L’affinità espressiva tra organo e fisarmonica

Intervista a Gianluca Libertucci

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Gianluca LibertucciDiplomato in Organo e composizione organistica presso il Conservatorio di Roma; Musica corale e direzione di coro presso il Conservatorio di Firenze, Strumentazione per banda presso il Conservatorio di Frosinone. E poi, tra i numerosi altri, corsi di perfezionamento a Roma, a San Sebastian, all’Accademia musicale Chigiana di Siena, a Milano. E, ancora, docente presso i Conservatori di Catania, di Castelfranco Veneto, di Venezia, di Frosinone. Organista in àmbito Pontificio e concertista “in ogni dove” d’Europa, Asia e America. Gianluca Libertucci (Roma, 1967) ha una formazione e un percorso artistico singolari rispetto a quelli di altri compositori che ho avuto il piacere di incontrare sulle pagine di questo giornale.

Da quali esperienze e da quali ascolti nacque in te l’interesse per l’organo, uno strumento che un giovanissimo non incontra così spesso, né tanto facilmente, lungo la propria strada?

Ho sempre mostrato un particolare interesse per la musica polistrumentale e politimbrica. In quinta elementare entrai nel famoso coro della Cappella Sistina, diretto dal maestro Domenico Bartolucci, e lì sono cresciuto cantando, con la mia “voce bianca”, la musica polifonica di Palestrina. Ero immerso nel coro: per un bambino, intrecciare la propria voce piuttosto flebile con le sonorità potenti emesse dai tenori, dai baritoni e dai bassi è qualcosa di misterioso e di commovente insieme. Se si considera che le esecuzioni avvenivano sotto la cupola di Michelangelo, a pochi metri dal baldacchino di Bernini e al cospetto del Pontefice, si può capire quanto mi sia difficile descrivere lo stato d’animo in cui mi trovavo. Ricordo che dopo tanti anni, in occasione del diploma di “Musica corale e direzione di coro”, il presidente della commissione, valutando il mottetto che avevo scritto per l’esame, esclamò: “sembra che lei abbia mangiato Palestrina a pranzo e a cena!”. Al momento non capii, ma poi compresi che l’esperienza in Sistina mi aveva segnato. Ancora oggi, è possibile per i pueri cantores che lo volessero, purché dotati di una bella voce, entrare nell’organico del prestigioso coro. È un’esperienza che auguro a tutti. Parallelamente, sul piano strumentale, in quegli stessi anni mi convinsi che solo l’organo potesse proporre contemporaneamente più tipologie di suono e di ritmi diversi e così, da subito e spontaneamente, mi appassionai alla grande musica per questo meraviglioso strumento, trovando in esso il naturale proseguimento della mia dimensione musicale.

Tre grandi Maestri hanno “nutrito” i tuoi studi: Luigi Celeghin, Domenico Bartolucci e Michael Radulescu. Tre figure, direi, piuttosto distanti tra loro per gli interessi e le propensioni musicali che hanno espresso. Il primo, Celeghin, prevalentemente interprete e grande didatta; Domenico Bartolucci, al quale hai già fatto cenno, cardinale, figura imprescindibile nella musica corale sacra del Novecento, Maestro Direttore della Cappella Musicale Pontificia “Sistina; infine, Radulescu, straordinario studioso della musica organistica di Bach. Che cosa ti ha trasmesso ognuno di loro e quale sintesi sei riuscito a trovare fra questi Maestri, che possa aver influito sulla tua musica sia come organista, sia come compositore?

