Mysterious Jazz – Delitti in jazz e in blues (seconda parte)

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MYSTERIOUS JAZZ

Delitti in jazz e in blues

(seconda parte)

 

Chissà se a Don Matteo piace il jazz? Di sicuro gli piace andare in bici per Spoleto (ci vuole un fisico bestiale, conoscendone i dislivelli!). D’altronde, se non dovesse gradire i ritmi afroamericani, ce ne faremmo, serenamente, una ragione. Per un prete detective che non ama jazz e blues ce ne sono molti, infatti, che ne sono esperti ed appassionati. Per non parlare delle suore. O ex suore. Come Bridget O’Toole, creata da Frank McConnell, che ha lasciato il convento per aprire un’agenzia investigativa ed è ferrata in cadaveri almeno quanto lo è in formazioni jazzistiche. In Inghilterra indagano, a suon di hot jazz, padre Canon Sidney James (di James Runcie) e padre Otis Joy (creato da Peter Lovesay). A Washington D. C., invece, vive ed opera addirittura un vescovo, Bishop Burdock (di Walter J. Sheldon), col doppio vizietto dei delitti e del jazz, del quale colleziona dischi e libri.

Nella capitale U.S.A. vivono ed operano molti altri investigatori, ma che sappiano suonare il piano – e che al piano suonino blues – ce n’è uno solo: Alex Cross, detective-psicologo della polizia locale inventato da James Patterson e interpretato al cinema da Morgan Freeman. Tra le sue preferenze musicali ci sono pezzi da novanta come Billie Holiday, Bessie Smith, Blind Lemon Jefferson e Sarah Vaughan. Delitti in jazz e in blues - seconda parte (immagine 2)Cross non perde occasione di citarli e, al termine di un’indagine stressante e sanguinosa, di interpretarli per consolarsi l’anima. Se nei romanzi di Patterson Alex Cross vive a Washington, nella loro trasposizione cinematografica è stato trasferito d’ufficio a Detroit. Qui potrebbe incontrare un detective privato dal nome che sembrerebbe evocare altre sonorità: Amos… Walzer. Nei gialli, però, mai fidarsi delle apparenze. E poi, non sempre nomina sunt consequentia rerum (con buona pace di Giustiniano[1]). Walzer ama il jazz e lo ascolta, più spesso sbronzo che sobrio, nei locali notturni dell’industrialissima e automobilistica metropoli del Michigan[2]. Semmai dovessi imbattermi in un personaggio letterario di nome Jazz che balla il Walzer ve lo farò sapere. Parola di boy scout.

Se a Washington Alex Cross suona il blues, a Padova c’è un investigatore che, addirittura, lo canta. Delitti in jazz e in blues - seconda parte (immagine 3)È l’Alligatore di Massimo Carlotto. Certo, la pistola ha sostituito il microfono, ma non del tutto. All’Alligatore capita ancora, qualche volta, di esibirsi. Jazz e blues, si sa, sono parenti stretti, ma a volte potrebbero essere anche amanti. Nel penultimo romanzo[3] di cui è protagonista, l’Alligatore s’innamora perdutamente di una “Donna di jazz. Quando avvicinava le labbra rosse al microfono per attaccare Good Morning Kiss trattenevo il fiato per godermi ogni singolo istante. […] Quando stava sul palco a volte giocava con l’orlo del vestito e io sognavo di allungare le mani e accarezzarle le cosce. […]. Nonostante l’avvenenza della cantante jazz, però, l’Alligatore continua a preferire il blues. Al termine di un pedinamento, sale in auto e… “Frugai tra i cd che tenevo in macchina e trovai subito quello che conteneva il brano che volevo ascoltare: Dengue Woman Blues del grande Jimmie Vaughan, fratello del compianto Steve Ray[4]”. Per l’Alligatore “il blues sopravviveva a tutto. Le mode passavano ma la musica del diavolo continuava a essere suonata ovunque e da grandi[5] musicisti. In attesa di dare una svolta all’inchiesta andai a sentire Fabrizio Poggi e i suoi Chicken Mambo”.

