Marie-Andrée Joerger: l’amore viscerale per Bach fin dal grembo materno

Un matrimonio di sonorità inedite

620

Marie-Andree JoergerProfondamente innamorata di Bach, Marie-Andrée Joerger è un’eccellente fisarmonicista che esprime la sua arte attraverso una comunicatività toccante, romantica, che allo sfoggio esasperato della tecnica strumentale preferisce raccontarsi con maturità interpretativa e con un’espressività molto personale. In questa intervista spazia dalle sue esperienze professionali più gratificanti a delle storie umane pregne di significato, oltre a descrivere i tratti distintivi di Bach en Miroir, la sua nuova opera discografica.

Dopo il brillante conseguimento del diploma in Fisarmonica, con il massimo dei voti, alla “Musikhockschule” di Friburgo (Germania) con Teodoro Anzelotti, nonchè del Master in Musica Contemporanea a Basilea (Svizzera), intraprendi una ricchissima carriera concertistica che ti permette di suonare in giro per il mondo: Germania, Austria, Slovenia, Canada, Francia, Lituania, Svizzera, Romania, sia da solista che come ospite in diverse e prestigiose orchestre. Come cambia l’approccio quando ti esibisci in “Solo” rispetto a quando suoni in orchestra?

«I concerti ci permettono di viaggiare, di incontrare molte persone, di condividere sia come solista che come ensemble. Essere soli sul palco permette una totale libertà di espressione, perché siamo l’unico “padrone a bordo” e decidiamo quale interpretazione esprimere in base al momento, all’energia del pubblico, al luogo, al nostro sentimento in quell’istante, condividiamo la nostra musica esclusivamente con il pubblico. Ciò che è diverso con l’orchestra è da un lato la potenza sonora, l’inerzia dell’orchestra stessa, ma anche la condivisione non solo con gli ascoltatori, ma al tempo stesso con i nostri colleghi orchestrali. Dobbiamo essere molto attenti e reattivi alle diverse proposte musicali che vogliamo esprimere nel momento presente, ma anche a quelle del direttore e degli altri musicisti. Così siamo a volte leader e a volte “camaleonti”. Trovarsi come solista accompagnato da un’orchestra o in mezzo alla stessa orchestra è molto esaltante e affascinante».

Nell’arco del tuo percorso artistico hai stretto numerosissime e significative collaborazioni con autorevoli musicisti e compositori, come: Bernard Cavanna, Daniel D’Adamo, Martin Matalon, Misato Mochizuki, Alberto Posadas, Annette Schlunz, Raphaël Cendo, Aurélien Dumont, Andy Emler, Alekandros Markéas, Vincent Dubois, Antoine Pecqueur, Saria Convertino. Quali sono i progetti artistici che hai realizzato con loro?

«Con i compositori, queste collaborazioni hanno dato vita a premiere mondiali come un ritratto del compositore. Alcune opere come quelle di Bernard  Cavanna, Daniel D’Adamo e Andy Emler sono state presentate nel quadro di un ballo contemporaneo durante il  “Festival  Musica” nel 2015. Con Annette Schlünz, compositrice tedesca, abbiamo collaborato per opere educative nel quadro della “Biennale di Venezia” nel 2017. Con Martin Matalon, compositore argentino, abbiamo creato un trio di fisarmoniche per​ celebrare il decimo anniversario del nostro Festival e dell’”Accademia Internazionale Agora” in Svizzera, con Vincent Lhermet e Sylvain Tissot. E ancora tanti altri eventi appassionanti! Per quanto riguarda le collaborazioni con i miei partner e amici di musica da camera, sono tre progetti molto diversi: con Vincent Dubois, organista titolare dei grandi organi di “Notre Dame de Paris”, il nostro programma attuale si articola attorno ai concerti di Georg Friedrich Haendel, Francis Poulenc e Astor Piazzolla. Vogliamo creare una nuova dimensione all’orchestrazione dei concerti, in particolare. L’organo suona la parte dell’orchestra e io suono la parte solista alla fisarmonica. Ci piace cercare i suoni, perché ci sono molte somiglianze tra l’organo e la fisarmonica, ma può suonare molto più forte della fisarmonica, è il re degli strumenti, come diceva Mozart. Poiché ogni organo è diverso, quindi lo scopriamo quando arriviamo sul luogo del concerto, ci piace sentire i diversi colori, trovare miscele atipiche di timbri in un contesto vario, che permette al pubblico di scoprire un duo che può essere tanto potente quanto poetico. Con Antoine Pecqueur, fagottista dell’orchestra Les Siècles, abbiamo immaginato un repertorio che mescola opere barocche e contemporanee, di compositori occidentali e orientali. Tutti questi dialoghi fanno eco all’incontro tra la fisarmonica e il fagotto, un matrimonio di sonorità inedite. Nei brani barocchi la fisarmonica offre un “moto perpetuo” avvolgente e armonico dalla singolare modernità. Nei pezzi contemporanei i due strumenti comunicano attraverso virtuosismi ed effetti, a volte fondendosi nei registri più bassi e diventando indistinguibili. La musica contemporanea ha, dunque, un respiro quasi ancestrale, un viaggio di intimità che mette in discussione il rapporto con il tempo e lo spazio. Con Saria Convertino, il nostro duo, che si chiama Le fil Rouge – La nuova strada, è nato dopo quasi vent’anni di amicizia. Abbiamo voluto creare un programma che è una sorta di fil rouge dei nostri viaggi, dei nostri scambi, delle nostre emozioni comuni, insomma, di tutto ciò che ci ha segnato durante la nostra amicizia. Un repertorio pieno di colori, vario, leggero, malinconico, di compositori francesi e italiani: Antonio Vivaldi, Francis Poulenc, Darius Milhaud e Nino Rota. Collaboro anche con grandi ensemble come l’ensemble Linea e Accroche Note a Strasburgo, ma principalmente nel contesto di creazioni contemporanee».

