Il nemico che non può uccidere – Sigmund Freud e la musica (2° parte)

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L’incontro tra Freud e Mahler è del tutto anomalo dal punto di vista della prassi psicanalitica (nel 1910, Freud non aveva ancora stabilito regole rigide).Il nemico che non puo uccidere - Sigmund Freud e la musica (2° parte - Sigmund Freud) Eppure, un solo colloquio, durato poche ore, funziona in termini analitici. Molti anni dopo (1935), in una lettera all’amico e collaboratore Theodor Reik (1888-1969), che sta lavorando ad uno studio psicanalitico su Mahler, Freud spiega così quell’esperienza eccezionale: “Situazioni e circostanze straordinarie, così come personalità straordinarie, richiedono provvedimenti straordinari. […] Ho analizzato Mahler per un pomeriggio […] a Leida. Se posso credere alle cronache, ottenni molto con lui a quel tempo. Questa visita gli sembrò necessaria perché sua moglie allora si era ribellata contro il fatto che egli aveva ritirato la sua libido da lei. Attraverso interessantissime spedizioni nella storia della sua vita, scoprimmo la sua personale situazione nei confronti dell’amore, in particolare il complesso della Vergine Maria (fissazione materna). […] Nessuna luce cadde a quel tempo sulla facciata sintomatica della sua nevrosi ossessiva. Era come se si fosse potuto penetrare con un solo raggio di luce attraverso un misterioso edificio[1]”.
Theodor Reik è tra i primi ad affrontare il rapporto tra musica e psicoanalisi, stabilendo un legame tra «ascolto musicale» e «ascolto psicoanalitico».ll nemico che non puo uccidere - Sigmund Freud e la musica (2° parte - Theodor Reik) Con il suo concetto di «terzo orecchio» egli apre la strada all’idea di un ascolto del paziente, da parte dell’analista, orientato più che al contenuto e ai suoi significati, alle modalità del racconto del paziente stesso: al ritmo, alle pause, al tono, cioè a tutti gli indici del suo discorso che potrebbero essere definiti di carattere musicale. Per Reik, questa singolare modalità di ascolto consente all’analista di rilevare “l’essenza musicale dell’inconscio”[2]del soggetto.
Un approfondimento del «caso Mahler» è stato prospettato da Ernest Jones (1879-1958), psicanalista britannico e biografo di Freud: “[…] Freud era in genere riluttante a interrompere le vacanze per un qualsiasi lavoro professionale, ma non sentendosi di opporre un rifiuto a un uomo del valore di Mahler, gli mandò un telegramma fissandogli un appuntamento. […] Mahler rimase assai colpito da un’osservazione di Freud: ‘Da vari accenni nella Sua conversazione deduco che Sua madre si chiamasse Maria. Come mai ha sposato una persona con un nome diverso, Alma, se Sua madre ha avuto evidentemente una parte dominante nella Sua vita?’. Mahler allora gli disse che in realtà sua moglie si chiamava Alma Maria, ma che egli la chiamava semplicemente Maria! Essa era la figlia del famoso pittore [«pittore» in tedesco si dice «mahler», n.d.r] Schindler, del quale esiste un monumento nello Stadtpark di Vienna, perciò, verosimilmente anche nella vita di lei c’era stato un nome significativo.Il nemico che non puo uccidere - Sigmund Freud e la musica (2° parte - Statua di Emil Jakob Schindler) Questa conversazione analitica produsse evidentemente il suo effetto, poiché Mahler recuperò la sua potenza, e il suo matrimonio proseguì felice fino alla morte di lui, che disgraziatamente avvenne appena un anno dopo. Nel corso della conversazione Mahler disse improvvisamente che ora capiva perché la sua musica non avesse mai toccato altezze sublimi neanche nei passaggi più nobili e ispirati dalle emozioni più profonde, e perché fosse rovinata dall’intrusione di melodie banali. Suo padre, che pare fosse una persona brutale, strapazzava la propria moglie, e durante l’infanzia di Mahler si era verificata tra loro una scena particolarmente penosa. Essendo la situazione divenuta intollerabile, il bambino si era precipitato fuori di casa mentre una pianola stava strimpellando un’aria popolare viennese. Da allora, secondo Mahler, profonda tragedia e divertimento spensierato erano rimasti inscindibilmente associati nella sua mente, e ciascuno dei due stati d’animo s’accompagnava all’altro”[3].
Gustav Mahler non è l’unico, né il primo musicista analizzato da Freud. Sei anni prima dell’incontro a Leiden, di cui si è narrato, Sigmund Freud era stato contattato da Bruno Walter (1876-1962).Il nemico che non puo uccidere - Sigmund Freud e la musica (2° parte - Bruno Walter) Berlinese, nel 1904 Walter è direttore alla Hofoper di Vienna già da tre anni (vi resterà fino al 1912), nomina caldeggiata dal già affermato Mahler, della cui opera sarà uno dei massimi interpreti e diffusori, così come del repertorio mozartiano e di quello del romanticismo tedesco. Proprio nel 1904, Walter è colpito da una paralisi al braccio destro. Molti anni dopo, lui stesso ricorderà così quell’evento e l’incontro con Freud, che ne era conseguito: “Il dolore […] divenne così violento che non potevo più usare il braccio destro né per dirigere né per suonare il pianoforte. Andai da un medico dopo l’altro. Ognuno confermava che nella mia malattia erano presenti elementi psicogeni. Mi sottoposi a tutti i tipi possibili di