La montagna de I Luf

Lupi, valli, altri ritmi e altri passi

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I Luf 2020“Non crescerai se non avrai radici, non si cammina bene senza amici”

Pihinì

Ventitré dischi, tra album, raccolte e live. Un libro fotografico Live & Luf, nel 2010. Più di mille concerti. Dal 2002 I Luf cantano la vita “camuna” delle montagne lombarde della Val Camonica: un misto romantico e moderno di tradizioni popolari e impegno sociale nel solco del combat folk di Modena City Ramblers e Pogues. “Sono molto legato alle mie radici territoriali – spiega Dario Canossi, voce, fondatore e anima del gruppo -. Più della metà delle nostre canzoni è cantata in dialetto, cosa che considero una specie una dichiarazione d’intenti: il dialetto è la lingua con cui mi parlavano mia madre e mio padre, è la lingua dei fratelli, degli amici, della vita di paese, della quotidianità. La lingua della semplicità, delle cose piccole, lente, più… umane.

Il vostro ultimo disco, che usciva a febbraio dello scorso anno, proprio a ridosso dello scoppio della pandemia, si intitola Tornando al monte

…Proprio per ribadire una scelta di vita diversa, con altri ritmi, altre vicinanze… Ho scritto i pezzi dell’album nella mia baita, a 1500 metri: quello è il mio contesto, il mio rifugio, la mia vita.

Brani scritti non tutti da solo, ma con la collaborazione di amici speciali…

… Amici che condividono con me l’amore per la montagna e che hanno saputo raccontarlo. Il primo è stato Paolo Cognetti, che non solo ha scritto Le otto montagne e Il ragazzo selvatico, due romanzi che ho amato moltissimo, ma che è anche lo straordinario organizzatore de Il richiamo della foresta, un festival di arte libri e musica a Estoul, in Val D’Aosta. I Luf sono stati invitati a suonare lì nel luglio del 2019: sotto un tendone, a 1800 metri, con la gente che ballava forsennata… è stata una delle più belle esperienze della mia vita! Dopo il concerto ci siamo trovati nella sua baita, lui col suo taccuino e io con la chitarra, abbiamo iniziato a lavorare e così la storia de Il ragazzo selvatico è diventata una canzone.

I Luf 2020Con Mauro Corona non è stato altrettanto facile, vero?

Be’, lui non ama la tecnologia e quindi le nostre mail ci hanno messo parecchio tempo a raggiungerlo! Alla fine siamo riusciti a fargli sentire come avevamo riassunto in musica Il canto delle manere, il suo romanzo del 2009. Il brano gli è piaciuto moltissimo e ci ha concesso l’onore di usare il titolo anche per la nostra canzone.

Raccontami la storia bellissima di Nives Meroi, la grande alpinista bergamasca…

…Meravigliosa e tostissima! È l’unica italiana ad aver scalato senza ossigeno tutti i “14 ottomila” [le quattordici montagne della Terra che superano gli ottomila metri di altitudine sopra il livello del mare, n.d.r.]. Nel 2009 era in gara per essere la prima italiana ad aver conquistato tutte le cime, gliene mancavano due. Sulla penultima, in Nepal, il marito Romano Benet, suo compagno fisso di cordata, si sente male a poche centinaia di metri dalla vetta. Le chiede di lasciarlo lì e terminare l’impresa, ma lei abbandona: “non ti farò aspettare”, gli risponde. Lui poi scoprirà di avere una malattia piuttosto seria, ci metterà due anni a riprendersi. Una volta guarito, sono entrambi tornati sull’Himalaya e hanno scalato le due cime che mancavano. Il libro in cui Nives racconta questa vicenda si intitola appunto Non ti farò aspettare. Quando ci siamo incontrati, abbiamo parlato moltissimo, di questa storia e di che cos’è l’alpinismo oggi. La canzone (omonima) che ne è nata è il frutto di quest’incontro straordinario.

