“Isteria e sortilegio” – 1° parte

496

“ISTERIA E SORTILEGIO”

Antonin Artaud, Pierre Boulez e la «musica della crudeltà»

(prima parte)

 

“Sono nato solo dal mio dolore”. In una frase, sei parole appena, Antonin Artaud, poeta, scrittore, disegnatore, regista teatrale e attore, sembra riassumere la propria visione dell’esistenza e del teatro: il dolore è una necessità ineluttabile; senza di esso, e senza l’aspirazione al suo superamento, la vita non avrebbe alcun fondamento. Anche il teatro obbedisce a questa necessità. Un dramma in cui non esistesse la volontà di “squarciare le tenebre”, in cui non fosse visibile – in ogni gesto e in ogni atto – “un cieco appetito di vita”, capace di superare ogni cosa, sarebbe un dramma inutile e mancato.02 Isteria e sortilegio - prima parte - (Artaud giovane) Da un punto di vista «formale» esso si traduce in una “espressione integrale orientata all’utilizzo della parola, del gesto, del corpo, della musica, dell’immagine, del ritmo, della pantomima, entro una sorta di ideale sintesi unitaria, quasi una «ripresa», sia pure di segno «rovesciato», del Wort -Ton-Drama di wagneriana memoria”[1]. La centralità del linguaggio del corpo è assoluta, come quella “del gesto e della parola intesa nella sua fisicità e nel suo potere incantatorio e magico. Artaud aveva cercato per il suo teatro una scrittura corporea e concreta, qualcosa di simile ad una scrittura musicale”[2], che “potesse registrare il linguaggio fisico, il linguaggio materiale e solido, grazie al quale il teatro può differenziarsi dalla parola”[3].03 Isteria e sortilegio - prima parte - (Artaud in scena)

Antoine-Marie-Joseph Artaud, detto Antonin, nasce a Marsiglia nel 1896. Alle soglie dell’adolescenza, assieme ad alcuni amici dà vita ad una piccola rivista letteraria che ospita le sue prime poesie. Intorno ai vent’anni manifesta i primi sintomi di una grave psicosi ed è ricoverato in una casa di cura. Intanto, la Prima Guerra Mondiale sconvolge l’Europa e Artaud, dopo nove mesi di servizio militare, è riformato. La diagnosi dei medici militari gli apre nuovamente le porte di numerosi istituti psichiatrici. In quello di Parigi – è il marzo del 1920 – conosce il dottor Toulouse, che pubblica «Demain», una rivista che si occupa sia di temi medico-sociali, sia di arti e lettere, e per la quale Artaud scrive poesie ed articoli.04 Isteria e sortilegio - prima parte - (La rivista Demain)

Tra un ricovero e l’altro si avviano i contatti di Artaud col mondo del teatro, che si concretizzano, tra il 1922 ed il 1923, con i primi ruoli da attore. È lo stesso periodo in cui Artaud conosce e frequenta pittori come André Masson e Joan Miró e poeti, tra cui André Breton, Louis Aragon e Robert Desnos, protagonisti del nascente movimento surrealista, cui Artaud aderisce ma dal quale, in seguito, si allontanerà. Nel 1926, assieme a Robert Aron e Roger Vitrac, dà vita al “Teatro Alfred Jarry”.05 Isteria e sortilegio - prima parte - (Locandina teatro Alfred Jarry) Le difficoltà economiche e la mancanza di spazi adeguati alle attività, però, interrompono quell’esperienza. Contemporaneamente, Artaud si dedica anche al cinema. Nel 1927, partecipa al Napoleone di Abel Gance e nel 1928 a La passione di Giovanna d’Arco di Carl Theodor Dreyer, due capolavori del muto.06 Isteria e sortilegio - prima parte - (Artaud in Napoleon) La malattia psichica, intanto, e l’insorgere di violenti dolori, lo rendono dipendente prima dal laudano, poi dall’oppio. Nel 1931, nel corso dell’Esposizione Coloniale di Parigi, Artaud assiste ad una rappresentazione del Teatro Balinese, che si rivela un’esperienza così significativa da aprirgli la strada ad una visione totalmente nuova del teatro.07 Isteria e sortilegio - prima parte - (Teatro Balinese) In esso “[…] non esiste transizione fra gesto, grido e suono: tutto si fonde quasi passasse attraverso bizzarri canali scavati all’interno dello spirito! C’è in tutto ciò un cumulo di gesti rituali di cui non possediamo la chiave, e che paiono obbedire a indicazioni musicali precise, con in più qualcosa che non appartiene alla musica, e par destinato a circuire il pensiero, a braccarlo, a spingerlo in una rete solida e inestricabile”[4]. Il Teatro Balinese è fatto di antiche, sacre sonorità, prodotte da metallofoni, tamburi, gong e flauti di bambù, che cadenzano lentamente la lotta metafisica tra il bene e il male.08 Isteria e sortilegio - prima parte - (Teatro Balinese) Ogni movimento dei danzatori/attori parte da una direzione opposta a quella cui si rivolge, in equilibrio tra la forza maschile di kras e l’armonia di manis, l’elemento femminile. Suoni e movimenti sono così legati che “lo spirito finisce ineluttabilmente per confondersi, sì da attribuire alla gesticolazione articolata degli artisti le proprietà sonore dell’orchestra – e viceversa”[5]. L’impianto melodico è molto semplice, mentre è al timbro che viene conferita una grande importanza. L’armonia è impostata su due scale distinte: slendro e pelog, entrambe pentatoniche, ma la prima è detta maschile e la seconda femminile[6].

