La fisarmonica: una voce che sale dal profondo

Intervista a Barbara Rettagliati

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Barbara RettagliatiUno scambio di messaggi, un paio di telefonate e l’intesa con Barbara Rettagliati era subito raggiunta. Non solamente quella per dar vita all’intervista che state per leggere, ma anche un’armonia nella visione della musica, negli intenti, in certi valori. È quando si creano queste circostanze, che, a mio avviso, nascono le interviste migliori (giudicheranno i lettori) o, almeno, le più “sentite”. Come sempre, per conoscere più dettagliatamente la storia professionale di un compositore o di una compositrice rimando al suo sito. Quello di Barbara Rettagliati è questo e ci troverete anche tanti suggerimenti di ascolto: https://barbararettagliaticomposition.wordpress.com/

Cominciamo dalla fine, Barbara. Il prossimo 15 dicembre, a Roma, nell’ambito del Festival di Nuova Consonanza, sarà eseguito in prima assoluta un tuo brano dal titolo Hieronymus, le cui sezioni hanno le seguenti indicazioni: “Il paradiso terrestre”, “Il giardino delle delizie” e “L’inferno musicale”, commissionato dalla prestigiosa associazione dei compositori di cui fai parte. Che cos’è questo “inferno musicale”? E che cos’è quel “giardino delle delizie” al quale lo contrapponi?

Mi sono ispirata all’olio su tavola Il Giardino delle delizie del grande pittore fiammingo Hieronymus Bosch. Amo spesso prendere spunto da elementi extramusicali, in particolare dall’arte e dalla letteratura. Le suggestioni che scaturiscono da letture e dall’osservazione di immagini hanno più volte  fortemente condizionato l’impulso creativo nei miei lavori. Il trittico è diviso in tre pannelli, le scene raffigurate vanno lette secondo diverse interpretazioni in ordine temporale da sinistra verso destra: Il Paradiso terrestre o Giardino dell’Eden, il Giardino delle delizie e L’inferno musicale. Anche la mia invenzione compositiva segue questo ordine. Il brano pare diviso in parti, in realtà fluisce senza interruzione in continua elaborazione e sviluppo. Il gesto compositivo che caratterizza i primi due pannelli è un inciso che si moltiplica fino a formare una fitta e intricata trama, quasi una sorta di immagine parallela al brulicare degli elementi enigmatici rappresentati in particolare nel pannello centrale. Nella terza sezione appare un motivo di quattro note ricavate dal nome del pittore contrappuntato dall’inciso iniziale. Gli strumenti suonano nelle loro estensioni estreme, talvolta i suoni diventano quasi rumori. È inoltre presente una  combinazione di strumenti che vuol ricordare il suono della ghironda. L’idea  di fondo della strumentazione è di evocare il caos infernale generato dai fantasiosi strumenti musicali raffigurati. Il lavoro è dedicato al compositore e amico Andrea Talmelli.

Sappiamo tutti quanto scrivere per determinati strumenti sia, molto spesso, più che una scelta un vincolo dettato dalla committenza. Ma, al di là di queste ragioni, per quale strumento (a eccezione del pianoforte in cui sei diplomata) o ensemble ti piace comporre in modo particolare?

La mia produzione è andata a periodi, a dire il vero in molti casi amici o conoscenti mi hanno chiesto brani per il loro strumento o per il loro ensemble a cui ne hanno poi fatto seguito altri. Un ensemble a me caro e per cui ho scritto diversi lavori è composto da archi, pianoforte, percussioni e uno strumento solista o voce. Quando, invece, si scrive senza un committente si rischia di lasciar giacere la partitura in un cassetto soprattutto se si tratta di grandi organici o di lavori difficili e non eseguibili con poche prove. Il mio cassetto è quasi pieno… pazienza!

Oltre che compositrice, sei anche pianista. Quale dei due ruoli senti più tuo? Come concertista esegui esclusivamente tuoi brani o hai un repertorio più ampio?

Non sono mai stata una concertista, sono diplomata in pianoforte, ho tenuto concerti suonando principalmente pezzi miei e musica da camera, ma mi sono principalmente dedicata alla composizione e all’insegnamento. Da una decina d’anni circa ho deciso di non suonare più in pubblico. Vi sono strumentisti bravissimi, giovani di talento, preferisco affidare i miei pezzi a loro.

Tra i tuoi Maestri c’è stato Bruno Bettinelli (1913-2004), al quale, nel 2012, hai dedicato Varianti per violino, violoncello, pianoforte. Che cosa hai ricevuto da questo straordinario, eclettico artista? E quali tra i suoi insegnamenti ritieni di dover trasmettere ai tuoi allievi?

