Amore e umiltà al servizio della musica
La musica concepita come una missione e un momento di condivisione nella visione di Federico Gili
Federico Gili è uno fra i fisarmonicisti italiani più interessanti e poliedrici della nuova generazione. Dal profondo lirismo ed evocativo senso melodico, dalla generosa cantabilità e istintiva musicalità, racconta le tappe più significative della sua formazione artistica, fra aneddoti ricchi di umanità e gratificazioni professionali. Oltre a descrivere la sua concezione della musica, focalizza l’attenzione sul suo nuovo disco intitolato Cantabile, che vede la collaborazione di uno fra i più grandi bandoneonisti europei: Daniele Di Bonaventura.
Soffermandosi sugli albori del tuo percorso di formazione musicale, hai avuto la fortuna e il privilegio di incontrare sulla tua strada (fra gli altri) due vere e proprie leggende della fisarmonica mondiale: Richard Galliano e Frank Marocco. Quali sono stati gli insegnamenti più preziosi che hai tratto da queste due figure iconiche?
Durante il mio percorso di formazione musicale ho incontrato davvero tanti maestri, e ognuno di loro, che ringrazio, ha contribuito allo sviluppo della mia visione musicale. Ho avuto la grande fortuna di seguire alcune masterclasses con due delle più importanti figure del mondo fisarmonicistico: Richard Galliano e Frank Marocco. Gli insegnamenti più preziosi li ho senza dubbio ricevuti dal loro essere grandi persone, prima ancora di essere eccezionali musicisti. Credo siano, innanzitutto, un esempio di vita da seguire. Hanno conservato sempre l’umiltà, l’umanità e la curiosità che li hanno costantemente contraddistinti, hanno ispirato tanti giovani come me e sostenuto con fervore il nostro lavoro. Un pomeriggio di tanti anni fa, ricevo una chiamata da un amico speciale: Giovanni Guidi. «Ciao Fede, c’è Richard Galliano a casa mia! Te lo faccio conoscere», mi dice. Ai tempi il compianto Mario Guidi, papà di Giovanni, era il manager di Richard Galliano. Avevamo appena sedici anni – e di fronte a noi (davvero intimoriti) c’era una leggenda vivente. Eppure in quella giornata lui ci ha fatto sentire suoi colleghi (anche se non lo eravamo affatto), ci ha dato preziosi consigli su alcuni suoi brani che abbiamo suonato per lui (ricordo ancora Laurita e Heavy Tango), mi ha fatto provare la sua fisarmonica, ci ha dedicato con generosità il suo tempo, dimostrando una grandissima umanità. Che bei ricordi, l’ho rivisto proprio alcuni giorni fa a Foligno, in occasione di un suo concerto in memoria di Mario Guidi e abbiamo ricordato insieme quel momento. Frank Marocco, come dico spesso, era il nonno che tutti noi giovani aspiranti fisarmonicisti avremmo voluto avere, una delle persone più belle che io abbia mai conosciuto, di un’umiltà disarmante. Una sera d’estate del 2008, a un mio concerto organizzato da Elke e Riccardo della “Victoria Accordions” a Castelfidardo, tra il pubblico c’era proprio lui. Ricordo come fosse ieri, dopo la meravigliosa cena insieme e poco prima del live, la sua cura nel sistemare le sedie per il pubblico, nel posizionare la mia sedia, il mio leggio. Io con stupore gli dissi: «Maestro! Cosa sta facendo?» E lui, col suo solito dolcissimo sorriso, dopo una pacca sulla spalla, mi rispose: «Oggi sei tu che devi suonare, man!» Questo è sicuramente l’insegnamento più prezioso che ho avuto la fortuna di ricevere.
Nel corso della tua brillante carriera hai fatto incetta di premi vinti in concorsi nazionali e internazionali. Basti pensare, su tutti, al famosissimo “Premio Internazionale della Fisarmonica” di Castelfidardo (2018), per la categoria “Musica Jazz”, dove ti sei presentato con il progetto AccorDuo insieme al fisarmonicista Matteo Marinelli. Quali sono le peculiarità stilistiche e interpretative che contraddistinguono questo duo?
Ho partecipato a tanti concorsi musicali sia in Italia che all’estero – e credo sia una grande opportunità per i giovani che vogliono mettersi alla prova. Purtroppo, ho constatato che il mondo dei concorsi, con la complicità di alcuni movimenti fisarmonicistici, alimenta un “fisarmonicismo” che poco ha a che fare con la musica. Penso che il nostro ambiente abbia bisogno di più musicisti che suonano la fisarmonica e di meno “fisarmonicisti”. La musica va servita con amore e umiltà, è una missione, è condivisione, non una gara di velocità. Tornando ai premi vinti, sarei ipocrita se affermassi che non sono gratificanti, anzi. In realtà, a volte, possono dare anche un senso ai nostri sacrifici. Non nascondo, quindi, che vincere un concorso prestigioso come il PIF (Premio Internazionale della Fisarmonica, ndr) sia indubitabilmente una bella soddisfazione. Le caratteristiche che contraddistinguono il duo con Matteo Marinelli ritengo siano il dinamismo, la grande complicità che si è istaurata tra di noi, l’interplay e la spontaneità. AccorDuo è un progetto che abbraccia vari generi musicali, non solo il jazz nel senso più stretto del termine. C’è indubbiamente tanta improvvisazione, ma è di fatto un viaggio tra svariati generi e stili musicali. Matteo è prima di tutto un amico, un compagno di mille avventure e un musicista di serie A. Con lui non c’è bisogno di tante parole, basta uno sguardo.