Nel 1932, Artaud pubblica il primo Manifesto del teatro della crudeltà. “La crudeltà” – spiega lui stesso – “non è fatta di sadismo, né di sangue […]. Io non coltivo sistematicamente l’orrore. […] Dal punto di vista dello spirito crudeltà significa rigore, applicazione e decisione implacabile, determinazione irreversibile, assoluta. È un errore attribuire alla parola crudeltà un senso di spietata carneficina, di ricerca gratuita e disinteressata del male fisico”[7]. La crudeltà è uno strumento che si serve del corpo dell’attore per penetrare nell’inconscio del pubblico e “creare le condizioni di una vera catarsi, nel senso aristotelico e freudiano”[8].09 Isteria e sortilegio - prima parte - Teatro della crudeltà Il teatro, per Artaud, non deve essere semplicemente una forma d’arte, né può limitarsi ad imitare la vita, ma deve essere vita stessa, esperienza esistenziale capace di cambiare chi la fa e chi la osserva. “Se sono un poeta o un attore” – scrive ad André Breton – “non lo sono per scrivere o declamare poesie, ma per viverle. Quando recito una poesia non è per essere applaudito, ma per sentire corpi d’uomini e di donne – dico corpi – tremare e volgersi all’unisono con il mio”[9]. Sulla scena tutto deve essere reale e avvenire in quell’istante: la fisicità, la vita, la crudeltà. Per rendere totale la partecipazione del pubblico allo spettacolo, Artaud rifiuta anche l’uso dell’edificio-teatro tradizionale, suggerendone la sostituzione con magazzini, hangar, spazi industriali in disuso che «circondino» gli spettatori, seduti su sedie girevoli per seguire l’azione a 360 gradi. Dallo spazio scenico così concepito è bandita qualsiasi scenografia di «cartapesta». L’ambiente è costruito da fasci di luce variabili nei cromatismi, da suoni stridenti, dissonanti nelle varie tonalità: tutti mezzi per penetrare i sensi degli spettatori. Per comprendere tutto l’orrore della guerra, per esempio, non è sufficiente assistere alla sua rappresentazione: gli attori devono far provare al pubblico – e provare essi stessi – il dolore delle ferite laceranti, sentire – e far sentire – il miasma dei corpi senza vita, in putrefazione, abbandonati sui campi di battaglia.10 Isteria e sortilegio - prima parte - Teatro della crudeltà Il teatro della crudeltà mette fine al dominio del testo, della parola scritta da un autore/creatore assente dalla scena e, quindi, non partecipe di quel processo emotivo attivato dallo spettacolo: “Per me nessuno ha il diritto di dirsi autore, e cioè creatore, se non colui cui spetta il trattamento diretto della scena. È appunto questo il punto vulnerabile del teatro […] occidentale [che] non attribuisce le proprietà e le virtù di linguaggio […] se non al linguaggio […] della parola scritta”[10]. Nel teatro della crudeltà, però, la parola non sparisce; la scrittura teatrale diventa scrittura geroglifica nella quale i suoni, nella singolarità delle loro articolazioni (fonemi), sono coordinati ad elementi visuali, pittorici, plastici, musicali. È linguaggio di grida, di luci, di suoni che suggeriscono acusticamente l’azione che significano (onomatopee). È un ritorno alla forza della lallazione infantile, al grido primitivo.11 Isteria e sortilegio - prima parte - Teatro della crudeltà Elementi che, secondo Artaud, confermano anche l’esistenza di un nesso intrinseco tra il mondo immaginario del teatro e la realtà onirica. Per Artaud la funzione del teatro è quella di liberare l’inconscio, provocare la rivolta contro l’annichilimento dei sensi, farsi strumento – per l’attore come per lo spettatore – di un processo di svelamento di sé, suscitando una vera e propria rivoluzione interiore. Nell’idea di un mondo malato, l’azione teatrale – senza alcuna limitazione fisica né mentale – è crisi, morte, guarigione e rinascita.

