetto d’archi con voce recitante detto dell’Uomo che sapeva. Si tratta del lavoro con il quale papà abbandonò negli anni ’50 la composizione, con il sorriso arguto e la bonomia che lo contraddistinguevano, ma anche con l’amarezza di chi (sorte comune a molti compositori di quella generazione) si trovò travolto dal clima burrascoso e spesso un po’ avvelenato delle avanguardie musicali”.

LE COMPOSIZIONI PER FISARMONICA DI GUIDO FARINA

Edite tutte negli anni Cinquanta, le musiche per lo strumento ad ance libere comprendono alcune trascrizioni ormai storiche realizzate da Gian Felice Fugazza, da considerare alla stregua di “brani originali” per lo strumento, in quanto approvate dallo stesso autore. Tra esse il Corale (pubblicato originariamente per pianoforte, ma anche per grande orchestra e per archi) è senz’altro il pezzo che ha ottenuto il maggior successo internazionale, oggi entrato di diritto nel repertorio fisarmonicistico.

Ecco l’elenco:

Corale in strofe variate (trascrizione Gian Felice Fugazza), edizioni Carisch, 1950 (orig. per pianoforte, 1938)

Lauda (trascrizione Gian Felice Fugazza), edizioni Carisch, 1951 (orig. per pianoforte, 1948)

La luna e l’usignolo, quattro pezzi caratteristici, edizioni Farfisa/Bèrben, 1953

1.     La luna e l’usignolo

2.     Notturno veneziano

3.     Gitana

4.     Lettera d’amore

Valzer (revisione Gian Felice Fugazza), edizioni Ricordi, 1956

Danza alla tirolese (trascrizioneGian Felice Fugazza), edizioni Ricordi, 1956 (orig. per pianoforte, 1940)

Seconda Suite, tre pezzi, edizioni Ars Spoletium, 2023

1.     Melodia

2.     Canto dei battellieri

3.     Studio polifonico

La Seconda Suite per fisarmonica di Guido Farina è stata quindi pubblicata dalle edizioni Ars Spoletium, ed è acquistabile in download, presso il sito della casa editrice, unitamente a tre relativi file audio (fisarmonicista: Marco Franconi).

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