A proposito di generi musicali, hai iniziato con lo studio della musica colta per poi virare verso il jazz. Quando e perché è scattata la molla che ti ha fatto innamorare appunto del jazz?
Non la definirei una virata. Classica e jazz hanno sempre convissuto nel mio mondo artistico, anche se ultimamente mi sto dedicando quasi del tutto a situazioni in cui l’improvvisazione ha un ruolo fondamentale. Ho portato avanti entrambi i versanti parallelamente: da una parte gli studi accademici e la fisarmonica a bassi sciolti, dall’altra il jazz e la musica improvvisata, ma quest’ultima in maniera molto istintiva. In principio da autodidatta, teorizzando e dando una logica a quello che stavo suonando soltanto più avanti. Ho sempre avuto la propensione all’improvvisazione, fin dalle prime lezioni da bambino, variando semplici temi o cercando soluzioni alternative. La curiosità per alcune sonorità nasce senza dubbio dall’incontro con la musica di Luciano Fancelli, artista geniale, compositore e fisarmonicista umbro. La grande passione per il jazz sboccia successivamente dall’ascolto dei grandi: Charlie Parker, Miles Davis, John Coltrane. Ma gli amori più intensi restano Bill Evans, Keith Jarrett e Johann Sebastian Bach.
Nel 2022, per Caligola Records, hai pubblicato il tuo nuovo disco in “Solo” intitolato Cantabile. Potresti raccontare la gestazione e descrivere il mood di questo album?
Cantabile nasce davanti ad una birra in compagnia di un artista incredibile, Daniele Di Bonaventura, dopo un nostro concerto al festival jazz “Experimenta 2021” di Marco Sarti. Stavo lavorando ad altro, quindi in quel momento l’idea di un disco in “Solo” non era di certo tra i miei progetti. Poi Daniele si è offerto di produrre questo lavoro dopo aver ascoltato la mia musica. Non smetterò mai di ringraziarlo. Reputo sia un disco davvero sincero, realizzato in poche ore in una giornata di neve, quasi privo di editing. È la fotografia di un momento, alcune tracce sono il risultato di un’unica take. È un omaggio alla ricerca melodica, appunto alla cantabilità. Lo definirei un album contemplativo, intimo, in cui l’esigenza di comunicare i miei stati d’animo ed emozioni è prioritaria. Ho provato umilmente a mettermi a nudo, in solitaria al servizio della musica, senza voler dimostrare nulla a nessuno. E spero di essere riuscito nell’impresa.
Analizzando approfonditamente Cantabile, spicca una tua composizione originale dal titolo Chorinho pra Ila, un brano dedicato allo choro brasiliano. Come per il passaggio dalla musica colta al jazz, com’è nato il colpo di fulmine per la musica brasiliana?
Águas de Março nella versione di Elis Regina e Antônio Carlos Jobim! Fu davvero un colpo di fulmine, la ascoltai per un’estate intera da un CD ricevuto in regalo da un amico chitarrista al liceo. Era una compilation casalinga di canzoni brasiliane che conteneva, tra i tanti, anche alcuni brani del disco Getz/Gilberto (album di Stan Getz e João Gilberto, ndr). Dopo quell’ascolto seguirono immediatamente Dominguinhos, Sivuca, poi Hermeto Pascoal ed Egberto Gismonti, uno dei miei compositori preferiti. Il titolo Chorinho pra Ila (dedicato a Ilaria, “Ila”) è ispirato al titolo del brano Chorinho pra Ele proprio di Hermeto Pascoal. Tra le mie composizioni è senza dubbio quella che ho suonato di più – in varie formazioni – e confesso che non mi stanca mai. Ho in mente una versione decisamente più energica, ma non anticipo nulla.
Le tue composizioni originali scaturiscono dai tuoi ascolti passati e presenti oppure soprattutto da alcune tue particolari fonti d’ispirazione?
La composizione, a differenza di qualche anno fa, credo che oggi sia un aspetto fondamentale del mio mondo musicale, non potrei farne a meno. I miei brani sono certamente il risultato e la sintesi dei tanti ascolti passati e presenti, ma sono influenzati fortemente dal percorso musicale vissuto con Ramberto Ciammarughi, compositore e pianista geniale, un mentore e un amico. Quello con “Rambo” è stato un incontro fondamentale senza il quale, con ogni probabilità, oggi non sarei qui a scrivere – e mi occuperei di altro – forse. Ero a un passo dal mollare tutto – e lui è stato l’uomo che mi ha davvero fatto capire che la musica e la composizione sono la strada da seguire.
Focalizzando l’attenzione sui concerti, ti sei esibito in giro per il mondo. In queste tue esperienze sui palchi internazionali, che tipo di feedback hai ricevuto da parte del pubblico estero?
All’estero ho ricevuto sempre feedback decisamente postivi. Generalmente il pubblico è attentissimo – e c’è assoluto rispetto per la figura del musicista. Cosa che in Italia non è sempre scontata.
E il tuo nuovo disco, Cantabile, lo stai presentando anche fuori dall’Italia?
Per il momento l’ho presentato solo in Italia, ma durante l’estate ci saranno altri appuntamenti interessanti. Nei prossimi mesi sono in programma concerti all’estero con altri progetti di cui faccio parte, però suoneremo anche dei miei brani presenti nel mio disco.
(Foto di Attilio Gagliardi)