Gli investigatori italiani in giallo e in blues non vivono solo a Padova. Ce ne sono un po’ ovunque nel Bel Paese (nel senso dell’Italia, non dell’insipido formaggio Galbani). A Milano, per esempio, jazzeggia il Gorilla, investigatore privato e buttafuori, che non di rado ascolta del buon jazz per togliersi dalle orecchie e dal cervello qualche nota stonata di hip hop, che è stato costretto ad ascoltare per ragioni di servizio.

Non sempre il jazz è presente nelle crime story in quanto passione del protagonista. A volte la nostra musica piace all’assassino, altre volte il mondo del jazz è solamente lo sfondo di vicende criminose, altre ancora è un intermezzo al quale si dedica casualmente qualche personaggio nel corso della narrazione. È il caso della professoressa Camilla Baudino, insegnante di lettere in un liceo di Torino e investigatrice per caso, nata dalla penna di Margherita Oggero: “Dopo cena finirono ai Docks Dora per tirare in lungo la serata ascoltando un quartetto di jazz. […] E anche se i musicanti non erano degni di benevola attenzione, si trattenne per rispetto verso le illusioni e i progetti di vita che stavano dietro la loro esibizione: quattro ragazzi che invece di sniffare e impasticcarsi, o anche sniffando e impasticcandosi, cercavano la loro strada attraverso batteria basso sax e tromba[6]”. Delitti in jazz e in blues - seconda parte (immagine 4)

In Italia, anche a Sud piace il jazz. I delitti sotto il sole di Palermo, accompagnati dalle note di un sax o di una tromba, non sono «cosa nostra», ma di Santo Piazzese, autore di una serie di romanzi dei quali è protagonista Lorenzo La Marca, biologo professionista e investigatore dilettante. Dell’America al dott. La Marca piace proprio tutto: la letteratura, il cinema, la musica. La musica, soprattutto. Delitti in jazz e in blues - seconda parte (immagine 5)Nei romanzi di Piazzese (l’ultimo è intitolato Blues di mezz’autunno) si parla di Rosemary Clooney e di Erroll Garner, di Oscar Peterson e dell’orchestra di Clarence Williams che interpreta West End Blues. Ne I delitti di via Medina-Sidonia, primo romanzo della serie, c’è addirittura un capitolo intitolato La notte che Chet Baker suonò al Brass, in cui il ricordo di un concerto del gigante del cool jazz si rivela indispensabile per risolvere il caso. In quell’occasione, il protagonista sembra leggere l’imminente, tragica morte del trombettista americano, che gli appare “tutto raggomitolato in sé stesso […]. Era come se non avesse dentro nessun umore, nel senso di mood, che stesse solo contando i secondi sul quadrante dell’orologio, quello generale, interno, definitivo, non quello del polso […]. Poi, Chet “aveva riattaccato con Sad Walk […]” e la voce della sua tromba sembra cancellare d’un soffio i solchi che l’eroina ha scavato sul suo volto. Sembra… Delitti in jazz e in blues - seconda parte (immagine 6)

