Patrizia Angeloni: Musica – Vita – Trasformazione (prima parte)

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PATRIZIA ANGELONI

Musica – Vita – Trasformazione (1° parte)

di Filippo Consales

 

Ironica, colta, curiosa, al punto che l’intervista si trasforma in una lunga chiacchierata, non confinata soltanto all’ambito musicale ma, forse per la formazione ampia dell’intervistata, estesa all’intera natura umana. Patrizia Angeloni, concertista e docente di Fisarmonica al Conservatorio “Ottorino Respighi” di Latina, rifiuta le etichette e le definizioni stereotipate e non manifesta alcun interesse per le lunghe elencazioni di titoli e attività che affollano le biografie dei musicisti: così la conversazione, iniziata con uno sguardo al curriculum vitae, vira presto su piani decisamente più complessi.

 

Patrizia AngeloniCosa l’ha spinta a suonare la fisarmonica?

Nessun musicista professionista nella mia famiglia; la mia relazione con la musica nasce dalla voce di mio padre che accompagnava cantando ogni viaggio in macchina, ogni situazione conviviale; continua con i giochi cantati di tutti i bambini e con la danza classica. Una musica che era già colonna sonora della vita quotidiana e che presto si è trasformata nel desiderio di suonare uno strumento, senza sapere quale. Mio padre scelse per me la fisarmonica e l’unica scuola possibile a Terni, la mia città natale, quella di Celestino Lepri, una persona gentile e appassionata che amava la musica e credeva strenuamente nella fisarmonica come strumento da concerto, anche se allora la letteratura era in nuce più che mai. Non c’era nulla o quasi e la maggior parte di quella che oggi definiamo “letteratura storica” era prodotta all’estero, sconosciuta o non pubblicata e praticamente irreperibile, e quella che all’età di dieci anni chiamavamo letteratura originale da concerto oggi è solo una piccola parte della storia e molto lontana dai repertori che già qualche anno dopo si sono creati. Sono cresciuta così, in una scuola in cui per fortuna si insegnavano diversi strumenti e si incontravano persone diverse, ho studiato quanto fosse possibile in quel periodo; poi la classica pausa di riflessione, intorno ai diciotto anni, quando il mondo interiore cambia e diventi consapevole di una nuova identità e qualcosa in te chiede “Chi sei? Che cosa vuoi?” cerca in sostanza di ridefinire i confini del mondo e la relazione con esso. In quel preciso momento, ho davvero scelto di suonare la fisarmonica. Ho scelto io stavolta il mio strumento, stranamente non per emulare qualcosa o qualcuno, come spesso accade, ma per contrasto tra quello che ascoltavo – dagli altri e da me – e quello che intuivo – senza sapere proprio nulla in proposito – si potesse (o dovesse?) fare in direzioni diverse. Una di quelle intuizioni profonde che segnano la vita e che in realtà dicono già chi sei: non ero abbastanza matura per capirlo, ma ora mi rendo conto che lì si è affacciata una Patrizia che ancora c’è, quella che segue le indicazioni di una percezione interiore, capace di muoversi contro corrente, se necessario in assoluta solitudine e, per usare una espressione semplice e colorita, “senza guinzaglio”. Ho sempre avuto bisogno di cercare, e la fisarmonica me ne ha data l’occasione. Ma non mi interessa divagare sulle vicende quotidiane del tempo delle “prime radici”, né in lunghe ed inutili elencazioni di titoli…

Eppure erano anni in cui si è fatto molto per la fisarmonica.