Domenico Bartolucci, oltre a essere stato un grande conoscitore della musica di Pierluigi da Palestrina e del thesaurus musicale in genere prodotto dalla Scuola Romana, è stato anche un prolifico compositore. Il linguaggio utilizzato dal monsignore dipende direttamente dal testo da musicare. Oltre alla classica distinzione tra sacro e profano, gli stili si diversificano anche in relazione alla destinazione esecutiva e alla struttura del brano stesso, corale, strumentale, orchestrale. Impressionante è notare la varietà del segno musicale che Bartolucci mette in campo, ma ancora più emozionante è rilevare con quanta efficacia il messaggio testuale venga reso in musica, al punto che anche la musica puramente strumentale sembra sottendere un ipotetico componimento poetico: tanto è spontaneo il procedere delle melodie, il concatenarsi delle frasi, l’organizzazione del materiale tematico. Ricordo le sue lezioni di basso continuo: sui partimenti di Fedele Fenaroli mi chiedeva di costruire dei brani che risultassero compiuti e convincenti, improvvisandoli di getto al pianoforte. I primi rudimenti della composizione, dunque, provengono certamente dal Maestro Bartolucci.

Luigi Celeghin, scomparso nel 2012, fu mio Maestro per l’intero corso decennale di “Organo e composizione organistica” presso il Conservatorio di Santa Cecilia in Roma. Concertista di fama internazionale, Celeghin era anche un entusiasta cultore dell’organaria, l’arte di costruire e restaurare gli organi. Possedeva un repertorio vastissimo che gli permetteva letteralmente di cucire il programma di ogni concerto al tipo di organo di cui di volta in volta disponeva, antico o moderno che fosse, di tipo italiano, tedesco o francese, a una o più tastiere. Amava il canto gregoriano e suonare con gli ottoni ed era anche compositore. Non da ultimo, era un eccellente didatta e formò schiere di giovani organisti. Naturalmente, appresi tutto da lui, sul piano umano e musicale; in particolare l’esigenza di studiare e di approfondire la produzione organistica di tutti i tempi e di ogni provenienza geografica e culturale. In questo modo riesco ad accettare gli inviti a esibirmi in pubblico che mi provengono da tutto il mondo. L’esperienza direttamente acquisita sul campo cerco poi di trasmetterla agli studenti che mi vengono affidati. In una parola, ripropongo a essi l’entusiasmante viaggio intrapreso e prolungo il percorso nei quali mi sono immesso intorno agli anni Ottanta.

Con Michael Radulescu ho avuto un’esperienza straordinaria, nel senso letterale del termine, fuori dall’ordinario. Organista celeberrimo per la conoscenza del repertorio bachiano, celebrato per le intuizioni relative alla dimensione numerologica di cui l’intera opera del Kantor è impregnata, ricercatissimo per tenere corsi specialistici di musica barocca, mi ha guidato invece per l’interpretazione dei lavori organistici di César Franck, un autore che si pone totalmente al di fuori del suo abituale àmbito di interesse, tenendo indimenticabili lezioni sugli strumenti costruiti dall’organaro Aristide Cavaillé-Coll, contemporaneo del compositore belga, al confine tra la Spagna e la Francia, in Donostia-San Sebastián e nella zona di Gipuzkoa. Non saprei motivare l’insolito interesse di Radulescu per l’organista di Sainte-Clotilde in Parigi: forse sollecitato dalla chiarezza del contrappunto e dall’equilibrio delle proporzioni, elementi che accomunano Franck e Bach, come anche l’uso della forma compositiva del corale, della passacaglia e della toccata.

Tra i numerosi titoli accademici che hai conseguito, uno, tra l’altro molto recente (2019), mi ha colpito particolarmente: il Diploma di “Strumentazione per banda” presso il Conservatorio di Frosinone. Perché hai sentito l’esigenza di fare questo tipo di studi, che, a me, appare così distante dagli altri che hai compiuto?