Al Maestro ho dedicato anche un pezzo per orchestra d’archi, Il Castello d’Este. Sotto la sua guida ho preparato il compimento medio e il diploma di vecchio ordinamento di Composizione ma non ho mai smesso di fargli visita e di mostrargli i miei lavori anche a studi terminati. Bruno Bettinelli con tanta umanità, pazienza, ma, allo stesso tempo, rigore, mi ha introdotto e guidato nel suo grande mondo compositivo. Mi ha sempre però lasciato la libertà di scrivere secondo le mie inclinazioni, senza tentare mai di impormi il proprio linguaggio, i propri schemi e i propri “gusti musicali”. In tanti anni, non l’ho mai sentito criticare aspramente o demolire il lavoro di nessun compositore. Era un grande signore oltre che un musicista eccezionale. Da lui ho ricevuto tanto e non potrò di certo trasmetterlo in egual misura. Quello che, però, tento di comunicare agli studenti è l’importanza dello studio serio e continuo, il coraggio di continuare anche se i risultati non arrivano subito, e il rispetto per il lavoro degli altri.

La tua prima composizione – o, almeno, la prima che dichiari come tale (sappiamo quanto i «cassetti» dei giovani siano colmi di partiture, poesie, racconti poi disconosciuti) – è Rêverie per pianoforte del 1982. L’ultima, in fase di completamento, è quella per Nuova Consonanza di cui abbiamo parlato all’inizio di questa conversazione. Com’è cambiata la tua musica in questi quarant’anni, quali vie ha intrapreso la tua ricerca musicale (e per condurti dove)?

La mia musica è cambiata tantissimo. Per il primi vent’anni ho vissuto in una sorta di bolla che cambiava spesso direzione. Alcuni pezzi di quel periodo li ho eliminati, ad altri sono invece ancora affezionata. Dopo, credo di aver iniziato a trovare un percorso più stabile, ma il cammino continua.

In questi quarant’anni c’è stato qualche punto di riferimento stabile? Penso, per esempio, anche a uno o più compositori, classici o contemporanei, che ti abbiano fatto da «spirito guida»…

I miei riferimenti sono stati tanti, non necessariamente sempre corrispondenti ai miei compositori più amati. Più invecchio, più il ventaglio dei compositori che apprezzo si allarga, dai grandi del passato ai contemporanei.

Ho notato un tuo profondo interesse per la poesia. Hai selezionato versi, che hai messo in musica, che spaziano nella storia di questo genere letterario fino ai nostri giorni. A proposito di autori contemporanei, ti confesso che non conoscevo Claudio Saltarelli e ti ringrazio per avermelo fatto «incontrare»; mi sono innamorato dei suoi versi. Ma quel che vorrei sapere è se c’è un fil rouge che, almeno secondo la tua sensibilità, unisce i poeti scelti…

Scelgo in genere testi che catturino la mia attenzione talvolta per le tematiche che trattano e talvolta  per il suono di alcune parole contenute nei versi. Claudio Saltarelli è un librettista e poeta di Piacenza che ha collaborato con numerosi compositori tra cui Jean Guillou, Loic Maillé, Jean-François Zygel, Giuseppe Zanaboni. Ha scritto i libretti per opere liriche, oratori, oltre a diverse raccolte di poesie. Ho letto quasi tutti i suoi lavori, i miei preferiti sono appunto gli aforismi che ho musicato nei Canti tratti da La solitudine della farfalla e mi piacciono molto anche poesie e prose tratte da Il silenzio delle Maschere. In genere amo i testi brevi con contenuti intensi e drammatici e, talvolta, anche se in misura minore, ironici.

Tra i materiali che mi hai inviato affinché potessi meglio documentarmi sul tuo lavoro, c’era un cospicuo gruppo di brani che hai «classificato» come “Composizioni su soggetti femminili e su testi di donne”. Mescolando gli uni agli altri: Aphra Behn, Virginia Woolf, Christa Wolf, Isabella Whitney, Mary Shelley, Isabella Steiger, Camille Claudel sono tra le voci di donne che hai accolto nei tuoi lavori. In questo caso qual è il filo conduttore che le congiunge?

Talvolta, sono stati i soggetti femminili a interessarmi; per esempio, mi aveva colpito la Medea diversa della Wolf, innocente e ingiustamente accusata. In altri casi, volgendo lo sguardo al passato e venendo a conoscenza della tragica esistenza di alcune donne e di alcune artiste, Camille Claudel ne è un esempio, ho deciso di dedicare loro miei lavori.

Torniamo alle committenze e, con esse, arriviamo alla fisarmonica. È stato proprio grazie a una committenza, che, nel 2011, hai incontrato per la prima volta il nostro strumento. Ivano Battiston, straordinario concertista e compositore, amatissimo da noi e dai nostri lettori, ti chiese di scrivere un pezzo per lui e desti alla luce Labyrinth. Quando e in quale contesto era nato questo sodalizio artistico?

Ho conosciuto Ivano nel 2007 al Conservatorio di Firenze dove ho insegnato per quattordici anni prima di trasferirmi al Conservatorio di Piacenza. Abbiamo subito stretto amicizia e iniziato a scambiarci le nostre partiture. Ivano è davvero un bravissimo compositore oltre che ottimo strumentista.

Come accogliesti quella proposta? Quanto e che cosa conoscevi, fino ad allora, del nostro strumento?

