Antonio Grosso: gli stati d’animo manifestati attraverso le note

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Antonio Grosso (foto di Daniele Sanfilippo)Inizialmente fisarmonicista, per poi diventare uno specialista dell’organetto diatonico, Antonio Grosso è un musicista a tutto tondo, dedito alla cura del suono e mosso dalla curiosità di conoscere approfonditamente svariati generi musicali. Uomo dalla spiccata sensibilità, in questa chiacchierata espone il suo pensiero sul concetto di musica e arte in generale, fra storie personali e gratificazioni artistiche.

Iniziando dalla fisarmonica, strumento al quale ti sei appassionato già dalla tenera età di sette anni, ti sei successivamente dedicato all’organetto diatonico. Quali sono stati i motivi che ti hanno spinto a fare questa scelta?

«Il motivo, purtroppo, non è dei più felici. All’età di sedici anni ho avuto un incidente che, per varie vicissitudini, mi ha portato a perdere la funzionalità del dito medio della mano sinistra. Suonare la fisarmonica mi risultava un po’ difficile, così ho riversato l’amore per la musica sull’organetto diatonico. Ho approfittato della curiosità pregressa che avevo per lo strumento e ho fatto di necessità virtù».

Hai partecipato a svariati concorsi nazionali e internazionali. Avresti un aneddoto in particolare da raccontare relativo a queste esperienze?

«L’ultimo a cui ho partecipato: un campionato italiano. È stata la prima volta in cui ho azzardato, presentando le mie composizioni originali durante le esibizioni. L’audacia mi ha premiato e la soddisfazione è stata grande».

Nel corso della tua carriera ti sei esibito in giro per il mondo, in nazioni come Canada, Argentina, Australia, Germania, Portogallo, Svizzera. Dal punto di vista umano e artistico, quale fra questi Paesi ti ha maggiormente gratificato sotto tutti gli aspetti?

«Senza dubbio la Germania. Lì ho trascorso un periodo esibendomi come artista di strada, eppure le gratificazioni, che custodisco gelosamente, sono state tante. A volta il palco non è tutto».

Oltre ad essere un prolifico concertista, sei molto attivo come didatta. A tal proposito, fra i diversi progetti da docente, sei fondatore e presidente dell’associazione musicale-culturale “Antonio Grosso School”. Qual è l’obiettivo che ti prefiggi di raggiungere con questa scuola?

«Ovviamente l’obiettivo è avvicinare più ragazzi possibile alla musica, sia che decidano di apprendere solo per diletto, sia che vogliano farne una professione in futuro. In più, cerco di spiegare loro che determinati strumenti non danno solo voce alla musica tradizionale, ma permettono di spaziare tra diversi generi e sonorità. Inoltre, è anche una maniera per fornire delle alternative ai ragazzi nell’ambito delle attività extra scolastiche e di aggregazione. Soprattutto nel Sud Italia, purtroppo, la scelta è quasi sempre obbligata fra calcio e danza. La musica, nella nostra realtà ma non solo, può avere un ruolo quasi catartico».

Antonio Grosso (foto di Daniele Sanfilippo)All’attività di concertista e insegnante, affianchi anche quella di fecondo compositore (come da te prima accennato). A livello emozionale, melodico, armonico e ritmico, qual è la genesi e quale il mood delle tue composizioni originali?

«In realtà non esiste un iter prestabilito, se possiamo dire così, com’è giusto che sia. Senza voler sfociare nella retorica, le composizioni nascono e crescono da sole, dettate da particolari stati emotivi. Io mi limito a trascrivere gli stati d’animo con le note. Sento molto vicini a me il tango argentino e il valzer francese, ma ogni mio brano originale ha sfumature proprie, talvolta difficilmente inquadrabili anche per me. Come le emozioni, del resto».

Soffermandoci un momento sul tuo strumento, quale modello utilizzi dal vivo e in sala di registrazione?

«Uso diversi strumenti in base al genere musicale e alle composizioni da eseguire. Quelli che viaggiano sempre con me sono sei, ma come in una famiglia, non è detto che non possano aumentare. Fra questi vorrei menzionare gli strumenti della “Baffetti Accordions” che, grazie all’accortezza del team Baffetti, producono un suono immediatamente riconoscibile. Questo, innanzitutto, a partire dalle differenti tipologie di legno adoperato, che influisce sensibilmente sulle sonorità. Inoltre, annullano la dispersione d’aria che può verificarsi con i movimenti del mantice. Poi, la tastiera risulta molto morbida sotto la pressione delle dita, per cui si riduce notevolmente lo sforzo delle mani durante le esecuzioni».

Per l’immediato futuro, hai in animo nuovi progetti?

«Al momento sto lavorando su alcuni brani di prossima uscita, anche avvalendomi dell’ormai storica collaborazione con Calabria Sona. Spero di poter continuare a girare il mondo con le mie composizioni. E perché no, che i miei brani originali possano farlo ancora più di me».

 

(Foto in evidenza di Daniele Sanfilippo)

 

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