In realtà, l’organo è uno strumento a fiato, anche se azionato da tastiere e pedaliera, e sfrutta lo stesso principio degli strumenti tipici della banda. C’è una notevole somiglianza tra l’organo sinfonico e la banda, e il connubio tra i due è quanto di più bello possa musicalmente esistere. Già intorno agli anni Novanta, iniziai a interessarmi degli studi di strumentazione e il desiderio di completare il corso mi ha sempre accompagnato. È opportuno notare che i compositori della musica organistica italiana del XIX secolo si proponevano di imitare, e volentieri copiare, il grande repertorio teatrale prodotto dai più famosi autori del periodo. Di conseguenza, gli organi erano provvisti di effetti orchestrali quali il timpano, la grancassa, il rullante, i piatti, il gong, i campanelli. I brani di ingresso e finale della Messa potevano benissimo essere la sinfonia introduttiva di un opera di Rossini o di Donizetti; i momenti dell’offertorio e della comunione sovente venivano accompagnati da arie di Verdi o di Mercadante, etc. D’altra parte, se si pensa che il fervore per il teatro musicale era capillarmente diffuso nell’intero stivale, che appassionava tutti gli italiani (i quali conoscevano a memoria le arie, le cabalette e le cavatine più famose) e che le bande venivano invitate nelle piazze dei paesi a eseguire i brani più amati e popolari, il fenomeno non stupisce più di tanto. Se poi si aggiunge che l’ingresso in chiesa era gratuito…

Nell’immaginario collettivo, la banda, a torto o a ragione, riporta a espressioni musicali meno colte e, in qualche misura, riconducibili a determinate tradizioni popolari. È stato (e in parte lo è ancora) un limite e un pregiudizio che ricorre anche nei confronti della “protagonista” del nostro giornale: la fisarmonica. Per il nostro strumento hai composto La fuga del Grillo, un brano nato nell’àmbito di un progetto che un grande fisarmonicista, molto amato da noi e dai nostri lettori, Ivano Paterno, ha dedicato a Josquin Desprez, figura imprescindibile della musica quattro-cinquecentesca, nel cinquecentesimo anniversario della sua morte. Che cosa ti ha spinto a aderire al progetto di Ivano?

Innanzitutto l’amicizia con Ivano Paterno e la stima che da sempre nutro nei suoi confronti. Poi la curiosità e l’unicità dell’invito: mai nessuno mi aveva proposto di lavorare su temi di altri musicisti! E poi naturalmente la venerazione per Desprez, anch’egli cantore della Cappella Sistina, seppure qualche anno prima di me.

Quali corrispondenze (ed, eventualmente, quali discordanze) hai colto tra il tuo strumento d’elezione, l’organo, e la fisarmonica?

Invito i lettori ad ascoltare a occhi chiusi le esecuzioni di un fisarmonicista: si renderanno subito conto di quanto i due strumenti siano parenti e di quanto le timbriche siano piuttosto omogenee. Alcuni organi del XIX secolo erano provvisti di un registro denominato harmonium, che sfrutta il medesimo principio fisico della fisarmonica, normalmente con un solo gioco di ance libere e collegate a un manuale supplementare appositamente costruito. L’affinità espressiva tra i due strumenti spinse i costruttori a unificarli per un uso simultaneo: quindi il duo fisarmonica-organo mi appare quanto di più stimolante e creativo.

Gianluca Libertucci - Cappella SistinaQuali caratteristiche della fisarmonica hanno suscitato maggiormente il tuo interesse e stimolato la tua creatività?

