Organetto e fisarmonica per ottenere la perfezione

Intervista a Mirko Tarquini, organettista de I Caferza

120

I Caferza - ph Mirko TarquiniQuesta volta andiamo in Abruzzo, precisamente a Giulianova, dove troviamo I Caferza: orgogliosi portatori della tradizione musicale della loro terra. La loro missione, infatti, è quella di portare avanti la musica popolare, e le tradizioni a essa legate, trattandola con estremo rispetto, ma, al tempo stesso, avendo cura di renderla, in certi passaggi, più accattivante attraverso la sperimentazione di ritmi non convenzionali: perché, alla fine, quello che conta è non perdere le connessioni con le nostre radici. Ringrazio Mirko Tarquini, uno degli organettisti de I Caferza, per avermi concesso questa intervista e aver trasmesso questa passione, palpabile attraverso il suo racconto.

Come e perché nascono I Caferza? Raccontaci un po’ la storia del gruppo.

Il gruppo nasce nel 1998 come costola dell’Associazione Culturale Gruppo Corale Gaetano Braga di Giulianova, che faceva polifonia e folklore, con uno statuto, se non ricordo male, del 1978. I Caferza nascono nel momento in cui le feste paesane cominciavano a richiedere gruppi più ristretti di musica popolare, piuttosto che le corali, spesso formate da trenta o quaranta persone tra soprani, contralti, tenori e bassi. Durante una serata di serenata, al nostro presidente di allora, Gaetano Torresi, che operava nel teatro e ha scritto poesie, oltre ad alcuni testi di musica popolare, venne questo nome, Caferza, che altro non è che un acronimo di “cafoni e rimasugli zotici assortiti”. C’è anche una canzone che abbiamo scritto noi, l’Inno dei Caferza, in cui spieghiamo l’origine del nostro nome.

Quindi è una sorta di inno che vi rappresenta…

Sì, noi abbiamo avuto la fortuna di fare due CD, sempre di musica popolare, al cui interno ci sono sia pezzi di folklore classico (per esempio il Vola, vola, Tutte le funtanelle…) sia alcune canzoni scritte da noi, come l’inno, appunto, o La campagna. Nel nostro repertorio spaziamo dal folklore classico a pezzi un po’ più attuali come quelli di Nduccio o Roppoppò: ci muoviamo su più pezzi musicali. Abbiamo poi la fortuna di avere anche zampogne e ciaramelle, cercando di far capire che non sono solo strumenti natalizi, ma possono essere usati tranquillamente in una serenata, in un itinerante o cantandoci sopra, come nel caso di Lu Pecurare, pezzo popolare abruzzese, che si presta proprio alla zampogna e alla ciaramella.

Quindi, nel vostro repertorio troviamo sia pezzi classici sia pezzi più attuali. Quelli classici sono rivisitati comunque in chiave più moderna per renderli, passami il termine, più accessibili?

Alcuni sono belli così, per cui li lasciamo intatti e li riproponiamo per come sono (per esempio il Vola, vola, essendo anche l’inno abruzzese) mentre in alcuni, come in Tutte le funtanelle, facciamo la prima strofa classica, per come è stata scritta e per come viene cantata dalla corale, dopodiché partiamo con un ritmo un po’ più ballabile, divertendoci a fare qualche arrangiamento nostro, per poi chiuderla con il finale classico.

Quindi vi piace anche sperimentare: vi capita anche di improvvisare durante un live?

Sì, abbiamo degli esecutori strumentali, per esempio i fisarmonicisti, che vengono dal conservatorio, per cui hanno manualità nello spartito e nello scrivere musica e durante le prove sperimentiamo qualche pezzo. Per quanto riguarda i live, in genere arriviamo preparati con un’ idea di ciò che andremo a fare. Tuttavia, essendo molto legati all’itinerante, spesso ci troviamo a improvvisare perché interagiamo direttamente con il pubblico. Per esempio, durante un itinerante a Barisciano (L’Aquila), c’era una signora affacciata al balcone e ci venne in mente di farle una serenata.

Essendo la vostra musica principalmente itinerante, immagino che suonando letteralmente in strada proviate sensazioni diverse rispetto all’essere su un palco. Cosa dà di diverso la musica itinerante? Si ha un contatto più diretto con il pubblico?

