Vittorio Borghesi: “Il Paganini della fisarmonica”

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Vittorio BorghesiLa figura del Maestro Borghesi, valorizzata da un soprannome tanto ingombrante quanto artisticamente appagante (Paganini della fisarmonica), completa con Roberto Giraldi (Castellina) e Secondo Casadei il triumvirato che ha ispirato e consacrato lo stile romagnolo, la cultura e la tradizione folcloristica di un’intera regione. Insieme rappresentano, infatti, senza timor di smentita, i precursori di un genere e di un’espressione musicale che coinvolge tuttora milioni di appassionati, stimolati oggi da una recente scoperta scientifica che attribuisce, proprio al ballo di coppia, delle ipotetiche proprietà terapeutiche.
Il piccolo “Ciondolo d’oro”, così ribattezzato in virtù del colore dei capelli, trascorre i primi nove anni della sua giovinezza nella terra natia a Ca’ d’Antonello, situata nel mezzo dell’appennino romagnolo e, più precisamente, nel comune di Mercato Saraceno. La sua è una famiglia di musicisti che dal bisnonno, valente violinista, arriva fino al padre Ernesto, abile a destreggiarsi anche con il clarinetto, passando per il nonno Agostino, esperto fisarmonicista soprannominato “Urganaz”. Ad accudire il piccolo Vittorio, nei primi anni d’infanzia, sono proprio i nonni: il padre, infatti, è costretto ad emigrare in Francia dove trova lavoro presso una miniera di ferro e, solo successivamente, sarà raggiunto dalla moglie Laura e dalla figlia Ada. Il nucleo familiare si ricompone appunto dopo alcuni anni quando, “Ciondolo d’oro” (Victor pour les amis françaises… ), si trasferisce dai genitori (è sotto la guida del padre che inizia a studiare la fisarmonica).
Il talento c’è e si vede, o meglio… si sente. Ben presto, inizia a esibirsi sui palcoscenici dei cinematografi, nei caffè concerto e nelle sale da ballo dell’est della Francia. Alterna lo studio della fisarmonica a quello del flauto in DO, dell’ottavino in RE b e, successivamente, anche del sax; debutta con il suo primo gruppo musicale, il “Trio Musette”, che ben presto diventerà un quartetto e inizia a insegnare a domicilio ai tanti allievi della sua scuola.
Vittorio BorghesiCorre l’anno 1938 e la Francia inizia a diventare un paese ostile per gli italiani; i quattro immigrati rientrano frettolosamente in Romagna e si stabiliscono a Montecastello, nella casa dei nonni “Urganaz” e Palmina. Inizia uno dei periodi più duri per Vittorio che si vede costretto, viste le problematiche del momento, a caricare le sorti dell’intera famiglia sulle sue giovani spalle. Il suo estro e il suo talento musicale, infatti, risulteranno  determinanti anche in un contesto storico particolarmente difficile; inizia così ad esibirsi sempre più frequentemente, dapprima con le orchestre Lanzoni, Biguzzi, Ferrer Rossi e, successivamente, vista la pochezza dei guadagni, da solista, o meglio… da suonatore ambulante. Ed è in questa nuova dimensione, così distante dai suoi obiettivi, ma che consente, almeno per il momento, di sfamare tutta la famiglia, che pone le basi del suo brillantissimo futuro. Quel suo girovagare nelle strade, nei bar e nelle piazze di paese, quel talento fuori dal comune alimenteranno ben presto una sorta di leggenda e, dei suoi virtuosismi, si parlerà in tutta la Romagna.
Nel 1941, viene chiamato alle armi e si trasferisce prima a Trieste e poi a Fiume presso il XXVII Reggimento G.A.F. La sorte non risparmia neanche un bravo musicista come lui e, al pari di tanti suoi coetanei, deve partecipare al secondo conflitto mondiale. Fatto più volte prigioniero e rinchiuso nei campi di concentramento in Algeria, Vittorio trova la forza di reagire al proprio bizzarro destino e, insieme ad altri detenuti, forma un’orchestrina con la quale si esibisce ripetutamente al cospetto delle truppe inglesi.