Sì, con una fatica immensa. L’ostacolo al riconoscimento, prima che il pregiudizio, era la mancanza di repertorio e una idea di strumento il cui suono era allora inaccettabile negli ambienti della musica colta. Dobbiamo molto, in questo senso, ai nostri Maestri, che si sono posti nel mondo della musica con serietà e preparazione musicale rigorosissime e con quella genialità che ha permesso loro di ridisegnare il nostro strumento. Ora sembra davvero un altro Tempo, come talvolta accade la vita si rigenera, altre radici attecchiscono e gli accadimenti di ieri diventano una serie di notizie che sembrano riguardare qualcun altro. Che dire: la scoperta dello strumento e allo stesso tempo della identità personale, le ricerca degli insegnanti che potessero rispondere ad una esigenza profonda di conoscere (così gli incontri con Salvatore di Gesualdo, Hugo Noth, Joseph Macerollo, Friederich Lips, Mogens Ellegaard), lavorare per la diffusione di una idea nuova della fisarmonica (era un sogno e una missione, un dovere etico, una lotta continua contro il pregiudizio), i concerti, la ricerca di nuovo repertorio, le lezioni concerto, i convegni dell’ANIF (allora associazione insegnanti di fisarmonica), il raccogliere iscrizioni per permettere l’apertura delle prime cattedre di fisarmonica nei conservatori di Firenze e Castelfranco Veneto, studiare musica ascoltando le master class di altri strumenti, gli studi in composizione e in flauto traverso, l’istituzione di cattedre di fisarmonica presso scuole comunali – autentici avvenimenti – gli studi di didattica per poter lavorare al meglio… i  festival e le master class all’estero e tanto altro. In un articolo scritto per Strumenti&Musica (C’era una volta), ora riproposto dalla rubrica di strumentiemusica.com Accordion Research, trova una sintesi del senso collettivo e “cultural – fisarmonicistico” di quel tempo, un senso che non è perduto e che potrebbe continuare ad assicurare prospettiva al presente e forse al futuro. Ciò che davvero mi interessa sempre di più è il senso profondo e trasversale degli accadimenti, delle scelte e delle conseguenze che ne derivano.

Ma che ne è della sua domanda? … La scelta dello strumento.. Ecco, da allora ho continuato a scegliere di suonare la fisarmonica, presa dalla intuizione delle sue possibilità e dall’appassionante processo di ricerca e realizzazione che si compie e riparte in modo circolare.

Quindi la Fisarmonica?

È uno strumento difficile, una invenzione della creatività umana che si mette alla prova fino alle estreme conseguenze (dalla semplice melodia popolare a Bach, Berio, Gubaidulina e quant’altro, la strada è lunga e accidentata…), ma oltre le questioni tecniche e musicali è l’esperienza che la fisarmonica offre all’esecutore e all’ascoltatore che mi risulta preziosa e irrinunciabile. Una esperienza sensoriale unica: uno strumento sintesi delle modalità espressive di tutti gli strumenti, il cui suono è traccia di respiro e gesto e che porta con sé un vissuto profondo e autentico in continua trasformazione. Suonare e studiare uno strumento è allora un modo di relazionarsi alle cose e alla vita, a partire da cose “piccole” come il respiro, l’ascolto e l’organizzazione del movimento; è suonare e conoscere il compiuto e l’incompiuto che vivono in noi e che diventano tangibili in una sorta di traccia corporea governata dalla vita del sistema nervoso (è vero per tutti gli strumenti, ma per la fisarmonica un po’ di più); ed è estremamente affascinante scoprire come ogni elemento del nostro repertorio, con la sua precipua scrittura porti con sé una quantità di informazioni e di mondi percettivi possibili. Tante diverse identità strumentali e artistiche tra cui scegliere la nostra preferita o da mettere in scena contemporaneamente o in tempi diversi… e qui non smetto di stupirmi della difficoltà di alcuni ad accettare la pluralità delle identità (ma forse è un fatto culturale più ampio che si specchia anche nel mondo fisarmonicistico) e a voler circoscrivere una tale ricchezza ad una unica identità vincente… col risultato di qualche ego ben nutrito a scapito di un impoverimento generale, della musica e del Pensiero…

Una serie di temi correlati ed estremamente complessi… Mi faccia capire: come vede lo stato dell’arte del repertorio fisarmonicistico?

Vediamo bene come la fisarmonica sia strumento molto apprezzato come interprete di diversi generi musicali, per la sua immediatezza espressiva e per la ricchezza delle soluzioni tecnico-timbriche. Negli ultimi decenni il repertorio di qualità, negli ambiti della cosidetta musica classica, sta crescendo notevolmente, arricchendosi di un repertorio importante, specie quando – come è accaduto per tutti gli strumenti – il  suo patrimonio tecnico – fonico è individuato come mezzo imprescindibile con cui si esprime la ricerca compositiva d’autore, segnando così, in qualche misura, la storia della musica. Questa letteratura, seppur estremamente differenziata sul piano linguistico, è connotata da un comune denominatore: la “re – invenzione” della identità strumentale, come a svelare una “materia prima” intrinseca ogni volta diversa, insospettabile ed estremamente sfaccettata. Credo che la ricchezza di tale “materia” sia nella sintesi dei modi espressivi di archi, fiati e tastiere, che è la natura vera e propria della fisarmonica e che, anche nell’ambito della musica antica, va ben oltre l’idea di fisarmonica come surrogato espressivo di un organo.