trattamento, dai fanghi al magnetismo, e alla fine decisi di andare dal Professor Sigmund Freud, rassegnato ad affrontare mesi di ricerca sull’anima. La visita prese un andamento che non avevo previsto. Invece di farmi delle domande riguardo alle mie aberrazioni sessuali nell’infanzia, come mi sarei aspettato nella mia ignoranza di profano, Freud mi esaminò brevemente il braccio. Gli raccontai la mia storia, sicuro che sarebbe stato professionalmente interessato a una possibile connessione tra il mio reale disturbo fisico e il torto che avevo subito più di un anno prima”. Qui, Bruno Walter si riferisce agli attacchi subiti da parte della critica viennese, che, in realtà, voleva colpire Mahler, di cui egli era un protetto, per le innovazioni promosse nel campo della composizione, della direzione d’orchestra e della messa in scena del teatro musicale. Freud lascia il musicista senza parole, quando gli chiede se sia mai stato in Sicilia… “Quando gli risposi di no” – prosegue Bruno Walter – “mi disse che era molto bella e interessante, e più greca della vera Grecia. In breve, dovevo partire quella sera stessa, dimenticare tutto ciò che riguardava il mio braccio e il Teatro dell’Opera, e per qualche settimana non fare altro che usare gli occhi. Feci come mi era stato detto […]” Il dolore al braccio, però, resta insopportabile. “Quando ritornai a Vienna” – prosegue Bruno Walter – “riversai su Freud i miei problemi. Il suo consiglio fu di tornare a dirigere. ‘Ma non posso muovere il braccio.’ ‘Ci provi comunque.’ ‘E se mi dovessi fermare?’ ‘Lei non deve fermarsi.’[…] E così mi accinsi a dirigere prima con il braccio destro, poi con il sinistro e ogni tanto con la testa. C’erano dei momenti in cui la musica mi faceva dimenticare il braccio. Alla mia successiva seduta con Freud notai che egli attribuiva una particolare importanza al fatto che io mi dimenticassi del braccio. Provai ancora una volta a dirigere, ma con lo stesso scoraggiante risultato. […] Cercai anche di familiarizzarmi con le idee di Freud e di imparare da lui. Mi sforzai di adattare la mia tecnica di direttore d’orchestra alla debolezza del mio braccio, senza però danneggiare l’effetto musicale. Così, con grande fatica e molta fiducia, e a forza di imparare e di dimenticare, alla fine riuscii a ricongiungermi completamente alla mia professione. Solo allora mi resi conto che, se non altro nei miei pensieri, nelle settimane precedenti l’avevo già abbandonata”[4].
Nella seconda metà del Novecento, due psicanalisti, esegeti del pensiero e dell’opera di Freud, si sono dedicati allo studio del caso di Bruno Walter: Richard Sterba e George H. Pollock[5]. Intorno al 1950, Sterba intervista l’ormai celeberrimo direttore d’orchestra, il quale gli rivela che a convincerlo a partire immediatamente per la Sicilia, la sera stessa del primo incontro con Freud, erano state la sincerità e la determinazione con le quali Freud stesso lo aveva consigliato:Il nemico che non puo uccidere - Sigmund Freud e la musica (2° parte - Sigmund Freud) “Egli si sentì immediatamente soddisfatto di essersi messo nelle mani di qualcuno che era degno di fiducia sotto tutti gli aspetti” – scrive Richard Sterba – e, nonostante fosse tornato alquanto scoraggiato dal viaggio, che non aveva portato il sollievo sperato – “non perse la fiducia nel terapeuta che aveva incontrato una sola volta […] tanto forte era stato il transfert che Freud era stato capace di stabilire con lui in solo colloquio”. Nel 1974, è George H. Pollock a tornare sull’argomento. Anche lui s’interroga su come siano state sufficienti poche sedute di psicanalisi a rendere reversibile quello che entrambi gli studiosi definiscono un tipico sintomo di «isteria di conversione». Per non cedere di fronte ai violenti attacchi di cui era stato fatto oggetto, Bruno Walter aveva attivato, inconsciamente, una forma di aggressività che si era trasformata in una «inibizione» a dirigere. Pollock scrive che i presupposti del successo terapeutico raggiunto con Bruno Walter si possono ritrovare nel saggio di Freud, Psicoterapia, proprio del 1904. Il nemico che non puo uccidere - Sigmund Freud e la musica (2° parte - Bruno Walter)Freud, che, allora, era in una fase di transizione rispetto allo sviluppo della tecnica terapeutica, scrive dell’importanza della suggestione e della personalità del terapeuta “in quanto attraverso di essa egli esercita un influsso psichico”[6]; del fatto che ogni tipo di psicoterapia possa essere considerato buono, se raggiunge “lo scopo della guarigione”[7]e della psicoterapia basata sul diversivo, sull’esercizio e sul richiamo di affetti adeguati: “Io non disprezzo nessuna di queste tecniche e le praticherei tutte in condizioni idonee”[8]. Freud trova, evidentemente, con Bruno Walter, una di queste «condizioni idonee», dato che “certo non si può parlare, nemmeno allora, nel 1904 – quando l’analisi poteva ancora essere molto breve – di «metodo analitico», per una terapia protrattasi solo per cinque o sei sedute”[9]. Scrive ancora Freud: “Consolante il fatto che con questo metodo sia possibile porgere aiuto proprio alle persone di maggior valore e per altri aspetti più evolute”[10]. E Bruno Walter rientrava – decisamente – in quel genere di persona.