Certamente le possibilità dinamiche della fisarmonica, notevolmente più sviluppate, ricche e fluttuanti rispetto all’organo. Bisogna ricordare che proprio l’harmonium rappresentò nel XIX secolo il tentativo di rendere espressivo l’organo. Nacquero in Europa e in America molte fabbriche di harmonium: le più famose e rappresentative sono la ditta Maelzel e la Mustel. E alcuni importanti autori, tra i quali Saint-Saëns, Guilant, Lefébure-Wély, Karg-Elert, si dedicarono all’harmonium con passione e impegno, creando un’abbondante produzione musicale di raffinata qualità. Anch’io nel mio piccolo ho scritto per harmonium (o organo) e altri strumenti. Mi sento particolarmente legato alla Suite Classica per fagotto e harmonium, al Piccolo Trittico per oboe e harmonium, alla Melodia per flicorno e harmonium (o organo), alla Passacaglia per pianoforte, harmonium e clavicembalo, alla Trans-Tiberim Suite per organo (o harmonium), al Liber Organ Blues per organo (o harmonium), alla Fantasia dell’Aurora per organo (o harmonium). Tutti brani nei quali l’harmonium può efficacemente essere sostituto dalla fisarmonica. Vorrei affermare che la fisarmonica e l’harmonium costituiscono, almeno nella mia idea, un’unica straordinaria identità. Alcuni anni fa, nel 2019, mi sono divertito molto nel comporre un brano, chiamato Carillon Suite, per sei organi antichi, cioè strumenti dotati di una tastiera, ma privi di pedaliera. Il che significa che la Carillon Suite può benissimo essere interpretata da sei fisarmonicisti. Probabilmente, sarà necessario qualche ritocco o adattamento. Mi piacerebbe molto ascoltarla!

Nel corso del lavoro di composizione di La fuga del Grillo hai sentito la necessità di confrontarti con Ivano, in quanto fisarmonicista?

Naturalmente sì. Spesso, ho consultato Ivano per informazioni tecniche specifiche. In verità, devo confessare che, talvolta, gli ponevo alcune questioni solo per il piacere di attingere un granello, seppure infinitesimale, del suo irrefrenabile e travolgente entusiasmo di fisarmonicista. È un musicista vulcanico, ma non effusivo, esplosivo! Traboccante di idee sempre nuove e originali. Ma anche, e soprattutto, un interprete preparatissimo, consapevole, raffinato e profondo. Nelle sue mani, e con il suo strumento, ogni brano diventa davvero una perla d’arte. Nel 2010, durante le prove per un nostro concerto in una chiesa di Pesaro, in cui suonammo tra le altre cose Ra, una pregevole composizione per fisarmonica e organo scritta appositamente per noi dal collega e amico Claudio Scannavini, ci divertimmo molto a manipolare l’impianto dell’aria condizionata: eravamo in pieno luglio e dovendo sintonizzare l’accordatura dei due strumenti avevamo scoperto che a 19 gradi il la dell’organo era a 440 Hz e che per ogni grado di temperatura in meno il la si alzava di 0,70 Hz, ma non il la della fisarmonica. Così, per non suscitare il disappunto del sacerdote, il quale temeva giustamente che mandassimo in tilt il condizionatore, e non soffocare il pubblico che sarebbe arrivato in serata, per i nostri “pericolosi” esperimenti termici attendevamo che il reverendo entrasse in confessionale o si allontanasse momentaneamente dalla chiesa. Un vero spasso!

Da che cosa prende le mosse La fuga del Grillo?

Da El grillo è buon cantore, tratto dal Terzo Libro delle Frottole (1506) di Josquin Desprez, editore Ottavio Petrucci. Si tratta di un brano per coro a quattro voci. Ho appreso da Josquin quanto sia importante modellare la melodia e la struttura ritmica sempre in stretta connessione con la parola. Senza un’intima corrispondenza tra testo e musica mi pare che il compositore parli invano.

Che relazione – musicale e simbolica – c’è tra il tuo Grillo e quello di Josquin Desprez?

In ossequio alla grande tradizione contrappuntistica che ha visto in Josquin uno dei massimi esponenti, e giocando sul doppio significato della parola “fuga”, ho pensato di basare la mia composizione proprio sulla tecnica imitativa che è propria di tale forma: ho inseguito la fuga del simpatico e chiassoso ortottero toccando i vari piani sonori nell’ordine consueto (tonica, dominante, relativo maggiore, sotto dominante) e organizzato il discorso musicale ricalcandone la struttura classica (esposizione, divertimenti, stretti, pedale). Certo, il frinire del grillo di Josquin è straordinariamente realistico. Il mio grillo tenta di svignarsela, ecco perché è frenetico e concitato…

Quanto è stata utile la tua formazione in ambito corale per confrontarti con il lavoro di Josquin Desprez?

