… dalla nostra Storia – febbraio 1974 – “La pagina del liutaio – 1° parte”

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da STRUMENTI & MUSICA – anno ventisettesimo – 1974

LA PAGINA DEL LIUTAIO – ITINERARI  (1° parte)

di Ernesto Fausto Ciurlo

 

La pagina del liutaio Itinerari (1° parte - immagine 1)Con questo appunto mi propongo di suggerire ai chitarristi, che lo leggeranno, alcuni temi di meditazione e di studio sugli itinerari e le avventure (non saprei chiamarle diversamente) delle vibrazioni nelle strutture della chitarra, nell’interno della cassa armonica e all’esterno dello strumento. L’intenzione è di incoraggiare il chitarrista a rendersi conto di quei fenomeni, non solo per poter apprezzare, a ragion veduta, e valutare uno strumento, ma, soprattutto, per poter intervenire nel corso della sua fabbricazione e, particolarmente, nella fase di messa a punto.

Purtroppo, questa fase, che è della massima importanza per ricavare da uno strumento tutto quanto può dar di meglio, è, quasi universalmente, trascurata, se non addirittura ignorata dai costruttori di chitarre; i quali incollano stabilmente il fondo, senza concedersi la possibilità di modificare, o ritoccare, gli elementi dell’interno, in quanto alla loro posizione, al peso, alle dimensioni, alla forma. Il chitarrista riceve la chitarra dal suo liutaio, se la porta a casa, la suona, disperatamente cercando di convincersi che è piena di pregi e scevra di difetti e conclude accettandola, direi il più delle volte, con rassegnazione, come parte del proprio destino. Poi va in cerca di un altro liutaio.

Ebbene, non si dice cosa nuova quando si afferma che il chitarrista di buon livello potrebbe e dovrebbe essere il collaboratore prezioso, e persino l’ispiratore e la guida del buon liutaio. Egli dovrebbe stargli vicino, soprattutto nella fase di messa a punto, quella fase che, come s’è detto, generalmente viene omessa. Ovviamente, il liutaio, deposta la corazza d’intangibilità, dovrebbe dare a questa pratica tutta l’importanza che merita e, prima d’incollare stabilmente le parti soggette a revisione e il fondo, dovrebbe assicurarle con poco mastice, facilmente asportabile.

Quali sono queste parti? Molte di più di quanto si potrebbe credere. C’è tutto un gioco di equilibri di peso e di forma, che non può essere definito dalla geometria perché variabile con le caratteristiche dei legni. (E’ per questo che può accadere che due chitarre di geometria identica e di legni apparentemente uguali, diano risultati non solo diversi in volume di suono, ma anche dissimili in qualità). Senza la pretesa di farne un elenco, accennerò, sulla scorta di esperienze fatte e sofferte, alle 2 catene trasversali della tavola, nelle tre dimensioni, forma e peso; alle catene radiali, per quanto a modifiche e tracciato e al peso, le 3 catene trasversali del fondo, soprattutto per la posizione, in rapporto a quelle della tavola e all’altezza; il fondo stesso, per quanto allo spessore e alla rastremazione (esterna). All’esterno, sono in gioco l’altezza del ponte (che non è affatto una costante) e la conseguente regolazione del manico.

È ovvio che il risultato della collaborazione del chitarrista rispecchierà, in qualche misura, il gusto del chitarrista, senza cancellare mai, tuttavia, l’impronta caratteristica del liutaio. (Ogni mano ha una calligrafia). L’aggiunta di questo elemento di differenziazione, non può tornare se non a vantaggio della qualità e nell’indirizzo di un progresso positivo della tecnica costruttiva. In ogni caso non ci sarebbero più chitarre che sparano cannonate nei bassi e piegano pietosamente le ginocchia negli acuti, oppure chitarre che si spengono (non tengono) nella «mezza voce» e nei ppp., o ancora, che cambiano sonorità nei vari tasti lungo la stessa corda, o che dispongono di un solo registro di bel suono e diventano antipatiche nel suono secco e via dicendo.

Ora è chiaro che il chitarrista non può conoscere tutta la teoria acustica degli strumenti a corda (ma chi la conosce?) e nemmeno le sottigliezze dell’arte liutaria, ma può bensì avere un’idea chiara dei fenomeni elementari della processione dell’energia vibratoria, dal suo insorgere, fino al suo esaurirsi e di quelli della pressione acustica, nell’interno dello strumento e nell’aria ambiente; fenomeni che sono il punto di partenza e quello di arrivo, rispettivamente, del meccanismo dell’emissione.

