Daniele Di Bonaventura: il bandoneon per raccontare sé stesso

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Daniele Di BonaventuraNato a Fermo (nelle Marche), Daniele di Bonaventura, compositore-arrangiatore, pianista-bandoneonista, ha coltivato sin dall’inizio della sua attività un forte interesse per la musica improvvisata pur avendo una formazione musicale di estrazione classica (diploma in Composizione) iniziata a soli 8 anni con lo studio del pianoforte, del violoncello, della composizione e della direzione d’orchestra. Le sue collaborazioni spaziano dalla musica classica a quella contemporanea, dal jazz al tango, dalla musica etnica alla world music, con incursioni nel mondo del teatro del cinema e della danza. Ha suonato nei principali festival italiani ed internazionali tra cui: Rumori Mediterranei a Roccella Jonica ’87 e ’88, Jazz & Image di Villa Celimontana a Roma, Ravenna Jazz 2000, Clusone Jazz 2001, Biennale Arte Venezia 2001, Sant’Anna Arresi Jazz 2004, Festival della Letteratura Mantova 2004, Cormòns 2005, Accademia Nazionale di Santa Cecilia Stagione Musica da Camera 2005-’06, Umbria Jazz Winter 2014, Inghilterra – Music Hall Festival e Royal Festival Hall a Londra, Olanda – Music Hall a Leeuwarden, Germania – 30° Deutsches Jazz Festival a Francoforte, Berlin Jazz Festival, Spagna – Festa de la Mercè a Barcellona, Egitto – Opera House a Il Cairo, Norvegia – Olavsfestdagen a Trondheim, Francia – Festival Berlioz, Jazz in Marciac, Svizzera, Portogallo, Brasile, Argentina, Slovenia, Moldavia, Croazia, Lettonia, Albania, Singapore, Stati Uniti e Sud Africa. Ha suonato, registrato e collaborato con: Enrico Rava, Paolo Fresu, Stefano Bollani, A Filetta, Oliver Lake, David Murray, Miroslav Vitous, Rita Marcotulli, David Liebman, Toots Tielemans, Lenny White, Omar Sosa, Flavio Boltro, Joanne Brackeen, Greg Osby, Ira Coleman, Dino Saluzzi, Javier Girotto, Cèsar Stroscio, Tenores di Bitti, Aires Tango, Peppe Servillo, David Riondino, Francesco Guccini, Sergio Cammariere, Lella Costa, Ornella Vanoni, Franco Califano, Eugenio Allegri, Alessandro Haber, Enzo De Caro, Omero Antonutti, Giuseppe Piccioni, Mimmo Cuticchio, Custòdio Castelo, Andrè Jaume, Furio Di Castri, U.T. Gandhi, Guinga, Riccardo Fassi, Frank Marocco, Paolo Vinaccia, Mathias Eick, Bendik Hofseth e Quintetto Violado. Nel 2003 per l’Orchestra Filarmonica Marchigiana ha composto, eseguito e registrato la “Suite per Bandoneon e Orchestra”commisionatagli proprio dalla stessa. Ha pubblicato più di 50 dischi con l’etichette discografiche ed edizioni: Via Veneto Jazz; Philology, Manifesto, Felmay, Amiata Records, Splasc(H), World Music, CCn’C Records; per la Harmonia Mundi un lavoro per bandoneon e quartetto d’archi intitolato “Sine Nomine”. Le ultime collaborazione sono quelle con Miroslav Vitous, il quale lo ha chiamato a partecipare nell’ultimo CD intitolato Universal Syncopation II, vincitore del German Critics Prize (Preis der deutschen Schallplattenkritik) come album dell’anno 2007, edito dalla prestigiosa etichetta tedesca ECM. Sempre per la ECM ha pubblicato l’ultimo lavoro intitolato “Mistico Mediterraneo” un opera condivisa con il gruppo vocale della Corsica A Filetta e Paolo Fresu. Per la Tuk Music di Fresu ha realizzato nel 2013 il suo primo doppio album intitolato “Nadir” in cui suona nel primo CD il bandoneon e nel secondo il pianoforte in trio. Nel 2014 ha collaborato alla colonna sonora del film “Torneranno i prati” diretto da Ermanno Olmi. A Marzo uscirà il CD in duo con Fresu sempre per la ECM intitolato “In Maggiore” ed in contemporanea il film-documentario “Figure musicali in fuga” del regista Fabrizio Ferraro in cui vengono ritratti i due musicisti durante la sessione di registrazione a Lugano insieme a Manfred Eicher.

