Amore a prima vista con il tango

Fra svariati generi musicali, il tango è quello più amato dal fisarmonicista Armando Rizzo

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Armando Rizzo - PH Salsano PressArmando Rizzo è un fisarmonicista poliedrico, capace di spaziare fra musica colta, folk e jazz. Ma è il tango il genere musicale che lui predilige da sempre. Dal fraseggio lirico ed energico allo stesso tempo, dalla musicalità autentica e generosa, Rizzo ripercorre le tappe più significative della sua carriera. Un cammino artistico che lo ha visto protagonista in diversi contesti di assoluto prestigio, in Italia e all’estero.

Durante il tuo percorso hai raggiunto un eclettismo stilistico che ti ha portato a spaziare fra svariati generi musicali, soprattutto tra folk, tango e jazz. C’è uno stile fra questi tre che più ti appartiene artisticamente?

Studiare, ma soprattutto lavorare con vari generi musicali, significa sicuramente avere una marcia in più rispetto a chi si interessa a un solo stile. Il fatto di aver collaborato in svariati progetti, di diversa estrazione musicale, mi ha dato la possibilità di acquisire parecchie competenze nel corso degli anni. Ovviamente più generi si praticano e più si è pronti alle diverse richieste del mercato. Però, a volte, bisogna pure saper scegliere e fare ciò che davvero ti arricchisce musicalmente e non che ti rallenta, altrimenti si rischia di essere tutto e niente. La musica classica credo sia la base per acquisire lettura, interpretazione (impostata), tecnica, padronanza dello strumento, allenamento fisico e mentale, tutti requisiti che ti permettono poi di fare altro, con un approccio magari più personale. Se devo scegliere e dire quale genere sento che mi appartiene di più rispondo il tango. L’ho sempre amato ed è quello che suono con più piacere.

Nel 2008 hai stretto un’importante collaborazione con la Bernd Hasel Orchestra (Germania), con cui ti sei   esibito da solista e in formazioni cameristiche. Com’è nata questa opportunità professionale?

Quella tedesca è stata la mia prima collaborazione musicale all’estero. Come spesso accade, è nato tutto per caso. Mi trovavo in Germania con un gruppo folk di Buccino, un paese in provincia di Salerno gemellato con Hofheim Am Taunus MTK. Fui notato da un produttore musicale della zona, appunto Bernd Hasel, che poi mi chiamò per altri sette anni a fare tanti concerti in giro per la Germania, per esempio alla fiera degli strumenti musicali di Francoforte, in vari jazz club e locali nei dintorni di Francoforte. Ricordo ancora un club che si chiamava “Jazz Keller” in cui mi portava il caro e buon Bernd per farmi suonare con altri musicisti. Oltre a lui, poi trovai altri contatti, facendo così varie esperienze musicali ed umane. Tutto ebbe inizio nel periodo in cui mi preparavo per il diploma di fisarmonica in conservatorio. Fu molto faticoso quanto stimolante. Lo ricordo con molta gioia.

Nel 2010 hai registrato le musiche della fiction La Ladra, con Veronica Pivetti nel ruolo di attrice protagonista, in onda su Rai 1 nel settembre e ottobre dello stesso anno. Questa esperienza ha arricchito il tuo bagaglio sotto l’aspetto della crescita artistica?

Un giorno mi chiamò Antonio Di Pofi, all’epoca maestro di composizione per musica da film del Conservatorio di musica di Frosinone (“Licino Refice”, ndr). Mi disse: «Ciao, Armando. Mi serve un fisarmonicista sveglio che faccia quello che gli chiedo, all’istante». Io, un po’ preoccupato, gli risposi: «Eh, ok». Da lì nacque una bella collaborazione e una bella amicizia, che ancora oggi ricordo con affetto. Iniziai a lavorare con Di Pofi prima della fiction. Suonai delle sue musiche in uno spettacolo teatrale che andò in scena per due mesi al “Teatro dell’Orologio” di Roma – diretto da Mario Moretti – e l’opera si intitolava Il Merlo sulla Forca. Ricordo ancora le serate a casa sua a Roma per provare le parti (non scritte). Lui aveva questo modo di fare. Come tutti i fuoriclasse chiedeva delle cose assurde​ ed io, non so come, riuscivo a comprendere le sue visioni musicali. Così mi chiamò anche per le musiche della fiction La Ladra con Veronica Pivetti. In studio era tutto un divertimento, tutto improvvisato, registravamo guardando il film per avere bene chiari i tempi delle varie musiche. Lui aveva continue idee musicali che sviluppavamo al momento. Questo, ovviamente come tutto il resto, non ha fatto altro che arricchire il mio bagaglio musicale e umano. Ancora oggi ripropongo le sue battute.