L’identità della fisarmonica da concerto si sta costruendo così in progress, in un cammino tortuoso che solo il Tempo e la Storia della musica sapranno giudicare. Ciò nonostante spesso ci è dato osservare una realtà in cui ogni nuova acquisizione che si discosti un poco dal ballo liscio -.con tutto il rispetto – sembri essere il punto di arrivo di uno strumento nuovo, di cui non esiste ancora un immaginario consolidato e condiviso né dal pubblico, né dalla grande maggioranza dei musicisti: può capitare allora che l’innovazione venga scambiata per qualità…

Il diffondersi della World Music, insieme ad una serie di altri fattori, ha cambiato velocemente l'”orecchio” collettivo, anche quello degli specialisti. Una certa qualità timbrica un tempo assolutamente inascoltabile e inaccettabile, oggi è accettata e ricercata, seppur – mi pare – in una dimensione “esotica”. Grazie a questo nuovo orecchio il caro vecchio suono della cara vecchia fisarmonica, opportunamente “ripulito” e “in abiti eleganti” trova spazio ed accoglienza e la sua natura “rampante”, ricca di inconfondibile vitalità e può continuare ad esprimersi attraverso le varie forme della melodia accompagnata, tra lirismo melodico e zampata ritmica, in generi musicali diversi. Ciò è senz’altro un bene, ma si corre il rischio di cristallizzare immagine, scrittura, competenze e qualità esecutiva, in una dimensione di sicura comunicazione, ma estremamente limitante una ricchezza evidentemente irrinunciabile.

Il rischio è che la ricerca si fermi… e la sfida è in fondo quella di re inventare lo strumento senza tradire la sua natura, superando anche l’uso “funambolico” di certi (ormai tradizionali) effetti timbrici… Certo l’immaginario musicale non è sempre pronto ad accogliere altri linguaggi, altri suoni e l’apertura al nuovo è difficilmente fenomeno di massa… Il cammino personale di ogni esecutore si incrocia col cammino dello strumento nella storia della musica: se e come prendervi parte, è la questione che indefinitiva si pone…

Ingrid Schorscher e Patrizia AngeloniOggi la Fisarmonica è strumento credibile nell’ambito della musica colta?

L’immagine della fisarmonica è legata al repertorio e ai contesti in cui si esprime, ancor di più è legata alla immagine del singolo strumentista. Evidentemente non esiste ancora  una immagine univoca dello strumento (e non è detto che debba esistere, viste le molteplici identità). Così abbiamo ancora la fisarmonica del “ballo liscio”, quella della world music, la fisarmonica del “musette” e quella prestata al Tango, la fisarmonica del jazz e del varieté… poi abbiamo la fisarmonica di Solotarev e Semionov, quella di Gubaidulina, quella di Tiensuu e Lindberg, quella di Berio e quella di Sciarrino, quella di Hosokawa e di Harada; la fisarmonica dell’organo di Bach, quella delle Variazioni Goldberg, quella di Scarlatti e quella degli strumenti da tasto, da Mainerio a Frescobaldi passando da Merulo e de Cabezon; la fisarmonica dell’Arte della Fuga e dell’Offerta Musicale… tante identità, note negli ambienti in cui ogni fisarmonica ha agito e si è fatta conoscere attraverso la mediazione dell’interprete. Ma l’immagine della fisarmonica come arnese della musica colta non è consolidata negli ambienti della musica colta. Esistono certo isole felici, spero in via di espansione, legate alla migliore Musica Nuova, in cui la fisarmonica si conosce, riconosce, accetta e ricerca, per quello che è: uno straordinario mezzo sonoro al servizio della musica e della ricerca linguistica. Ma inutile negare che gran parte dei fisarmonicisti che presentano le fisarmonica in ambito colto è legata da un lato ad un repertorio originale cristallizzato in una idea di suono, scrittura e linguaggio ancorati alla natura popolare dello strumento e lontani da quanto sta costruendo in progress la storia della musica colta contemporanea (repertorio purtroppo di moda nei concorsi di esecuzione fisarmonicistica), e dall’altro ad un repertorio di trascrizione dalla musica antica fino al ‘700 eseguito senza alcuna consapevolezza delle questioni di prassi esecutiva che ogni repertorio pone.