Ancora in Sicilia si svolge Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia. Più che un giallo è una profonda ed amara riflessione sull’isola. “Sciascia […] è il campione del popolo siciliano esposto ai crimini della mafia. I suoi romanzi costituiscono un’anticipazione del noir neorealista […], in cui la polizia e le strutture del potere sono i veri colpevoli. In questo modo vengono negate alcune regole fondamentali del genere. Benché sulle tracce dei colpevoli, i commissari possono essere rimossi dall’inchiesta dai loro superiori, oppure assassinati a loro volta, come accade spesso nella Sicilia dominata dalla mafia”[7]. Qualcosa di molto simile accade ne Il giorno della civetta, in cui ad indagare (e ad essere messo a tacere) è chiamato il capitano dei Carabinieri Bellodi, parmigiano (anche stavolta il riferimento ad un formaggio è del tutto casuale: parmigiano nel senso di nativo di Parma), ex partigiano e convinto democratico nonché appassionato di jazz. Delitti in jazz e in blues - seconda parte (immagine 7)L’ultima qualifica la scopriamo solamente verso la fine del romanzo quando Bellodi, rientrato a Parma per un breve periodo di ferie, incontra prima un vecchio compagno di scuola e poi, insieme a quest’ultimo, Livia, una giovane amica che “propose che l’accompagnassero a casa: sarebbero venute delle amiche, avrebbero ascoltato formidabili pezzi di vecchio jazz, dischi miracolosamente reperiti […]. Trovarono la sorella di Livia e due altre ragazze distese su un tappeto davanti al fuoco: i bicchieri a lato e il funerale al Vieux Colombier, New Orleans, che batteva ossessivo dal giradischi. […] Le ragazze prepararono dei tramezzini. Mangiarono, bevvero whisky e cognac, ascoltarono jazz, parlarono della Sicilia, e poi dell’amore, e poi del sesso”[8].

Bellodi non è solo nella benemerita. Ad amare il jazz, oltre a lui, c’è il collega Bruno Arcieri, carabiniere in forza al controspionaggio militare. Le storie del capitano Arcieri, scritte da Leonardo Gori, si svolgono negli anni ’30 del Novecento. In La finale[9] per motivi di servizio Arcieri si trova a Parigi durante il campionato mondiale di calcio del 1938 e ne approfitta per soddisfare la propria brama di jazz. L’Italia fascista ha bandito dal patrio suolo la musica «giudeo-negroide» d’oltre oceano e ad Arcieri non pare vero di poter ascoltare dal vivo il quintetto di Django Reinhardt con Stéphane Grappelli al violino, che suona, tra le altre, Theme There Eyes, Jeepers Creepers e Nuages. Delitti in jazz e in blues - seconda parte (immagine 8)L’indagine conduce il capitano a Marsiglia dove ai suoi occhi si manifesta quello che sembra un miraggio: un negozio di dischi in cui può acquistare Some Of These Days di Coleman Hawkins che lo manderà “ai confini dell’estasi”.

Dal sole della Sicilia a quello della California il passo è lungo, ma, prima o poi, va fatto. Ecco, lo facciamo e andiamo a Los Angeles. Come ha scritto Steve Erickson sul Los Angeles Magazine del novembre 2001, “Ogni città ha una sua colonna sonora, ma Los Angeles sembra una colonna sonora che ha una sua città[10]”. Tra i 100 dischi, che Erickson indica come quelli che meglio rappresentano Los Angeles, ce ne sono, ovviamente, anche di jazz e sono delle vere e proprie pietre miliari del genere: Charles Mingus e Buddy Collette in Central AvenueLover Man di Charlie Parker, The Chase interpretata da Dexter Gordon e Wardell Gray, Lonely Woman di Ornette Coleman, I Can’t Get started di Lester Young ed altri ancora. Quale detective che si rispetti, vivendo a Los Angeles, non ne terrebbe conto? Delitti in jazz e in blues - seconda parte (immagine 9)Tra i più attuali, sicuramente Harry Bosch apprezzerebbe quei dischi. Bosch, il detective creato da Michael Connelly, entra ed esce da una sezione all’altra della polizia della Città degli Angeli e dalla polizia stessa. Prima alla Omicidi, poi investigatore privato per tre anni, poi di nuovo in polizia ma all’Unità Casi Aperti-Irrisolti, una squadra che lavora ai cosiddetti cold case, poi, di nuovo, alla Omicidi. Bosch cambia reparto con la stessa facilità con la quale cambia donne. Oltre alla passione per l’indagine c’è solamente un’altra costante nella sua vita: l’amore incondizionato per il jazz. Delitti in jazz e in blues - seconda parte (immagine 10)Bosch è la perfetta incarnazione del detective letterario e cinematografico, ma non per questo ci è meno simpatico. Ecco come lo descrive il suo autore nel primo romanzo in cui appare: “Mise sullo stereo dei CD di Sonny Rollins […] e si lasciò incantare dal sassofono. Sparse i fascicoli sul tavolo del pranzo e aprì una bottiglia di birra. Alcool e jazz, pensò bevendo. Delitti in jazz e in blues - seconda parte (immagine 11)Addormentarsi vestito. Un vero poliziotto da manuale. Un libro aperto[11]”. Bosch predilige il sax: John Coltrane, Art Pepper, Wayne Shorter, Lee Konitz, e in Lame di luce[12] prende addirittura lezioni per imparare a suonarlo. Deroga speciale per la tromba di Miles Davis, soprattutto per il suo Kind of Blue. Il disco fungerà da colonna sonora del suo primo incontro ravvicinato con la giovane collega Julia Brasher, conoscitrice di jazz almeno quanto lui. In una scena di La città delle ossa[13] i due sono a casa di lui per lavorare, ma si spostano in camera da letto mentre sullo stereo inizia, appunto, Kind of Blue. L’amplesso si spegne mentre Miles soffia le ultime note. Così, per curiosità, sono andato a verificare la durata del CD: 55’ e 23”. Complimenti detective Bosch! Seguirò il suo esempio. No, no… che avete capito? Mi riferivo alla birra e al jazz! Arrivederci alla prossima puntata di questo articolo.