La sua prigionia dura circa un anno e, a guerra finita, si ritira nella sua Romagna per poi emigrare nuovamente in Francia dove sposerà Rosa Baldi, che darà alla luce il figlio Claudio. La ruota sembra finalmente girare per il verso giusto a Monsieur Victor (la guerra è solo un brutto ricordo), che si dedica appieno alla sua frequentatissima scuola di musica e ai numerosi concerti.
Anno 1951: torna definitivamente in Italia e si stabilisce nella sua Cesena. Dopo una breve parentesi con l’orchestra Secondo Casadei, inaugura la prima delle sue formazioni omonime e si prodiga in una serie di registrazioni, alcune delle quali distribuite dalla Fonit Cetra, che contribuiranno alla sua totale consacrazione. Gli “ultimi” trent’anni di vita del Maestro Borghesi si possono sintetizzare nelle emozioni che regalava durante le sue esibizioni o nel corso delle frequenti partecipazioni a trasmissioni televisive, oppure quelle che trapelano tuttora dalle sue celebri composizioni.
Muore nel 1982, affidando l’orchestra a Sigfrido Paganelli, ragioniere di professione e suo prezioso collaboratore, cui va riconosciuto il merito di aver costituito nel tempo un gruppo di musicisti e professionisti di grande talento.
Sigfrido, trovi delle analogie tra questa formazione orchestrale, che gestisci ormai da tantissimi anni, e la band storica del Maestro Borghesi?
Ovviamente, ci sono delle differenze, riferite soprattutto alla gestione dello spettacolo, dettate dalle esigenze di un pubblico che non si limita più al solo ballo di coppia standard e alle quali facciamo fronte grazie alla versatilità e all’estrema bravura di tutti i nostri orchestrali. La costante è rappresentata da un gruppo di professionisti che, con sacrificio e passione, contribuiscono alla valorizzazione della tradizione romagnola, che trova, proprio nel Maestro Vittorio, uno degli esponenti più celebri e acclamati. Oggi, però, è quantomeno utopistico pensare di imporre un repertorio che non preveda l’esecuzione dei tanto richiesti balli di gruppo e, soprattutto, bisogna essere sempre in grado di proporre la hit del momento: per una formazione che fa dell’esecuzione dal vivo un credo imprescindibile, la situazione si complica… e parecchio.
Tra i tanti fisarmonicisti che si sono avvicendati nella grande orchestra Borghesi, c’è qualcuno che, per talento, musicalità, carisma e passione ti ricorda Vittorio?
Senza ombra di dubbio Edmondo Comandini, un grande fisarmonicista che ha dedicato ben venti anni della propria vita e della propria carriera artistica all’orchestra Borghesi.
C’è, invece, qualche talento che avresti voluto o che vorresti “arruolare” nel tuo organico?
Si, Daniele Donadelli… un bravissimo fisarmonicista che rispecchia al 100% lo stile di Vittorio, ma che ha preferito la carriera dell’insegnamento ai sacrifici imposti dalla “vita da orchestrale”.
Dal punto di vista manageriale, che è quello che più ti compete, quali sono le difficoltà nella gestione di un’orchestra prestigiosa e numerosa come la tua? Quale futuro prevedi per queste grandi formazioni e per la tradizione romagnola?
Le difficoltà, fondamentalmente, sono tre: la prima è far andare d’accordo dodici persone, o meglio, dodici artisti che non hanno problemi nel dialogare con gli strumenti in mano, ma che tendenzialmente cercano sempre di imporre la propria personalità e il proprio carisma. A seguire, metto i gestori dei locali, delle TV e il pubblico che, oggi più che mai, va tenuto in grande considerazione e va assecondato in tutte le richieste. In ultimo, la scelta del repertorio, che prevede, chiaramente, anche il lancio di nuovi successi e, quindi, tanto lavoro in studio di registrazione. Tenuto conto dell’aspetto musicale, che è certamente quello più gratificante e a noi più congeniale, va comunque ricordato che l’orchestra Borghesi è pur sempre un’azienda costituita da dodici dipendenti fissi intorno alla quale gravitano una serie di figure (tecnici, fonici, arrangiatori, grafici, etc.) che influiscono e parecchio sulla gestione economica e amministrativa. Il futuro è incerto, la concorrenza dei piccoli gruppi si fa sentire e, spesso, si rinuncia alle prestazioni delle grandi orchestre a scapito di formazioni con pochi elementi e “poco blasone”, ma noi andiamo per la nostra strada auspicando tempi migliori.