 

Daniele Di Bonaventura 4Musicista caleidoscopico, onnivoro, sopraffino compositore, Daniele Di Bonaventura è uno tra i più rappresentativi esponenti in circolazione del bandoneon. Con questa amena chiacchierata racconta il suo vissuto umano e musicale.

Hai iniziato il tuo percorso artistico con il pianoforte, per poi spostare la tua attenzione sul bandoneon. Cosa ti ha spinto a compiere questa scelta?

Volevo rimettermi in gioco e provare a resettare un po’ il tutto. Ho sempre invidiato i musicisti che portano il proprio strumento con loro. Volevo vedere cosa succedeva mettendo le mani su uno strumento a me sconosciuto. Forse il desiderio di trovare un’altra strada, un altro linguaggio, una nuova vita. La voglia di esprimermi in maniera più personale e originale, ma cercandola da solo, con le mie forze, senza l’aiuto di insegnamenti e metodi.

Sei un musicista di derivazione classica. Quali studi hai effettuato riguardanti questa musica?

Non sono esattamente un musicista di derivazione classica. Ho iniziato a suonare le tastiere a orecchio verso la metà degli anni ’70, ascoltando i Genesis, il rock e il pop. Poi, parallelamente, ho iniziato a studiare composizione in conservatorio. Ha sempre intrapreso parallelamente due strade, quella “libera” (mi piace chiamarla così, perché suonavo da solo imparando gli accordi, l’armonia e la melodia delle canzoni ascoltando la radio e i dischi) e quella accademica, che mi ha insegnato le regole del contrappunto e della forma. Praticamente, dopo aver studiato i primi anni pianoforte e violoncello e dopo aver frequentato anche il corso di direzione d’orchestra, ho finito successivamente i miei studi accademici diplomandomi in composizione.

Il tuo iridescente playing si incardina su un erudito sincretismo di svariati generi musicali, tra i quali: musica classica, folk, jazz, tango argentino e world music. Come nasce questa fascinosa commistione?

Nasce dal fatto che nella mia vita musicale ho lasciato tutte le porte aperte. Ho iniziato con il pop, poi ho suonato tantissimi anni nei piano bar, mi sono cimentato con il rock & roll, l’ascolto delle opere liriche con mio padre. Successivamente ho cominciato a studiare musica classica, dopo l’impatto con il jazz e infine la composizione classica unitamente a quella contemporanea. Quindi, arrivato al bandoneon, ho frequentato il tango e ho riscoperto la musica latinoamericana. Tutte queste esperienze, nel giro di 40 anni, si mescolano e ritornano a galla, ma soprattutto fanno parte del mio DNA che non posso tradire e non voglio dimenticare. Voglio che quando suono e compongo si percepiscano tutte queste esperienze vissute.

Oltre a essere un brillante bandoneonista sei un raffinato compositore. Con quale criterio approcci alla composizione?

Non mi sento un brillante bandoneonista, ma un artista che usa uno strumento come il bandoneon per raccontare sé stesso. Sono un compositore non perché abbia studiato composizione, ma più che altro perchè ho da dire delle cose con la musica. Penso che un musicista che non compone lo sia per metà, quindi cerco di lavorare molto con la composizione, perché da lì parte tutto il mio linguaggio espressivo e creativo.

C’è un tuo brano originale che ti rappresenta particolarmente?

Penso che tutte le mie composizioni mi rappresentino, non c’è un brano in particolare. Ogni composizione è nata nel periodo in cui ho vissuto una certa esperienza. In base al periodo che stavo attraversando ne è scaturito il frutto compositivo. Quindi, quello che mi rappresenta di più, se devo darti una risposta, è sempre l’ultimo brano che ho scritto.

Sei uno tra i più apprezzati esponenti del bandoneon, strumento diatonico o cromatico. Quali sono, nel dettaglio, le caratteristiche e le difficoltà tecniche legate a queste due tipologie di bandoneon?