I Luf, ovvero i lupi. La vostra idea di montagna si riverbera anche nel nome che avete scelto, spesso vi riferite a voi stessi non come gruppo ma come branco…

Nell’immaginario il lupo è l’animale libero e selvatico per eccellenza… Il lupo che era sparito dalle montagne ma che adesso sta tornando… Il lupo che è anche un animale comunitario, che ama vivere in gruppo e che nel gruppo ha rispetto per tutti, soprattutto per i membri più deboli… Il lupo che proprio nel branco trova la sua forza. Ecco, noi siamo un po’ così: un branco di gente libera che si diverte e gioca nella sua nicchia ecologica. E quando dico liberi, intendo liberi perfino da noi stessi. Non ci siamo mai presi sul serio, anche se abbiamo avuto esperienze grosse come il concerto a San Siro con Davide Van De Sfross nel 2017, anche se abbiamo un pubblico che accorre sempre numeroso ai nostri innumerevoli live (perché noi siamo proprio gente da palco, è quella la dimensione che ci piace di più!). E ci siamo sempre autogestiti. Nessuno di noi è, né vuole essere un professionista della musica. Siamo soprattutto amici che, fino al lockdown, si ritrovavano ogni lunedì sera a scherzare e ragionare di canzoni come dei ragazzini. Il divertimento è il nostro credo. E nessuno va via dal gruppo. È vero che nei nostri vent’anni di vita abbiamo avuto diverse ricombinazioni di formazione, ma tutti quelli che si sono allontanati per i motivi più vari, continuano in un modo o nell’altro a rimanerci legati e a tornare. Quando il nostro ex fisarmonicista, che ormai fa il fonico a Londra, viene in Italia, sale sul palco e si mette a suonare con noi. Siamo così, lupi in eterno!

I Luf 2020Parliamo infine di musica. Avete scelto come produttore Lorenzo Cazzaniga, già con Negramaro e Baglioni. Vi siete posti il problema di dare al vostro folk una cornice più… pop?

Mi considero un musicista popolare, ma non sono un conservatore. Amo gli strumenti acustici: fisarmonica, violino, mandolino, banjo, cornamuse… sono cose presenti in maniera preponderante nelle musiche dei Luf, ma questo non ci impedisce di apprezzare la praticità del basso elettrico! La mia è un’attitudine molto dinamica. Si lavora con gli strumenti del nostro tempo per un suono che abbia la modernità del nostro tempo. Un folk attuale che funziona e non si vergogna di essere tale. All’estero succede e anche con grandissimo successo di pubblico, sto pensando ad esempio ai Mumford & Sons o a certi pezzi di Ed Sheeran.

Mi chiedo se il fatto di insegnare musica ai ragazzi delle scuole superiori non abbia influenzato questo tuo approccio, se il confronto quotidiano con le nuove generazioni non ti abbia spinto in qualche modo a ricercare una qualche forma di trasversalità…

Mi confronto con i miei alunni tutti i giorni da quarantadue anni a questa parte e certamente, se vuoi far passare il messaggio, dev’esserci un suono che parli anche a loro. Per comunicare con ogni nuova generazione devi imparare ad ascoltare e capire qual è la chiave d’accesso, qual è il giusto linguaggio interiore. È difficile? Sì. Ma è anche entusiasmante, perché i ragazzi sono comunque belli con tutta la curiosità e la voglia di conoscere che è propria dell’adolescenza.

 

DISCOGRAFIA

Ocio ai Luf (Ultimo Piano Records, 2002)

Bala e fa balà (PerSpartitoPreso, 2005)

Fiore del Sambuco (PerSpartitoPreso, 2005)

Arìs del Paradis (PerSpartitoPreso, 2006)

Paradis del Diaol (PerSpartitoPreso, 2007)

So nahit ‘n Val Camonega (PerSpartitoPreso, 2007)

Giù (PerSpartitoPreso, 2008)

Flel (PerSpartitoPreso, 2010)

I Luf Cantano Guccini (PerSpartitoPreso, 2012)

Mat e Famat (PerSpartitoPreso, 2013)

Terra e Pace (PerSpartitoPreso, 2015)

Delaltèr (PerSpartitoPreso, 2016)

Pihinì – Tornando al monte (PerSpartitoPreso, 2020)

 

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