Per inciso, me lo lasci dire: oggi più che mai è inaccettabile e quindi realmente indecente portare la fisarmonica in palcoscenico eseguendo musica antica senza alcuna informazione sulla prassi esecutiva, specie quando si pretende sostituire un arco o un cembalo. Spesso i musicisti o la critica non protestano? Perché si pensa che la fisarmonica non abbia altre possibilità esecutive e ancora una volta il rischio è di confondere la sostanza con l’apparenza, l’oggetto con il mezzo. Il risultato, oltre ad una sorta di “danno musicale”, è una limitazione mortificante delle possibilità, attenzione, non tanto della fisarmonica (in fondo è solo un assemblamento di varie parti meccaniche), ma dei giovani fisarmonicisti che rimangono confinati in questo mondo, ancora una volta un felice ghetto in cui vivere per un pò per poi scomparire chissà in quale altro mestiere. E su un piano diverso, il risultato, nel Tempo, è la creazione di una immagine ibrida di una fisarmonica che appare colta solo perchè non esegue musica da balera, ma che poco ha a che vedere con la ricerca linguistica che segna la storia della musica. E allora può capitare che una parte del mondo musicale gradisca (perchè no, in fondo?) questa fisarmonica, ma che per lo più venga guardata con affettuosa condiscendenza, come si guarda l’animaletto esotico che assume eroicamente i comportamenti adeguati ad un ambiente “più elevato”. Se poi capita che uno specialista di musica antica ascolti per la prima volta un fisarmonicista, diciamo così, poco informato, senza averne ascoltati altri, ignorando le complesse dinamiche dello sviluppo del nostro strumento, è facile che da quel momento, la sua idea di fisarmonica sia “quella fisarmonica” che ha ascoltato e che decida, ovviamente, di non volerne neanche sentir parlare. In questo senso credo che la responsabilità degli interpreti, soprattutto quando sono anche docenti di istituzioni pubbliche, sia veramente fondamentale. È sempre molto difficile combattere il pregiudizio, l’arroganza della falsa conoscenza, ancor di più è difficile combattere la deformazione e l’ibrido. Non sempre è possibile e sempre è faticoso.

I miei Maestri (e i Maestri di tutti in tutti i tempi) lo hanno fatto con il loro lavoro in prima persona, con la coerenza, l’onestà intellettuale, con il rigore scientifico dello studio e della ricerca, raccomandando agli allievi di essere preparati molto più di un altro strumentista… e lo hanno fatto in un Tempo in cui era ancora possibile intravedere i confini tra valori condivisi e principi oggettivi. Oggi viviamo un Tempo diverso… ma il discorso ci porterebbe troppo lontani.

Non ama le caratteristiche del nostro Tempo?

È il tempo della mia vita, come potrei non amarle? Ne amo moltissime, ne detesto altrettante… troppa complessità per parlarne qui… mi lasci osservare solo che oggi più che mai ciò che non è visibile e veloce non esiste. Pericoloso, perché cancella immaginazione, senso del mistero, del sogno, del desiderio e quindi della ricerca, un vedere che cancella lo sguardo… quindi una buona parte dei fondamenti della creatività… In più, ciò che mi lascia sgomenta è la mancanza di memoria storica e socio culturale. Una generazione che non ha memoria non può avere identità e quindi non avrà futuro; ma la memoria ha bisogno della conoscenza, della onestà intellettuale e di una certa “poesia” esistenziale… sembra invece che sia in atto una cancellazione sistematica o meglio un disconoscere tutte quelle relazioni che permettono l’interazione dei saperi e che creano la vera conoscenza, la più autentica consapevolezza. La difficoltà sta piuttosto nel far proprio l’idea di un percorso di ricerca, accettare di confrontarsi con la trasformazione che ogni conoscenza autentica porta con sé e con essa la responsabilità della propria originalità, che in fondo è responsabilità nei confronti della propria vita… anche della Società.

Senza conoscenza la deformazione diventa legge e l’Uomo dimentica chi è, da dove viene e il senso del divenire e del compiere; vede nemici ovunque e ovunque motivi per combattere; può trovarsi così a perdere gran parte di quella ricchezza che sta nel poter comprendere  la complessità della sua dimensione umana…

Fisarmonica a bottoni, a pianoforte:

Qual è la sua posizione in questa “Guerra tra sistemi”? Le tastiere a pianoforte sembrano non essere più di moda…

Ancora con la Guerra dei Sistemi? Ma non c’è altro a cui pensare? Le risponderò quanto più brevemente possibile.