Oltre alla Germania, la Polonia è un Paese per te molto rappresentativo dal punto di vista artistico, poiché lì hai intrapreso svariate collaborazioni con tanti musicisti del panorama polacco. Sul lato umano e professionale, sei entrato subito in sintonia con gli artisti con i quali hai condiviso la scena?

Anche in Polonia mi sono trovato per caso, con una mia cara amica e collega, il Soprano M° Antonella De Chiara, con la quale già collaboravo da tempo. Un giorno mi chiese se avessi voluto accompagnarla in Polonia in qualche sua esibizione in un festival e io, ovviamente, accettai. Mi ritrovai in una rassegna canora, perché lì, come in tante altre nazioni, amano il bel canto italiano. Quasi mi sentivo fuori luogo ad essere l’unico ospite musicista e non cantante di quell’evento. Oltre ad accompagnare Antonella De Chiara, mi fu chiesto di suonare un brano in chiusura di questa kermesse, quindi interpretai la Czardas di Vittorio Monti accompagnato dall’orchestra d’archi e sezione ritmica. Ci sono i video a testimonianza del successo che riscosse quell’esibizione, che ebbe luogo in un equivalente di un palazzetto dello sport in Italia. Il consenso fu tanto da essere chiamato poi in altre occasioni a rappresentare l’Italia in vari festival. Ricordo l’esibizione al “Teatr Wielki” di Lodtz  al festival “The Voice of Europe”, uno dei teatri più importanti della Polonia, dietro l’invito del direttore del teatro stesso: il M° Dariust Stacura. Mi piace molto il popolo e la terra polacca, quelle sterminate foreste, i suoi laghi, le immense distese pianeggianti, la tripla città “Sopot, Gdynia e Danzica”, i mari del nord, le strade tutte dritte. Ricordo un giorno, mentre ero alla guida su una strada polacca, che il navigatore mi disse di proseguire dritto per 106 chilometri. Nemmeno una curva o uno svincolo per 106 chilometri! Dal lato umano ho stretto amicizie e collaborazioni che porterò per sempre con me: il M° Dariusz Stacura, col quale ricordo le cene dopo le prove in teatro, così come quando andavamo insieme a mangiare la pizza, Maria Jaracz che una volta mi portò la cena in hotel, da casa, prima di un’esibizione, il  M° Bartosz Zurakowski, direttore dallo sguardo glaciale con le sue giacche molto particolari, il M° Marek Czekala, direttore e persona straordinaria, il M° Kaludi Kaludov, il M° Bogna Dulinska e molti altri. Il popolo polacco è molto affettuoso e genuino e, soprattutto, è gente che ama molto l’Italia.

Armando Rizzo (PH Fabio Miracolo)Nel 2020 hai formato un trio a tuo nome completato da Corrado Cirillo al contrabbasso e Luca Mignano alla batteria. Con questa formazione hai registrato un disco intitolato Suggestions pubblicato dall’etichetta Skidoo Records. Qual è il mood di questo album?

Il mood di questo disco è l’amicizia! Con Corrado Cirillo ci conosciamo da anni e quando gli dissi che volevo fare un trio mio lui mi disse subito: «E non chiami me a suonare?» Io risposi: «Ovvio».  A dir la verità avevo un po’ di timore a chiederglielo, perché lui è abituato a ben altri musicisti e jazzisti. In questo CD ho voluto riportare le mie suggestioni inerenti a questi generi musicali che​ adoro: musette, tango, choro e jazz, interpretati a modo mio, coadiuvato da Corrado Cirillo e Luca Mignano, i miei compagni di viaggio. Questo è un progetto in cui lascio libero sfogo a tutto quello che è il mio bagaglio musicale, senza paletti o schemi fissi. Infatti con loro ogni concerto è diverso dall’altro. L’album lo abbiamo registrato in circa otto ore, si direbbe che è un live, perché se ci fossimo messi a rifare le take sarebbe uscito diverso. Abbiamo voluto conservare la spontaneità delle performance. Ho avuto il piacere di ospitare degli amici, musicisti straordinari, che hanno dato il loro apporto ad ogni brano: il chitarrista jazz Federico Luongo, il chitarrista manouche Cyrano Vatel e il fisarmonicista Francesco Citera, che prima di questa esperienza stimavo come musicista ed oggi anche come persona.