 

NOTE

[1] Giustiniano, Istituzioni, II, 7, 3.
[2] I romanzi di cui è protagonista Amos Walzer sono stati scritti Loren D. Estelman.
[3] Massimo Carlotto, Per tutto l’oro del mondo, Roma, Edizioni e/o, 2015.
[4] Ibidem, pp. 11-12.
[5] Ibidem, p. 78.
[6] Margherita Oggero, La collega tatuata, Milano, Mondadori, 2003, pp. 117-118.
[7] Ernest Mandel, Delitti per diletto, Milano, Interno Giallo, 1990, pp. 181-182.
[8] Leonardo Sciascia, Il giorno della civetta, Torino, Einaudi, 1961, pp. 169-161.
[9] Leonardo Gori, La finale, Milano, Hobby and Work, 2003.
[10] Cit. in Franco Bergoglio, Sassofoni e pistole, Roma, Arcana Jazz, 2015, p.128.
[11] Michael Connelly, La memoria del topo, Milano, Piemme, 1991, p. 35.
[12] Michael Connelly, Lame di luce, Milano, Piemme, 2003.
[13] Michael Connelly, La città delle ossa, Milano, Piemme, 2003.

 

PER APPROFONDIRE

BIBLIOGRAFIA

Fonte indispensabile per la stesura di questo articolo è stato il libro di Franco Bergoglio, Sassofoni e pistole, Roma, Arcana Jazz, 2015.
Per approfondire il rapporto tra musica jazz e letteratura poliziesca, suggerisco di visitare il blog dell’autore all’indirizzo https://magazzinojazz.wordpress.com/

COMOLLI, Jean Louis, Jazz e thriller nell’American Dream, Milano, Il castoro Noir in festival, 1994.

DEL MONTE, Alberto, Breve storia del romanzo poliziesco, Bari, Laterza, 1962.

GIOVANNINI, Fabio, Storia del noir, Roma, Castelvecchi, 2000.

HOBSBAWM, Eric J., Storia sociale del jazz, Roma, Editori Riuniti, 1982.

JONES, LeRoi, Il popolo del blues, Torino, Einaudi, 1968.

OAKLEY, Giles, La musica del diavolo, Milano, Gabriele Mazzotta Editore, 1978.

SOUTIF, Daniel (a cura di), Il secolo del jazzArte, cinema, musica e fotografia da Picasso a Basquiat. Catalogo della mostra al MART di Trento e Rovereto, Milano, Skira, 2008.

 

LINK AUDIOVISIVI

https://www.youtube.com/watch?v=QSmYTc1Jv7w