Intanto per amor del Vero, va rilevato che, di moda o no, alcuni dei più importanti fisarmonicisti che stanno segnando la storia del concertismo e della letteratura del nostro strumento, suona e continua a suonare una tastiera a pianoforte, senza alcuna protesta da parte dei compositori.

La molteplicità dei sistemi nasce dalla storia del nostro strumento e fino a quando non si esaurirà naturalmente (nella legittima libertà di scelta di esecutori e compositori), credo costituisca una ricchezza, anche se scomoda. In quello che a volte è il tristissimo ghetto fisarmonicistico, sembra essere in atto una operazione mediatica volta a favorire le sorti di un sistema piuttosto che di un altro, condotta talvolta alla stregua di una vera e propria pulizia etnica, utilizzando mezzi a dir poco discutibili, ivi inclusa una sistematica deformazione della realtà e l’utilizzo di termini linguistici errati. Le discussioni lasciano il tempo che trovano. La discussione basata sulla menzogna, poi, è inutile, oltre che dannosa in termini di confusione, enormi perdite di tempo e di energia. Personalmente sono convinta che le tastiere per terze minori sopravviverebbero alla “selezione naturale della specie” anche se non ci si affannasse a sostituire indiscriminatamente il termine fisarmonica con il termine bayan, il più delle volte a sproposito. Per quanto mi riguarda non esiste nessuna guerra. Abbiamo solo bisogno di informazioni verificabili, studio e onestà intellettuale.

Non prende posizione allora?

Io prendo posizione da tutta la vita. Si prende posizione attraverso i fatti, assumendosi la responsabilità delle proprie scelte, motivandole in modo significativo.

Qualche sintetica informazione? Ho iniziato a studiare musica con una fisarmonica con tasti a paletta (tastiera detta a pianoforte). Da adulta non ho ritenuto di dover cambiare con una tastiera detta “a bottoni” – che per inciso, sempre da tasti è costituita. Ho ritenuto invece di dover conoscere altre tastiere e sistemi diversi. Per lo più vado in palcoscenico con una fisarmonica a pianoforte perché è lo strumento dell’Imprinting, ma ho quattro fisarmoniche con sistemi diversi e nessun problema a leggere e comprendere partiture, funzionalità della scrittura, a diteggiare, a risolvere problemi tecnici su sistemi diversi. Vede che io non ho bisogno di nessuna guerra. Per motivi scientifici concernenti la funzionalità dell’apprendimento delle abilità esecutive, non costringo nessun allievo a cambiare il sistema di tastatura. Lo lascio libero di cambiare, se lo desidera, ma lo sconsiglio dopo i quattordici anni a meno che l’allievo non dimostri una immediata e naturale propensione a farlo (sconsiglio o consiglio, non obbligo). Consiglio, a chi inizia, l’uso di uno strumento a bottoni, a note singole, con il Do in prima fila in entrambe le tastiere (altrimenti detto sistema italiano o C Griff, spesso definito erroneamente bayan, specie in Italia), per le dimensioni degli strumenti e per la funzionalità della disposizione dei suoni. Credo che quell’insieme delle caratteristiche organologiche che costituisce le diverse identità tecniche e foniche del nostro strumento (e che non si limitano alla forma dei tasti e e alla geografia delle altezze), siano una ricchezza e in quanto tali abbiano diritto di continuare a vivere – così come tutti gli Esseri non standardizzati e non standardizzabili. Credo anche che esse non possano convivere in un solo modello di fisarmonica (esattamente come nella storia della musica diversi erano e sono gli organi e i clavicembali) e che portino necessariamente ad una selezione di repertorio e ad una differenziazione della prassi esecutiva… ma non ritengo essere un problema. Sarà la storia a filtrare accadimenti ed affermazioni che oggi, al microscopio delle velleità personali, sembrano essere così definitive ed assolute… Ci vuole pazienza!

Ci sono strumenti che preferisce ad altri?