Non dispiaccia, dunque, al lettore chitarrista, di accompagnarci in questi brevi itinerari, che, nell’intenzione di chi scrive, dovrebbero proporgliene altri, molteplici e avventurosi, nel mondo misterioso dei suoni e degli strumenti, di cui l’uomo si serve, per produrli e abbellirne la propria vita.

Emissione della chitarra. Penso che buona parte degli osservatori superficiali del nostro strumento sia convinta che la chitarra, nel suo interno, costruisca il suono e lo proietti all’esterno, attraverso la bocca. Per cui è bene rendersi conto subito che le cose procedono in tutt’altro modo. E vediamo perché.La pagina del liutaio Itinerari (1° parte - immagine 2)

Consideriamo una parete sottile, che vibri con frequenza e intensità costanti si dimostra (mi pare inutile ripeterne qui la dimostrazione) che, quale che sia stato il procedimento che ha posto in vibrazione la parete sottile, esso può sempre ricondursi a quello elementare della percussione puntiforme, che equivale a una subitanea pressione istantanea. Per effetto di questa pressione, la parete sottile cede, allungando le sue fibre opposte al punto percosso e assume una forma concava, aperta verso l’origine della sollecitazione. Poi, a motivo dell’elasticità delle fibre allungate, ritornerà alla posizione di riposo e, successivamente, per l’inerzia, dovuta alla sua massa in movimento, si curverà nel senso opposto.La pagina del liutaio Itinerari (1° parte - immagine 3)

Dalla ripetizione di questi movimenti oscillatori e nell’alternanza delle tensioni e compressioni delle fibre delle opposte facce della parete, ha origine la vibrazione. Nel caso della percussione, essa avrà la frequenza propria della parete sottile; se, invece, la sollecitazione è periodica, la vibrazione della parete si adeguerà al periodo della sollecitazione e la frequenza propria ne sarà sommersa.

Orbene, se la parete sottile si trova applicata alla bocca di un recipiente, così da chiuderlo verso l’esterno, la vibrazione della parete sottile produrrà, alternativamente, la compressione e la decompressione dell’aria contenuta nel recipiente.La pagina del liutaio Itinerari (1° parte - immagine 4)

Questo fenomeno produce un duplice effetto; 1) frena la vibrazione della parete sottile, 2) trasmette la vibrazione alle pareti e al fondo del recipiente. Entrambi gli effetti sono in ovvia detrazione dell’energia vibratoria della parete e, quindi, dell’ampiezza e della durata della sua vibrazione. Ma se pratichiamo un foro sufficientemente ampio, nella parete, l’aria potrà entrare e uscire liberamente dal recipiente, attraverso il foro e non vi sarà più alterazione nella pressione interna, eliminandosi, così, entrambi gli inconvenienti in detrazione dell’energia vibratoria della parete. Ebbene, questa è, a mio avviso, la funzione principale della bocca.

Nella chitarra, infatti, come è noto lippis et tonsoribus, il fondo e le fasce non devono vibrare, sia perché si trovano a contatto col suonatore, sia perché la loro vibrazione si troverebbe in opposizione di fase con quella della tavola.

Guardando lo schema, qui sotto, appare evidente che, quando la tavola batte l’aria, all’esterno, provocandone la compressione, la sua faccia, interna al recipiente, agisce nel senso opposto, provocando la decompressione dell’aria contenuta, per cui tanto le pareti, quanto il fondo, verrebbero risucchiate in dentro, provocando nell’aria esterna a contatto un’azione di decompressione, opposta, dunque, a quella provocata dalla tavola.La pagina del liutaio Itinerari (1° parte - immagine 5)

Per la medesima ragione, pure l’alternanza delle pressioni acustiche dell’aria a livello della bocca e attraverso la bocca, avviene in opposizione di fase con quelle al disopra della tavola e sono, in principio, controproducenti. Ma la loro entità è talmente esigua che il danno non si avverte. Comunque è addirittura di ordine diverso da quello che produrrebbero il fondo e le fasce, sia in ragione delle superfici in gioco, sia in rapporto alla diversa pressione dell’aria alla bocca e a contatto con le fasce e col fondo.