 

NOTE

[1]Theodor Reik, The Haunting Melody, New York, 1953, p. 344. La traduzione italiana dei brani citati è in Lucilla Albano, Il divano di Freud, Milano, il Saggiatore, p. 36.
[2]Theodor Reik, Listening with the third ear. The inner Experience of a Psychoanalyst, The Noonday Press, New York 1991.
[3]Ernest Jones, Vita e opere di Freud, Milano, il Saggiatore, 1962, vol. II, pp. 107-108.
[4]Bruno Walter, Theme and Variations, London, Hamish Hamilton, 1947, pp. 181; 184. Trad. di Letizia Ciotti Miller in Lucilla Albano, op. cit., pp. 32-33.
[5]Richard Sterba, “A case of Briefe Psychotherapy by Sigmund Freud”, in Psychoanalytic Review, vol. XXXVIII, 1951, e G. H. Pollock, “On Freud’s Psychotherapy of Bruno Walter”, in The Annual of Psychoanalysis, vol. III, New York, 1974.
[6]S. Freud, “Psicoterapia”, in Opere, Torino, Boringhieri, 2002, vol. 4, p. 431.
[7]Idem.
[8]Idem.
[9]Lucilla Albano, op. cit., p. 31.
[10]S. Freud, “Psicoterapia”, op. cit., p. 436.

 

PER APPROFONDIRE

BIBLIOGRAFIA

CAPPELLETTI, Vincenzo, Introduzione a Freud, Bari, Laterza, 2010.

FERRARI, Stefano, Nuovi lineamenti di una psicologia dell’arte. A partire da Freud, Milano, CLUEB, 2012.

SELVINI, Michele, Bruno Walter. La porta dell’eternità, Collina d’Oro (Lugano), Fondazione culturale della Collina d’Oro, 1999-2000.

WALTER, Bruno, Gustav Mahler, Roma, Edizioni Studio Tesi, 1999.

WALTER, Bruno, Musica e interpretazione, Milano, Ricordi, 1958.

ZURLETTI, Michelangelo, La direzione d’orchestra. Grandi direttori di ieri e di oggi, Firenze, Giunti, 2000.

 

LINK AUDIOVISIVI

https://youtu.be/471zudbaVk4