Il suono antico dell’organetto

Intervista a Claudio Prima, voce e organetto della BandAdriatica

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BandAdriatica (ph Giuseppe Rutigliano)Questa volta non è facile definire un territorio. O meglio, partiamo dal Salento, che è terra di appartenenza della band, ma poi intraprendiamo insieme a loro un percorso musicale che si spinge fino a territori apparentemente lontani, che vanno dai paesi della costa adriatica al Medio-Oriente, passando per il Nord Africa. Un viaggio in costante evoluzione e alla ricerca di radici comuni, reso possibile da uno studio meticoloso e da una grande e continua sperimentazione musicale che ha portato la band a essere molto apprezzata anche all’estero e a collaborare con artisti internazionali del calibro di Bombino, Mercan Dede, Rony Barrak, Savina Yannatou, Chieftains, Burhan Ochal, Kocani Orkestar, Boban Markovic Orchestra, Fanfara Tirana, Eva Quartet, Cafer Naziblas, Fanfare Ciocarlia e Michel Godard. Ringrazio Claudio Prima, voce e organetto della BandAdriatica, per avermi concesso l’intervista e auguro a tutti buon viaggio!

In un’intervista di qualche anno fa per “Folk Roots Magazine” (Regno Unito) hai dichiarato che quando canti in dialetto salentino ti senti più autentico e più vicino alle tue radici: ma da dove parte questa voglia di dedicarsi per prima cosa alla tradizione musicale salentina e poi di esplorare le tradizioni dei diversi territori che si affacciano sull’Adriatico, fino a quelli dell’area mediterranea e anche oltre?

Pur essendo una formazione di vecchia data, la nostra (2006), siamo sempre stati affascinati dalla musica balcanica che, soprattutto nei primi anni Duemila, ha vissuto una vera e propria esplosione. Io stesso, già avevo fatto dei viaggi in Romania e Grecia durante il mio periodo di ricerca sulle musiche popolari, partendo, però, da quelle che riguardavano la mia terra, il Salento, che proprio dalla metà degli anni Novanta ha iniziato a riscoprire la propria anima tradizionale. Da lì, seguendo la mia tendenza a creare ponti, iniziai a sperimentare le connessioni tra musica salentina e musica balcanica. Queste sperimentazioni sono poi sfociate in un primo progetto, Manigold, molto apprezzato anche a livello internazionale; mentre un altro passaggio intermedio, prima di dar vita alla BandAdriatica, è stato Adria, di cui faceva parte anche Redi Hasa, violoncellista di origini albanesi, che con noi ha iniziato a creare dei ponti tra la musica salentina e quella albanese, appunto. Nel corso degli anni, l’asse Italia-Albania si è rafforzato sempre di più, sviluppando l’idea di una connessione tra le bande salentine, pietre miliari della musica tradizionale pugliese suonata nelle strade e nelle piazze, e le fanfare dell’Est, bande di fiati spesso di origine militare, che poi sono entrate nel repertorio popolare rappresentando un punto di riferimento musicale per tantissimi Paesi e tradizioni. È a questo punto che nasce la BandAdriatica: l’idea era quella di formare un gruppo che avesse un forte carattere bandistico e potesse suonare sia il repertorio salentino, sia il repertorio tradizionale balcanico. Tuttavia, già nel 2008, decidiamo di dare “un senso” al nome che ci eravamo dati, con l’idea di fare una commistione delle musiche di tutti i paesi dell’Adriatico (Grecia, Albania, Slovenia, Montenegro, incluso tutto il versante adriatico italiano), andando oltre il repertorio puramente tradizionale. Per cui, decidiamo di intraprendere un bellissimo viaggio in barca a vela, che poi è sfociato nel documentario Rotta per Otranto, con lo scopo di esplorare da vicino questo repertorio e incontrare musicisti che, come noi, volevano mettere in gioco la propria tradizione in un’ottica di scambio e nella convinzione che tra le nostre musiche ci fosse un fattore comune. Effettivamente, abbiamo avuto modo di verificare questa ipotesi in molti viaggi che abbiamo fatto, arrivando ad ampliare la ricerca fino al Medio Oriente (Libano, Armenia, Turchia) e al Nord Africa: l’idea che sta alla base del nostro progetto, infatti, è che tutte le musiche siano in qualche modo figlie di un incontro.

A questo proposito, siete uno degli esempi principali di incontri tra culture musicali diverse, ma connesse da delle radici comuni. Quanta ricerca c’è dietro a un repertorio come il vostro e quale crediate che sia il valore che ogni cultura, musicale e non solo, porta con sé in questa commistione?

Noi abbiamo sempre pensato che questa ricerca musicale sia strettamente legata alla ricerca della propria identità: un parallelismo che si palesa nel momento in cui l’incontro tra le culture, che diventa poi incontro tra le persone che rappresentano queste culture, dà la possibilità di mettersi in gioco, un po’ anche alla riscoperta di noi stessi, com’è il caso del viaggio in barca a vela che abbiamo intrapreso per trovare la nostra identità di gruppo e che ci ha messo in gioco dal punto di vista personale e umano. Questa può essere vista come una sorta di metafora di come a volte sia necessario lanciarsi verso un territorio sconosciuto con cui, però, si sente un’affinità, che va intesa come segnale che dall’altra parte c’è qualcosa che ti appartiene: nel momento in cui ti ricongiungi con qualcosa che scopri che ti appartiene, può avvenire una crescita personale, di gruppo, di consapevolezza a livello tecnico e artistico. Io credo che sia proprio questo il valore più importante che la musica ci ha dato: la volontà di sperimentare, spingendoci anche oltre i confini, per cercare qualcosa che ci appartenesse e ci completasse, tenendo traccia, possiamo dire, del nostro DNA musicale.