Per quanto riguarda il tuo strumento, quale modello di fisarmonica suoni in studio di registrazione e nei concerti?

La fisarmonica è uno strumento particolare, non è come il pianoforte che ovunque tu vada lo trovi sempre “uguale”. Esistono tanti tipi di fisarmoniche e ognuna di essa è adatta a suonare generi musicali diversi. Di solito, per fare tango, uso uno strumento con cassotto, per avere un suono caldo e potente. Per il valzer musette, ad esempio, occorre uno strumento con un suono un po’ più aperto, più o meno vibrato, ma dipende poi dal repertorio. Attualmente, per il progetto Armando Rizzo Trio, utilizzo uno strumento a bottoni – 96 bassi, che racchiude un po’ i due stili: il tango e il valzer musette, giocando con l’uso dei registri. Per il genere musicale classico, da Bach in poi, uso invece il Bayan, sempre a bottoni, che è una fisarmonica con a sinistra un sistema di bassi detto “bassi sciolti”, dove sono presenti note singole oltre agli accordi precomposti (standard) tipici della fisarmonica tradizionale.

Sei impegnato anche come docente di fisarmonica. Da insegnante, applichi un tuo metodo oppure tendi ad adattarti il più possibile alle varie esigenze dei tuoi allievi?

La didattica moderna ci porta ad adattarci alle esigenze e alle capacità dell’allievo, costruendo da lì la nostra azione didattica. Si parla sempre più di competenze e non di contenuti. Le competenze si possono acquisire con varie strategie che noi docenti dobbiamo cucire su misura per l’allievo. Io credo che all’alunno si debba insegnare da un lato la disciplina e dall’altro bisogna guidarlo nel curare la propria zona prossimale, assecondando la propria indole che può dipendere da tanti fattori: dall’estrazione sociale, dal contesto in cui vive, in buona sostanza dalla somma di tutto ciò che lo circonda. C’è poi il discorso dei titoli: se si vuole conseguirne uno bisogna fare ovviamente un certo tipo di percorso. Ma credo che poi bisogna essere coerenti con se stessi, non prendersi solo il pezzo di carta con superficialità, perché poi si pensa che si farà altro nella vita. Per cui, per fare qualsiasi cosa nella vita c’è bisogno di serietà e disciplina, caratteristiche che si acquisiscono studiando musica seriamente. In generale ritengo che suonare debba essere un piacere e non una​ forzatura. Dopo aver acquisito una buona base si avranno le competenze per potersi liberare da certi schemi.

Volgendo lo sguardo al futuro imminente, quali sono gli appuntamenti musicali già fissati?

I prossimi appuntamenti musicali sono di sicuro un altro disco con il mio trio (Armando Rizzo Trio), poi un duo con la mia compagna e futura moglie flautista Alessandra D’Agosto con brani trascritti da me, oltre a un percorso di studi in “Composizione Jazz” intrapreso pochi mesi fa presso il conservatorio di Avellino (“Domenico Cimarosa”, ndr).  Per il resto non pianifico nulla, perché nelle ultime settimane ci sono stati degli avvenimenti nella mia vita privata che mi hanno fatto cambiare la visione della stessa vita in generale. Prendo quello che viene senza troppi sforzi, sacrifici e pianificazioni. Ho deciso di prendermi un periodo di riflessione e riposo. Avevo dei progetti in essere molto interessanti che ho messo in pausa e che magari più in là riprenderò. Per ora mi godo quello che ho e che ho fatto, senza voler per forza fare altro in modo forsennato, cercando di trovare tutta la serenità di cui ho bisogno.

 

(Foto di Salsano Press, Pietro Arcangelo e Fabio Miracolo)

 

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