Tutta colpa di Schönberg!
Piero Rattalino, “Chopin: i valori traditi e riconquistati. Con altri saggi di musisociologia”
È sempre complesso esprimersi sui libri che raccolgono saggi su argomenti diversi quanto numerosi. Non tutti i testi riuniti possono, necessariamente, riscuotere l’interesse e il pieno consenso del lettore. È questo il caso di Chopin: i valori traditi e riconquistati, che presenta otto saggi principali più, in Appendice, tre booklet, la recensione di un disco e due articoli firmati da Piero Rattalino tra il 2021 e il 2022, a eccezione di uno del 2007.
La statura del “decano” della musicologia italiana, nonché pianista, emerge in tutta la propria grandezza nel testo che dà il titolo al volume e in quelli dedicati, rispettivamente, a Sigismund Thalberg, a Sergej Rachmaninov e alla musica della prima parte del Novecento.
Il saggio dedicato a Chopin è la rielaborazione del programma di un “concerto/dramma” in cui la musica – eseguita al piano da Ilia Kim (moglie dell’autore) – si alternava alle spiegazioni dello stesso Rattalino, che si avventura qui – un po’ temerariamente, forse – anche nei campi della neurologia, della psicologia della comunicazione e, indubbiamente con miglior esito, nella straordinaria esegesi dei brani, nella storia della loro genesi e del loro sviluppo, nelle vicende storiche del tempo e in quelle personali del grande compositore polacco.
Sigismund Thalberg (Ginevra, 1812 – Napoli, 1871), pianista e compositore austriaco, fu competitor di Franz Liszt. Rattalino ne esamina il successo attraverso la stima dei suoi guadagni, la fortuna critica – soprattutto per quanto riguarda la tecnica pianistica – e la popolarità, frutto, anche, ci rivela l’autore, di una studiatissima campagna di autopromozione basata su un presunto alone di mistero relativo alla propria nascita.
Di Rachmaninov si parla nel quarto capitolo di questa raccolta. Si tratta di un programma di sala per un concerto promosso dall’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, che, causa pandemia, non ebbe mai luogo. Del musicista russo naturalizzato statunitense (Novgorod, 1873 – Beverly Hills, 1943), Rattalino narra le vicende familiari, personali e artistiche dai primi studi al Conservatorio di San Pietroburgo all’alba del nuovo secolo, analizzando alcune sue opere e la tecnica d’esecuzione con rapide, ma accettabili, incursioni nel campo della sociologia nel quale, ammette “mi muovo da dilettante”. Nonostante questa consapevolezza, però, nel corso di alcuni degli altri saggi che compongono il volume, le “rapide” incursioni in quella disciplina si fanno più consistenti. È il caso (e non solo) di “Musica dal vivo come piacevole hobby e come servizio sociale” in cui Piero Rattalino s’interroga su “che cosa succederà alla musica dal vivo, quando la pandemia sarà stata debellata?”. “La tesi di Rattalino”, ci spiega nella Prefazione il sociologo Domenico de Masi, “è che, per superare questo break point, occorre puntare sul pubblico non colto seducendolo con un’interpretazione non colta di una musica non colta, capace di fare appello alla sfera emotiva senza mobilitare la sfera razionale degli ascoltatori”. Lo confesso: nonostante la delucidazione di De Masi, l’argomentazione resta assai opaca agli occhi e alle orecchie del sottoscritto. Segue un sintetico excursus tra le pieghe e le piaghe della storia, dalle migrazioni interne (con l’affermazione della società industriale) al prepotente affermarsi del modello consumistico e del postmoderno. Il pubblico postindustriale, “nutrito della cultura postmoderna”, aspira a delle interpretazioni musicali che gli procurino delle “sferzate emotive”, ma tali aspettative restano disattese. E del gap tra domanda e offerta sono responsabili, secondo Rattalino, innanzitutto Schönberg, che, “con la dodecafonia ha depotenziato gli intervalli; Busoni che, eliminando dalla musica il pathos, ne ha ridotto il valore educativo”; Stravinsky “secondo cui la musica non trasmette all’ascoltatore sentimenti o emozioni ma solo se stessa”. Abbattendo questi ostacoli, si “rinnoverebbe […] il miracolo compiuto a suo tempo da Liszt. Il pubblico sarebbe rieducato sia al sentimento estetico del bello […] sia a quello etico del buono”. Insomma, le sale, così, “si riempirebbero nuovamente di pubblico pagante e non sarebbero più necessari i sussidi statali”. La storia, però, nemmeno quella della musica, me lo si lasci ricordare, non solo non si fa con i se, ma, tantomeno, con i colpi di spugna su oltre un secolo di creazione musicale o per mezzo di immaginarie macchine del tempo, capaci di farci tornare a una rimpianta (non da tutti) golden age…
Piero Rattalino (1931) ha studiato pianoforte con Carlo Vidusso e composizione con Luigi Perrachio, diplomandosi nel conservatorio di Parma, rispettivamente nel 1949 e nel 1953. Ha insegnato in vari conservatori: dal 1964 al 1996 è stato titolare di pianoforte nel Conservatorio di Milano. Insegna pianoforte nell’Accademia di Imola e drammaturgia musicale nell’Università di Trieste. È stato direttore artistico del Comunale di Bologna, del Carlo Felice di Genova, del Regio di Torino e del Teatro Massimo ‘‘Bellini’’ di Catania. È stato, inoltre, consulente artistico del Festival Verdi di Parma e, attualmente, lo è del Festival Pianistico Internazionale di Brescia e Bergamo. Ha pubblicato numerosi libri e collabora con la rivista “MUSICA”.
Piero Rattalino, Chopin: i valori traditi e riconquistati. Con altri saggi di musisociologia
Editore: Zecchini, Varese
Prefazione: Domenico De Masi
Anno di edizione: 2022
Pagine: 200, brossura, € 25,00