Nel gennaio del 1936, Artaud, quasi del tutto privo di denaro, s’imbarca per il Messico per rintracciare e studiare le tribù native dedite all’uso e al culto religioso del peyotl, il cactus allucinogeno che provoca l’amplificazione e la distorsione delle percezioni sensoriali.12 Isteria e sortilegio - prima parte - Indio Tarahumara Lo scopo è quello di “ritrovare una Verità che sfugge al mondo europeo” e che quella “Razza aveva conservato”[11]. Il viaggio dura meno di un anno e frutta una serie di scritti, in seguito (1945) raccolti e pubblicati sotto il titolo di D’un voyage au pays de Tarahumaras. Nel 1948, riferendosi ad alcuni di essi, Pierre Boulez, compositore, teorico e direttore d’orchestra “audacissimo e geniale sperimentatore di mezzi fonici inconsueti”[12], manifesta il desiderio di voler investire la propria musica di un soffio rituale comparabile a quello della poetica di Antonin Artaud. Scrive Boulez: “Penso che la musica debba essere isteria e sortilegio collettivi […] seguendo la direzione di Antonin Artaud e non nel senso di una semplice ricostruzione etnografica […] di civiltà più o meno lontane da noi[13]”.13 Isteria e sortilegio - prima parte - Pierre Boulez  Poco prima che Artaud muoia, Boulez assiste ad una sua lettura di testi ancora inediti. È un’esperienza che lo tocca profondamente: “[…] Attore e poeta, fu naturalmente sollecitato dai problemi materiali dell’interpretazione, allo stesso titolo di un compositore che esegue o dirige. […] Posso ritrovare nei suoi scritti le preoccupazioni fondamentali della musica attuale; averlo sentito leggere i suoi testi, accompagnandoli con grida, rumori, ritmi, ci ha indicato come operare una fusione del suono e della parola, in che modo far erompere il fonema quando la parola non ne può più, in breve, come organizzare il delirio[14]”.

 

NOTE

[1] Marco Giosi, “Corpo, teatro e formazione nella riflessione di Antonin Artaud”, in Humana.Mente – Issue 14 – July – 2010, p. 173.
[2] Ibidem, p. 174.
[3] Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, Torino, Einaudi, 2000, p. 78.
[4] Ibidem, p. 174.
[5] Ibidem, p. 175.
[6] http://www.lagazzettamusicale.it/anteprime/una-notte-balinese-omaggio-a-antonin-artaud/
[7] A. Artaud, op. cit., pp. 216-217.
[8] Salomon Resnik, “Antonin Artaud e la ‘tentazione’ del cinema e un mio dialogo con Francesco Salina”, in Filmcritica, n. 619, (2011), p. 440.
[9] A. Artaud, Sei lettere a André Breton, Brescia, Ed. L’Obliquo, 1992, p. 63.
[10] A. Artaud., Il teatro e il suo doppio, op. cit., pp. 231-232.
[11] A. Artaud, Al paese dei Tarahumara e altri scritti, Milano, Adelphi, 1979, p. 144.
[12] Massimo Mila, Breve storia della musica, Torino, Einaudi, 1977, p. 370.
[13] Pierre Boulez, “Propositions”, in Polyphonie, n°2, 1948, p. 65.
[14] P. Boulez, “Suono e verbo”, in Note di apprendistato, Torino, Einaudi, 1968, p. 59.

 

PER APPROFONDIRE

BIBLIOGRAFIA

ARTAUD, Antonin, I Cenci, Torino, Einaudi (Collezione di teatro), 1972.

BARONI, Mario. et al., Storia della musica, Torino, Einaudi, 1999.

BÉHAR, Henri, Il teatro dada e surrealista, Torino, Einaudi, 1976.

CAMBRIA, Florinda, Corpi all’opera. Teatro e scrittura in Antonin Artaud, Milano, Editoriale Jaca Book, 2001.

CAMBRIA, F., Far danzare l’anatomia. Itinerari del corpo simbolico in Antonin Artaud, Pisa, ETS, 2007.

DÈCINA LOMBARDI, Paola, Surrealismo. 1919 -1969 Ribellione e immaginazione, Roma, Editori Riuniti, 2002.

DREYER, Carl Th., Cinque film, Torino, Einaudi, 1967.

GALBIATI, C., MAIULLARI, P. (a cura di), L’arte e la danza balinesi nella collezione Wistari. Diario di una cosmopolita, Cinisello Balsamo (MI), Silvana Editoriale, 2015.

LUERAS, L., Bali. L’ultima isola di sogno, Milano, Editoriale Giorgio Mondadori, 1989.

MACCHIA, Giovanni, “Profilo di Artaud”, in Il mito di Parigi, Torino, Einaudi, 1965.

MORTEO, G. R. e SIMONIS, I., Teatro Dada, Torino, Einaudi, 1969.

NADEAU, Maurice, Storia e antologia del surrealismo, Milano, Mondadori, 1972.

 

LINK AUDIOVISIVI