Andai un po’ in crisi. A dire il vero conoscevo poco repertorio e temevo di non riuscire a scrivere e a rendere chiaro il mio pensiero compositivo.

Ci furono difficoltà particolari da affrontare per scrivere quella prima partitura per fisarmonica? Raccontami questo brano, che, purtroppo, non sono riuscito a trovare in rete e ad ascoltare…

Ho incontrato le stesse difficoltà che s’incontrano quando si scrive per la prima volta per uno strumento che non è il proprio e ancor più a destinazione solistica, difficoltà amplificate, in questo caso, come dicevo, anche dalla mia scarsa conoscenza della fisarmonica. In quel periodo visitai la Cattedrale di San Martino a Lucca e vidi il labirinto scolpito nella pietra. Ricordo che pensai… ecco il titolo del nuovo lavoro, Labyrinth!. Il brano è stato eseguito a Reggio Emilia in teatro, ma non è ancora stato registrato.

Ivano ti chiese qualcosa che avesse delle caratteristiche precise?

No, mi lasciò completamente libera, limitandosi a darmi indicazioni sul suo tipo di strumento.

Nel corso della scrittura, ci fu un confronto frequente tra voi?

Sì, ci fu un confronto come credo sia prassi quando si scrive per uno strumento solo. È indispensabile lavorare con l’esecutore, soprattutto per verificare l’eseguibilità di quanto scritto.

Nel 2022, sempre per Ivano Battiston, componi Minotauro. Com’era cambiato il tuo confronto con la fisarmonica in quegli undici anni?  

A seguito dell’ascolto e della lettura di alcune partiture per me significative, mi sono avvicinata alla scrittura con una maggior consapevolezza. In questo secondo brevissimo brano ho voluto, comunque, che ci fosse un fil rouge col quello del 2011. Ivano Battiston, nel 2022, mi chiese di scrivere un brano che durasse 1’/1’30’’ da inserire in un’antologia di trenta compositori contemporanei. Esprimere un’idea in un minutaggio così ridotto non è cosa semplice. Ho pertanto dato voce al Minotauro, creatura rinchiusa nel labirinto, una voce angosciosa, quasi umana, la stessa voce disperata di vittima-carnefice che possiamo trovare nel lavoro di Borges La casa di Asterione.

Credi che l’apporto di compositori con percorsi formativi diversi da quello dei fisarmonicisti possa in qualche modo contribuire anche allo sviluppo di ulteriori metodologie interpretative?

Penso di sì, ma credo sia fondamentale, come sempre, la stretta collaborazione con uno strumentista durante la stesura del pezzo.

Alla luce di queste due esperienze, puoi dirmi quali prerogative delle fisarmonica ti hanno colpito di più e come le hai valorizzate?

Nel primo lavoro ho sperimentato il gioco dei timbri e l’aspetto virtuosistico. Nel Minotauro, invece, oltre al virtuosismo di base, il tempo rapido è infatti legato alla veloce corsa del Minotauro, che non si arresta; mi sono soffermata sull’aspetto espressivo della voce dello strumento, una voce intensa ed espressiva ,che sale dal profondo. Nei primi secondi del brano la voce è soffocata e sommersa nel registro grave, ma, dopo poco, emerge con tutta la sua drammaticità. Trattandosi di una sorta di aforisma strumentale, il tutto è di forza condensato in pochi attimi.

Quali strumenti vedresti particolarmente adatti a costituire un ensemble da camera assieme alla fisarmonica?

Rispondendo d’impulso direi con violino, cello, flauto, pianoforte e voce ma penso vi siano diverse altre “combinazioni” possibili, dipende dal brano che si vuole scrivere.

Ritieni che la fisarmonica sia uno strumento particolarmente adatto a esprimere la contemporaneità nella musica colta? E, se sì, perché?

Sicuramente sì! È uno strumento con una grande potenzialità espressiva e si presta a diversi linguaggi, ha già una vasta letteratura anche nel repertorio contemporaneo, ne sono alcuni bellissimi esempi tra i tanti Sen V di Toshio Hosokawa, il De Profundis di Sofia Gubaidulina, l’Improvviso per fisarmonica da concerto del mio Maestro Bruno Bettinelli. Il Maestro Bettinelli rimase affascinato dallo strumento dopo un incontro e una collaborazione con la fisarmonicista Eugenia Marini a cui dedicò poi il lavoro.

Possiamo sperare in un prossimo ritorno al mantice di Barbara Rettagliati?

L’idea non è tra i miei progetti imminenti. Mi piacerebbe, però, in futuro, comporre un brano per fisarmonica, voce e orchestra  d’archi.

Ci auguriamo davvero che questo proposito diventi realtà. Dopo Nuova Consonanza a dicembre, quali nuovi impegni ti attendono?

Nel 2024, avrò una prima esecuzione di un ciclo di Lieder per voce, violoncello e pianoforte su testi di poetesse inglesi, un nuovo melologo su testo di Cinzia Della Ciana e un brano per quartetto d’archi.

Li ascolteremo tutti con grande piacere. Grazie.