Parla il silenzio

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Robert Alexander SchumannNella intimità della introspezione musicale delle Kinderszenen Op. 15 di Schumann, il compositore chiude la sua opera pianistica con il suggestivo Der Dichter spricht (Il Poeta parla), offrendo al ricordo descrittivo del percorso della sua giovinezza una sintesi “spirituale”, momento topico dove l’ascolto silenzioso della voce interiore (quella di un poeta fantasioso udita nel sonno di un bimbo) “emerge” su tutto il più risonante e movimentato scorrere delle scene dell’infanzia.
Questo suggestivo esempio mi pare possa esser preso a prestito per descrivere una ben più diversa condizione, trasferendoci nell’attualità di un “inquinamento” acustico, oggi avvertito con maggior intensità dopo la pausa sonora del lock down.
La vita quotidiana dei paesi industrializzati ed evoluti si svolge su un sottofondo acustico dove il regime ordinario è il rumore, insieme alla presenza di segnali acustici di ogni genere (dalla invasiva suoneria elettronica di uno smartphone al continuo rombo del traffico sulle strade cittadine…). Questo caotico contesto acustico è divenuto il background cui ci siamo abituati e che consideriamo “normale”, paradossalmente quello più “espressivo” di una società che possa definirsi intraprendente, dinamica e moderna.
Il periodo della “chiusura” di ogni attività, così come abbiamo sperimentato in Italia nei mesi scorsi, è apparso però in tutta la sua altrettanto paradossale drammaticità, poiché ha riportato lo scorrere delle ore della giornata nel “silenzio” dove i suoni di natura tornavano ad essere i protagonisti: ricordo personalmente, in un contesto urbano, la meraviglia nell’udire il cinguettio degli uccelli in contrappunto con il gracidare delle rane… La “voce della natura” riacquistava la sua espressività e il suo spazio, non sopraffatto in quei giorni da segnali e rumori artificiali, ma offrendosi ai nostri orecchi quasi come novità di ciò che, invece, essa è da sempre.
Abbiamo avvertito, e lo testimoniano in molti, un silenzio surreale, ma non privo di fascino e, direi, di eloquenza, sebbene si tratti di una situazione imposta e forzata, non ricercata né desiderata.
La serietà del momento storico, vittima di una pandemia difficile da sconfiggere, ha condotto ovviamente l’attenzione di tutti sulla emergenza sanitaria e, poi, su quella economica, e a ben ragione; e così dev’essere! Tuttavia, possiamo giudicare quei giorni di silenzio come una scoperta o riscoperta di un mondo “sonoro” più connaturale allo spirito, proiettandoci in una dimensione diversa da quella consueta, che ci ha consentito di poter “ascoltare” la natura, il silenzio e, quindi, se stessi.
Questa non abitudine al silenzio è stata motivo di smarrimento per molti o motivo di rinnovamento per altri, condizioni entrambe da decifrare nell’intimo di ciascuno. Certo è che il contrasto netto e improvviso tra inquinamento acustico e isolati suoni di natura è divenuto – se lo si sa interpretare – motivo di riappropriazione di un silenzio esteriore in sinergia armonica con il silenzio interiore: un ascolto “sensibile” che i nostri antenati non hanno vissuto nella odierna e paradossale drammaticità, poiché inseriti in una vita naturale più sonoramente genuina che permetteva loro di assaporare singoli suoni, voci, canti, musiche nella loro più integrale espressività.
Così, la pausa forzata del silenzio nel mondo moderno si è rivelata per taluni come coefficiente di anormalità, per altri quasi motivo di una nostalgia di una serenità d’altri tempi.
Senza pretesa di giudizio, si potrebbe affermare che la portata eloquente della voce del Poeta del quadro musicale di Schumann sarebbe difficile da reggere nella frenetica società moderna, generalmente più sensibile ad una confusione sonora che non alla “intensità” del silenzio che ha tanto da dirci, ieri come oggi.

 

Sergio Militello, 29 luglio 2020
Docente di Teologia della Musica alla Pontificia Università Gregoriana