La figura più carismatica, il leader del gruppo sembra essere “Chicco” il cantante… Si è trattato di una scelta ponderata, al fine di non caricare di pressioni eccessive il fisarmonicista, o, più semplicemente, di meriti acquisiti?
Secondo la nostra filosofia e, credo, non solo, il fisarmonicista è importante, direi determinante nell’economia di un’orchestra da ballo che imposta gran parte del repertorio proprio sui suoi virtuosismi. Nel nostro caso, il musicista in oggetto può subire chiaramente delle pressioni particolari perché deve comunque dimostrarsi sempre all’altezza del compito che gli è stato assegnato, quello di veicolare l’immagine di Vittorio Borghesi nel mondo. Questo comporta una dedizione assoluta per lo strumento e un’abnegazione costante nello studio dei brani resi celebri dal suo predecessore che, inevitabilmente, sarà sempre un punto di riferimento, a volte fin troppo scomodo e ingombrante. Va comunque detto che tutti i fisarmonicisti che si sono alternati nell’orchestra, dopo la morte di Vittorio, si sono distinti per abilità tecniche e carisma. Trovo infine giusta la tua osservazione riferita a “Chicco”, il cantante, che si è ritagliato un’immagine da leader grazie alla sua simpatia e alla sua facilità di comunicazione, ma non si è trattata assolutamente di una scelta mia o della famiglia Borghesi. In questo ambiente è il pubblico che elegge i propri beniamini e lui è molto bravo a conquistarsi la simpatia e l’affetto delle persone.
Al di là del rapporto di lavoro, cosa ti lega alla famiglia Borghesi? Con l’orchestra ti è stata affidata anche la gestione del repertorio, ma, soprattutto, dell’immagine del Maestro; una grande responsabilità, tenendo conto che stiamo parlando di un musicista di livello assoluto.
Sembrerebbe una frase di circostanza, ma, effettivamente, l’orchestra Borghesi è la mia seconda famiglia. Qui ho trascorso ben trentacinque anni di vita, prima con Vittorio, dal ’74 all’82, occupandomi esclusivamente della gestione economica, poi, dopo la sua scomparsa, di tutte le problematiche e dell’immagine della band che, comunque, necessitava di una persona di riferimento. Una responsabilità? Si, perché Vittorio non è stato un musicista qualsiasi, ma una pietra miliare della tradizione romagnola e questo, di fatto, accresce gli oneri di una scelta di vita della quale non mi sono mai pentito e di cui sono estremamente fiero. In questa grande impresa ho coinvolto ultimamente anche mia moglie e i miei figli, un modo in più per stare vicino ai miei cari che, spesso, ho trascurato, pur se per una nobile causa.
Salutaci con un aneddoto, una curiosità, un ricordo legato alla tua esperienza con Vittorio Borghesi.
Aneddoti particolari non ce ne sono se non il ricordo di un uomo speciale che ha dedicato tutta la sua vita alla musica da ballo; un esempio di professionalità e di dedizione al lavoro per tanti giovani musicisti che solo oggi si avvicinano “al palco”. Portare avanti il suo sogno, la sua grande orchestra, il suo repertorio è stato l’unico scopo della mia vita. Ancora oggi, mi emoziono (proprio come in questo momento n.d.r.) quando la gente si complimenta con i miei ragazzi; la stima, le attenzioni e gli apprezzamenti del pubblico denotano in me la consapevolezza di aver contribuito alla diffusione di qualcosa d’importante, il raggiungimento di un traguardo… il coronamento di un sogno.