Non desidero parlare degli strumenti che ho suonato e che suono perché non vendo e non pubblicizzo alcuna marca di fisarmoniche, in alcun modo. Anzi, coglierei l’occasione per chiarire che qualunque azienda di fisarmoniche abbia pubblicato sul suo sito la mia immagine, lo ha fatto senza la mia autorizzazione, né scritta né verbale. Per rispondere più “musicalmente” alla sua domanda, personalmente amo fisarmoniche duttili che permettano al gesto dell’esecutore di plasmare il suono, che rendano possibile la effettiva interazione di aria, articolazioni e intensità e che possano adattarsi al corpo dell’esecutore rendendosi disponibili a muoversi con esso. Tutte caratteristiche indispensabili all’esecuzione della maggior parte della nostra più importante letteratura d’autore, originale e di trascrizione e irrinunciabili ad una vera interazione con gli altri strumenti. È anche vero che le fisarmoniche “che suonano da sole”, in cui suono è sinonimo solo di intensità e l’unica gestualità possibile è quella del “push and pull”, anche se sembrano vivere a distanze irraggiungibili dal corpo dell’esecutore, offrono una ricchezza tutta particolare ed indispensabile a certi repertori. Non si può avere tutto, suonare tutto con con ogni tipo di strumento, non si può disprezzare nulla, quando serve la Musica. Ciò implica studio, riflessione, scelte, differenziazione dei repertori e delle prassi esecutive… ma tant’è…

Patrizia Angeloni - Docente di fisarmonica del Conservatorio Ottorino Respighi di LatinaHa parlato di note singole sin dall’inizio della formazione…

Certo. Ovvio e irrinunciabile. Per una serie di ragioni scientifiche che non possono trovare qui adeguato spazio. Solo un paio, in estrema sintesi: l’orecchio e il pensiero musicale hanno diritto di essere adeguatamente formati sin dall’inizio, mentre suonare sempre e solo una melodia con la mano destra e un accompagnamento ritmico armonico a sinistra configura uno sbilanciamento dannoso e non sempre reversibile. Inoltre: è la letteratura concertistica che definisce le identità dello strumento e con esse i fondamentali tecnici e le competenze musicali e tecniche dello strumentista. Il percorso formativo iniziale è di assoluta importanza e non può essere confinato a una parte limitata delle risorse strumentali – quindi musicali e tecniche – che invece verranno impiegate nel repertorio d’autore. È impressionante vedere come all’esponenziale sviluppo della letteratura da concerto non corrisponda una evoluzione e un aggiornamento dei percorsi didattici, sia per quanto riguarda i materiali musicali, che la metodologia. I nostri bambini studiano, nella maggior parte dei casi, uno strumento completamente diverso da quello che potrebbero suonare una volta adulti… E quando lo suoneranno mai? Solo talenti extra ordinari possono così sopravvivere nell’ambito professionale della musica classica… Sa che risale al 2000, ben 15 anni fa, la pubblicazione della mia Ricerca sperimentale sull’uso della fisarmonica a note singole con principianti di cinque/sei anni? (“Dalla ricerca sonora alla costruzione musicale. Un percorso della didattica fisarmonicistica per l’infanzia” – Saggio sullo studio della fisarmonica classica, a note singole, atti del convegno internazionale SIEM/ISME – La ricerca per la didattica strumentale, Bologna 2000 – Quaderni della SIEM). Oggi la situazione della fisarmonica nella formazione strumentale di base della scuola pubblica è, a parte poche illuminate eccezioni, allarmante! Una splendida opportunità, la prima nella storia della didattica, che si sta sprecando. Repertori obsoleti, strumenti tradizionali di dubbia qualità. Non siamo pronti. Alcuni insegnanti inconsapevoli? Perché non li abbiamo formati adeguatamente? Indisponibilità di strumenti ad un prezzo accessibile o in affitto? Dal lontano 1988 alcuni di noi chiedono ai produttori un investimento in questo senso, per il futuro. Il futuro è arrivato e noi siamo ancora, talvolta, nel passato più buio. Nessuna lungimiranza o strategia a lungo termine. La mancata qualità del presente impedisce un futuro di qualità. E trovo francamente scandaloso leggere nei programmi dei saggi di alcuni nostri Licei Musicali, un repertorio totalmente inadeguato al contesto formativo. Si tratta di responsabilità. Chi insegna in una scuola pubblica ha la responsabilità di non limitare il presente e il futuro degli allievi.

Quale metodologia per una buona formazione di base?

Quella che si fonda sul rispetto del “funzionamento” del Sistema Uomo. Per imparare presto e bene e senza farci male, nel corpo e nella mente, abbiamo bisogno di conoscere – per quanto non completamente possibile – come funziona il nostro apprendimento, anche se spesso l’intuizione dell’insegnante svolge un ruolo decisamente rilevante in una strategia didattica.

(continua)