Io suono il bandoneon diatonico, così chiamato perché è a doppia intonazione. Quando si suona un bottone in apertura si ottiene un suono, mentre quando lo si suona in chiusura se ne ottiene un altro senza nessuna logica tra l’apertura e la chiusura. È uno strumento che ha due tastiere diverse tra la mano destra e quella sinistra e le stesse due differenti in chiusura. Quindi, come diceva Astor Piazzolla in un’intervista televisiva, è uno strumento con quattro tastiere differenti. Pertanto, per essere in grado di suonarlo, bisogna avere il cervello diviso in quattro parti. Il bandoneon cromatico, invece, ha un sistema diverso. La tastiera destra e sinistra sono molto simili, per cui quando si suona in chiusura ha lo stesso sistema di quando lo si suona aprendo. È molto più semplice e, soprattutto, ha un suono differente rispetto al vero bandoneon diatonico.

Daniele Di Bonaventura 5Grazie al tuo comprovato talento hai avuto l’opportunità di condividere palco e studio di registrazione con numerosi musicisti di caratura mondiale, tra i quali: David Murray, Miroslav Vitous, Dave Liebman, Toots Thielemans, Omar Sosa, Greg Osby, Ira Coleman. Chi, tra tutti questi artisti, ha maggiormente arricchito il tuo bagaglio musicale e umano?

Suonare insieme a tutti quelli che hai citato è stato molto bello ed emozionante. Ma il musicista con cui sono stato più vicino è Miroslav Vitous, che mi ha invitato anche a partecipare in un suo disco intitolato Universal Syncopations II. Ho avuto modo di fare un tour insieme a lui e conoscerlo meglio. Quando abbiamo registrato insieme ho trascorso due giorni nel suo incredibile studio. È stata un’esperienza musicale immensa. Mi ha trasmesso di più lui in 24 ore che altri insegnanti in anni di lezioni. Mentre registravamo mi raccontava le sue esperienze con Miles Davis e i Weather Report, facendomi venire i brividi. Quando sei a contatto così ravvicinato con artisti di questo calibro non puoi che arricchirti di tante cose.

Inghilterra, Olanda, Germania, Spagna, Egitto, Francia, Norvegia, Svizzera, Portogallo, Brasile, Argentina, Slovenia, Moldavia, Croazia, Lettonia, Albania, Singapore, Stati Uniti, Sudafrica. Hai tenuto una pletora di prestigiosi concerti praticamente a tutte le latitudini. Quale di queste nazioni ti ha accolto meglio umanamente e ti ha gratificato di più sotto l’aspetto artistico?

Il Nord Europa è sicuramente uno di quei posti dove è sempre bello tornarci, perché c’è un rispetto e un’attenzione nei confronti dell’artista che non si può minimamente paragonare ad altri paesi. Proprio di recente ho suonato in Germania, dove ho trovato un pubblico in religioso silenzio che sembrava quasi non esserci, veramente incredibile. Poi, lì, i teatri sono sempre pieni.

Daniele Di BonaventuraRecentemente, tra le tante collaborazioni, hai preso parte al progetto targato Elias Nardi Group, in un disco intitolato Flowers of Fragility. Qual è il fil rouge che contraddistingue questo album?

Conosco Elias da molto tempo. Stavo per iniziare un progetto a mio nome, con lui, perché desideravo suonare con un musicista di oud. Provammo a casa sua insieme ad Ares Tavolazzi, per formare un trio. Poi, tra mille cose, ci siamo un po’ allontanati. Di recente ci siamo risentiti per suonare con questo suo gruppo e io ho accettato. È nato questo lavoro molto raffinato e singolare.

Da leader, invece, quali sono i tuoi progetti discografici futuri?

Ho appena pubblicato un nuovo CD e DVD intitolato Mare Calmo (Ed. EvArt) con Giovanni Ceccarelli, raffinatissimo pianista e compositore. Inoltre, sto lavorando al mio primo disco live con il mio gruppo Band’Union (Marcello Peghin alla chitarra, Felice Del Gaudio al contrabbasso, Alfredo Laviano alle percussioni e io al bandoneon), con i quali festeggiamo il nostro decimo anniversario. Sto ultimando un progetto molto impegnativo, ossia una composizione per bandoneon e orchestra che registrerò e pubblicherò, spero, per una grande etichetta di musica classica. Ma non dico di più per scaramanzia.