Entrando nel dettaglio delle tue importantissime esperienze professionali, è da menzionare assolutamente la prima opera solista di Thierry Escaich alla Filarmonica di Berlino. Potresti raccontare le emozioni, le sensazioni e gli aneddoti legati a questo evento in Germania?

«È stato un concerto indimenticabile, non solo poter creare un’opera solista di un compositore che mi è caro, che ammiro enormemente, Thierry Escaich, ma anche suonare nella Filarmonica di Berlino, una sala mitica nel mondo della musica dove hanno suonato molti grandi musicisti, con un’acustica perfetta. È stata un’esperienza semplicemente magica. Suonare in un posto come quello che ospita i Berliner Philharmoniker è una sfida, perché  è sensazionale, ma è anche una sorta di consacrazione per un musicista. Ho provato sia euforia che un profondo rispetto per questo luogo pieno di storia».

Marie-Andree JoergerSei molto impegnata anche nel campo della didattica, come al Conservatorio e all’”Accademia Superiore di Musica di Strasburgo – Haute école des arts du Rhin”, oltre a insegnare pedagogia e didattica alla “Haute école des arts de Berne” in Svizzera e a dirigere tantissime masterclass in tutta Europa, in nazioni quali Italia, Lituania, Slovenia, Polonia, Olanda. Qual è il segreto e quali sono le caratteristiche umane e professionali per essere un buon docente?

«Insegnare mi ha sempre affascinato, mi piace far emergere il potenziale degli studenti, aiutarli a trovare la loro voce, guidarli nel loro apprendimento affinché possano realizzarsi, ma soprattutto cercare di emozionare gli allievi, affinché a loro volta brillino quando parlano di musica, affinché vogliano lavorare sul loro strumento, scoprire la magia del palco, della musica insieme e tanti altri aspetti che la pratica di una disciplina artistica può portare. È importante mettersi costantemente in discussione, continuare a  cercare  nuovi metodi di apprendimento, riflettere sulla pedagogia, ma anche praticare la professione in prima persona per poter condividere costantemente le nostre nuove esperienze che si evolvono nel corso della vita. Penso che essere un buon insegnante sia qualcuno che sappia trasmettere una passione, che sia capace di motivare e guidare l’allievo verso l’autonomia artistica, il tutto in un bel rapporto di complicità».

Spessissimo, sei invitata a presiedere numerosi concorsi internazionali, ad esempio in Germania, Italia, Polonia e Svizzera. Nei vari concorsi, hai notato alcuni talenti eccezionali che ti hanno particolarmente impressionato, sia dal punto di vista tecnico che sotto l’aspetto interpretativo?

«Alcuni giovani musicisti mi hanno davvero impressionato nei concorsi, non per la loro tecnica, ma per la loro maturità ed espressività  musicale. Preferisco sempre ascoltare un musicista, in una competizione, che abbia qualcosa da dire musicalmente, che mi commuova, piuttosto che uno che abbia solo tecnica da dimostrare».

In studio di registrazione e dal vivo, che modello di fisarmonica utilizzi?

«Suono una fisarmonica Bugari, modello Spectrum, con lame Turbo. Ma anche uno strumento Bugari con voci russe Gavrilin. Mi piacciono soprattutto i colori caldi e rotondi della fisarmonica».

Parlando di nuovi progetti futuri, a breve sarà pubblicato il tuo primo album da solista, Bach en Miroir, per l’etichetta discografica Klarthe Records. Qual è il mood di questo tuo disco e quale il messaggio artistico che intendi comunicare con Bach en Miroir?

«Prima di tutto vorrei confessare una cosa: Johann Sebastian Bach è una storia d’amore! Da quando ero piccola, quando ero nel grembo di mia madre e mi agitavo, lei mi faceva ascoltare un disco di Bach e io mi calmavo. Tutto è iniziato in quel momento, quindi questo grande compositore non mi lascerà mai. Ho voluto registrare le opere di Bach, e siccome lui è stato in un certo senso il padre fondatore del Preludio e Fuga, ho voluto rendere omaggio a questa forma musicale così popolare durante i secoli dei più grandi compositori della cosiddetta musica colta. L’effetto “specchio” è creato dall’alternanza di preludi e fughe di Johann-Sebastian Bach e di altri straordinari compositori, ognuno dei quali ha segnato la propria epoca: Claude Balbastre, Wolfgang Amadeus Mozart, Clara Schumann, Max Reger e Thierry Escaich. I suoni particolarmente poetici e succulenti della fisarmonica donano una dimensione unica a queste opere, come se fossero state scritte per questo strumento popolare. Questo progetto, per me, è un modo di dimostrare che la fisarmonica sposa tutta l’estetica della musica classica. Uscirà Il 16 aprile 2021».

 

(Foto di Klara Beck)

 

GUARDA IL VIDEO