Conseguenza palese di questa situazione è l’importanza della «forma» (diremo meglio: del tracciato delle fasce), perché da questo dipende la convergenza delle onde di pressione in corrispondenza del centro dei settori della tavola, quali risultano suddivisi dalle catene radiali; così da realizzare le pressioni massime in quei punti e una pressione minima in corrispondenza della bocca. Altra evidente conseguenza è la stretta relazione del tracciato delle fasce con quello dell’incatenatura della tavola. Mi limito a mettere in rilievo l’opportunità di sapere ricavare da un tracciato preordinato, la sua analisi geometrica al fine di individuare la posizione dei centri di pressione acustica e rilevarne la relazione con il tracciato delle catene radiali.

A volte una lieve modifica dell’uno o dell’altro tracciato può portare risultati sorprendenti.La pagina del liutaio Itinerari (1° parte - immagine 6)

Ritornando alla tesi dell’emissione, in generale, si avrà desunto, da questi cenni, che sarà buona pratica l’aver cura che le vibrazioni del fondo e delle fasce siano impercettibili e che quelle della tavola sì estendano quanto più possibile in superficie.

È, infatti, dimostrato (ed è quasi intuitivo) che l’effetto di propagazione del suono nell’aria, a parità di energia vibratoria, cresce con l’estensione della superficie vibrante. In altre parole, il suono giunge più lontano ed è meglio percepibile, se l’energia vibratoria viene suddivisa in un’ampia superficie, piuttosto concentrata in ampie vibrazioni di una piccola superficie.

Su questo principio si è basata tutta l’evoluzione dello strumento e l’innovazione del Torres, del quale, non a torto, si è detto che «ha reinventato la chitarra» e consiste tutta nell’estendere a un diaframma vibrante di maggior superficie, la stessa energia vibratoria. Ma attenzione a non lasciarci illudere dalle chitarre «maggiorate»! Perché è inutile o anche ridicolo, tenere fra le braccia una grande chitarra, di cui solo una parte della tavola entra in lavoro.

Ma torniamo al tema, ossia alla fase di messa a punto. Come si potrà intervenire per ridurre le vibrazioni del fondo e delle fasce?

Cominciamo dal fondo. Si verifichi, per prima cosa, che non esistano «ponti acustici», ossia elementi solidi che possano agire da conduttori delle vibrazioni del bordo della tavola fino al fondo. Pilastrini, stecche di rinforzo delle fasce, raddoppi. Questi ultimi, quando vi siano, non giungano mai a contatto con la tavola. Quanto alle fasce si evitino quelle tagliate «in foglia» che presentano spesso elementi conduttori e si preferiscano legni a fibre diritte e parallele, che, per loro natura, hanno un coefficiente di conduttività pari a 1 /4, nel senso trasversale, a quello nel senso longitudinale. Si preferiscano essenze che accoppino, a una superficie dura e liscia, una struttura cavernosa fra le fibre.

Pure il «blocco di coda», (quel tassello dove le fasce si ricongiungono, alla base dello strumento), è bene che non tocchi la tavola, anche se non vi è ostacolo a una solida incollatura col fondo.

Ho tenuto per ultimo il problema del peso del fondo. In linea di principio, ad ogni tavola corrisponde un fondo. Il lavoro di percussione che l’aria interna alla cassa riceve dalla tavola è pari al prodotto della massa di tavola che vibra, moltiplicato per il quadrato della velocità di vibrazione. Questa, a sua volta, è pari al prodotto della frequenza per l’ampiezza della vibrazione. A parità delle altre condizioni, dunque, l’energia vibratoria dell’aria nell’interno della cassa, dipende dal peso del tratto di tavola in vibrazione e dal vigore di quest’ultima.

Per dare un peso al fondo, sarà, dunque, conveniente conoscere quello della tavola. In linea di massima, si può ritenere valida la regola che il peso del fondo sia doppio di quello della tavola, con l’avvertenza, tuttavia, di tenersi un po’ al disotto di questo valore per le tavole sottili e di uniforme spessore e un po’ al disopra, per quelle meno sottili, con spessori graduati e valore massimo sotto al ponte.

 

Ernesto Fausto Ciurlo

(continua)