Ho studiato il contrappunto rinascimentale a Roma con Alberto Meoli. Si tratta di una tecnica particolare perché l’àmbito nel quale si muove è legato al sistema modale, non tonale. La modalità è un linguaggio assai ricco e variegato e si presta a infinite soluzioni. Sarebbe auspicabile che oggi si tornasse a comporre lasciandosi guidare e ispirare dai princìpi generatori che sono propri del canto gregoriano, dagli “affetti” e, almeno non troppo, dagli “effetti”.

Come per Josquin Desprez, il tuo repertorio di compositore abbraccia sia l’àmbito sacro, sia quello profano. Come definiresti la tua “poetica” in ciascuno di questi campi? E c’è un fil rouge che li coniuga?

Per essere sincero, non ho mai riflettuto abbastanza su questa diversità di àmbiti. Bisognerebbe forse che qualcun altro rispondesse al posto mio. Tuttavia, penso di poter affermare che tendo, seppur in maniera non troppo consapevole, a individuare due differenti dimensioni nella musica sacra: la musica liturgica, che ha una propria effettiva funzionalità all’interno della Celebrazione della Messa (e al di fuori della quale risulterebbe priva di cornice), e la musica sacra che così si definisce solo perché in qualche modo è collegata a un testo religioso in genere o a un titolo che richiami una tematica ecclesiastica. Invece, tra la musica sacra così intesa e la musica profana mi immergo in una confusa confusione. Mi butto…!

Chi ha la pazienza di seguire su “Strumenti&Musica” le mie interviste ai compositori, avrà notato una mia predilezione per comprendere che cosa spinga, al di là di specifiche committenze, ad associare determinati strumenti. Nel tuo catalogo, mi ha colpito molto la Melodia per flicorno e organo (2022). Un ensemble, per quanto ne sappia, piuttosto inconsueto. Il flicorno è uno strumento che amo particolarmente. Ne fui folgorato, da ragazzino, ascoltando un album di Chet Baker, che segnò l’inizio della mia passione (poi trasformata in professione) per la musica. Quali potenzialità espressive di quello strumento cercavi di far risaltare, mettendolo in relazione con l’organo?

Nel mio “periodo catanese” (1994-2001) ho suonato in duo con il grande trombettista Carmelo Fede, che allora occupava il posto di Prima Tromba al Teatro Massimo Bellini di Catania. Insieme abbiamo tenuto innumerevoli concerti in Italia e in Europa. Carmelo è un mago con i suoi strumenti: riesce a passare con disinvoltura (nello stesso concerto e talvolta nello stesso brano) dalla tromba in si bemolle al trombino piccolo, dalla tromba in do al flicorno soprano, dalla tromba in re alla tromba naturale. Un’elasticità rarissima e che ha veramente dell’incredibile. Anch’io sono rimasto folgorato dalla bellezza e dalla commovente morbidezza del suono del flicorno soprano, proprio in occasione dei concerti con Carmelo. Stemperare, o arricchire, la fissità dei suoni d’organo con la mobilità espressiva del flicorno soprano: ecco il sentimento (forse misto anche a un po’ di “compiaciuta invidia”…) che mi ha spinto e che alla fine mi ha condotto alla stesura della Melodia.

E alla fisarmonica quale strumento (o quali) uniresti in un ensemble?

Mi piacciono i contrasti. E se fosse il fagotto?

Tornerai a scrivere per la fisarmonica?

Non vedo l’ora…!

I prossimi progetti di Gianluca Libertucci…

Un CD per tromba e organo.

Sarò il primo ad ascoltarlo!