Dietro alla vostra musica c’è l’idea che la tradizione non sia qualcosa di statico, ma sia in realtà sempre in movimento e continua evoluzione. Come si traduce questo concetto nei vostri brani?

Collegandomi a ciò che dicevo prima, dopo aver suonato, i primissimi anni, un repertorio puramente tradizionale, ci siamo resi conto che c’era qualcosa che volevamo dire e che poteva essere detto con lo stesso linguaggio ma con una sensibilità in qualche modo più attuale. La nostra sensibilità musicale è figlia di questo tempo, nonostante io stesso mi sia immerso totalmente e mi sia innamorato della musica popolare, con cui inevitabilmente il contatto diviene più intimo e si vanno a toccare delle corde che vanno nel profondo. Quello che suoniamo, però, è diverso, perché ognuno ha una storia musicale che si va a intrecciare con le radici. Per cui, perché non pensare che anche negli anni Cinquanta o Sessanta, in cui si parla delle prime registrazioni sul campo, quelle musiche venissero suonate in quel modo perché c’era un tipo di sensibilità legata agli ascolti e alle esperienze di vita di quel tempo, con un ritmo che si evolve in continuazione? In questo senso, la tradizione si muove con chi la suona, perché è chi la suona che è di volta in volta diverso: ecco perché non possiamo riferirci alla tradizione come qualcosa di statico o come un fotogramma di un momento storico che è irripetibile.

Dietro a un progetto del genere, dove è necessario uno studio di tradizioni musicali anche diverse da quella di appartenenza, credo sia d’obbligo essere curiosi e “affamati” di nuove scoperte. Quanto vi ritenete curiosi in questo senso? E, alla fine, dopo quasi vent’anni di continua ricerca, cosa risultano avere in comune queste tradizioni musicali?

Innanzitutto, il solo fatto di avere una formazione musicale così simile, strumentalmente parlando, già nasconde una storia comune: poi sta a noi, con la nostra curiosità, andare a scoprire i fraseggi, le melodie, le armonizzazioni, i canti, i testi e tutte le variabili in cui si presentano affinità musicali tra i vari Paesi, con modulazioni e forme diverse. Tuttavia, credo che la vicinanza maggiore, per collegarmi al discorso di prima, sia tra le persone che suonano: per quanto ci riguarda, è proprio suonando con la Kocani Orkestar o con Boban Markovic che abbiamo trovato maggiori affinità con quel modo di suonare e quell’energia comune che ci fa capire che siamo “fratelli”.

Se dovessi fare un’analisi del vostro percorso musicale, come diresti che si è evoluto il suono della BandAdriatica da Contagio (2007) a Odissea (2018)?

Innanzitutto, ci tengo a dire che siamo esattamente gli stessi musicisti del primo giorno, a parte Redi Hasa che attualmente è in tour con Ludovico Einaudi. Per cui, le relazioni umane tra di noi sono molto forti, potremmo dire fraterne. Al di là di questo, la nostra evoluzione sta in primo luogo nell’aver acquisito un suono: con il primo album, Contagio, possiamo dire infatti che stavamo ricercando il nostro suono. Con il tempo, poi, siamo arrivati a un vero e proprio linguaggio identitario, come un’impronta che nei primi cinque dischi si è andata sempre di più definendo, fino ad arrivare a un sound riconoscibile e facilmente riconducibile a noi: un suono non localizzabile, essendoci spostati in continuazione e avendo lavorato con moltissime culture, ma che allo stesso tempo rappresenta un linguaggio unico che comprende le varie inflessioni.

A proposito delle vostre uscite, dalle vostre pagine social si evince che state lavorando a un nuovo album. Puoi anticiparci qualcosa? Che cosa ci dobbiamo aspettare?

Sì, senza anticipare troppo, posso dirti che alla base dell’album che uscirà ci sarà un concept del tutto nuovo e originale, in cui rientrerà anche la tematica del futuro, su cui già abbiamo fatto uscire qualcosa, e in cui, ancora una volta, ci spingiamo a esplorare nuovi territori musicali.

Adesso vorrei chiedere a te, che sei l’ organettista di questa band: come descriveresti il valore aggiunto dell’organetto nella musica popolare in generale e, più nello specifico, nella vostra musica, che si manifesta in una rilettura della musica tradizionale?

L’organetto per noi rappresenta il legame con la tradizione: per cui, il valore aggiunto che ha è quello di ricollegarci alle corde antiche, essendo, il suono dell’organetto, un suono antico con un carattere molto forte e riconoscibile che ci permette, pur nella sua continua evoluzione, di connetterci a un mondo musicale ben preciso, grazie alla sua capacità evocativa.

Lasciaci un messaggio per i nostri lettori, se ti va.

Tra poco parte la nostra tournée, per cui vi invitiamo a seguirci! A giugno saremo in Austria e in Repubblica Ceca e poi torneremo in Italia: pubblicheremo a breve le date del tour sul nostro sito e sui social. Vi aspettiamo, perché il concerto della BandAdriatica è un concerto da vivere, una festa da fare insieme. Ci vediamo in giro per i concerti!

 

(foto sull’articolo di Giuseppe Rutigliano)

 

DISCOGRAFIA

Contagio (Finisterre, 2007)

Maremoto (Finisterre, 2009)

Arriva la banda! (Finisterre, 2012)

Babilonia (Finisterre, 2015)

Odissea (Finisterre, 2018)

 

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