Esatto, in genere preferiamo fare un itinerante o comunque un concerto senza l’ausilio dell’amplificazione, perché noi nasciamo proprio come “gruppo da strada”, come amiamo definirci. Ciò che ci dà la spinta e la voglia di suonare, è proprio il calore che riceviamo dal pubblico facendo musica itinerante e interagendo con le persone. Inoltre, noi utilizziamo tantissimi strumenti di percussione “rudimentali”, in legno, costruiti a mano, per cui amplificarli significherebbe togliere quel calore e quell’emozione che trasmettono. Abbiamo organetti, fisarmoniche, tamburelli, grancassa, il tamburo a frizione, zampogne e ciaramelle: per cui il fatto di non avere amplificazione e suonare su strada si sposa bene con questi strumenti. In totale siamo in diciassette, ma quando ci muoviamo lo facciamo in otto o nove.

I Caferza - ph Mirko TarquiniQual è il vostro obiettivo principale? Suonare per i vostri corregionali e far approfondire il legame con le proprie radici o far conoscere la musica abruzzese anche al di fuori?

Spesso siamo andati fuori dall’Abruzzo e ci ha fatto estremamente piacere. Siamo stati a Saronno, per una festa abruzzese organizzata da un ristoratore di Giulianova. Tuttavia, ci è capitato più volte di suonare nelle Marche, ma anche in Sardegna a Santu Lussurgiu in occasione dell’evento “Cantigos in Carrela”, in cui in genere chiamano un gruppo del “continente” e ci hanno invitati come rappresentanti del folklore abruzzese, e in Puglia. Ovviamente, ci fa molto piacere questo riconoscimento della tradizione abruzzese anche al di fuori e ci fa riflettere sull’attenzione che viene data al portare avanti le tradizioni, indipendentemente dalla regione di provenienza, che comunque rappresentano le nostre radici. Noi riproponiamo la musica popolare riportando in voga anche le tradizioni a essa legate, come la serenata, di cui rimane il rito: leggiamo la poesia di un poeta giuliese agli sposi, regaliamo la “presentosa” (classico gioiello abruzzese) alla sposa, i nostri due CD allo sposo e facciamo la classica canzone della serenata, La partenza. Un altro rito molto sentito che portiamo avanti è la questua di Sant’Antonio: in genere, partiamo dopo l’Epifania con la questua itinerante, in cui tutto ciò che raccogliamo viene devoluto in beneficenza e il 17 gennaio (giorno di Sant’Antonio) siamo a Montelapiano (Chieti) dove da quattordici anni andiamo a cantare il Sant’Antonio alla festa con il rituale del fuoco. A proposito di tramandare tradizioni, alcuni di noi hanno la fortuna di avere figli appassionati di musica popolare che suonano l’organetto, la zampogna e le ciaramelle.

A proposito di questo, cosa significa per voi essere “portatori” della tradizione abruzzese in quest’epoca?

Sicuramente ne siamo orgogliosi e, spesso, veniamo ripagati dei sacrifici che facciamo, togliendo tempo anche alle nostre famiglie, dal sorriso degli sposi durante una serenata o dalle persone che ci richiedono dei pezzi tradizionali durante un itinerante.

Come si è evoluta la vostra musica in questi ventisei anni di carriera? È cambiato qualcosa nel vostro modo di reinterpretare la tradizione o nei vostri inediti?

Sicuramente la nostra musica si è evoluta anche strumentalmente, con l’inserimento della zampogna e delle ciaramelle, oltre che con ritmi diversi dalle cadenze della musica popolare di una volta: spesso e volentieri abbiamo a che fare con un pubblico giovane, per cui cerchiamo di intervallare ritmi classici con ritmi un po’ più energici e gioiosi, come può essere quello del Saltarello. Per cui, l’evoluzione è stata legata più che altro a un cambiamento del tipo di pubblico.

Quali sono i punti di forza dei Caferza?

I nostri punti di forza sono sicuramente la passione, la determinazione e l’orgoglio di essere abruzzesi, si può dire?

Qual è, secondo te, il valore della fisarmonica e dell’organetto nella musica popolare?

Tradizionalmente, l’Abruzzo è legato all’organetto, essendo uno strumento che si suona anche “a orecchio”, ma la fisarmonica è lo strumento cardine che ti permette di fare tutto, come spaziare tra le varie tonalità e melodie: la perfezione si ottiene unendo questi due strumenti.

Nel vostro repertorio avete già due album pubblicati. Ce ne sarà anche un terzo?

Abbiamo già dei pezzi, per cui l’idea è quella di iniziare a preparare il terzo disco questo inverno e farlo uscire nel 2025.

Lasciaci un messaggio per i lettori se ti va.

Ascoltate quello che vi dice il cuore, andate oltre l’apparenza, e fatevi trasportare da questa musica per capire che cosa si prova.

 

DISCOGRAFIA

Sendote a noje (Noiselab Records, 2011)

Vatte e sone lu frajelle (Musicomania, 2013)

FACEBOOK

INSTAGRAM

SPOTIFY

YOUTUBE