“Che Schönberg mi perdoni” (3° parte)

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“CHE SCHÖNBERG MI PERDONI”
La musica nel cinema d’animazione di Walt Disney
(terza parte)

 

I primi tentativi li respinge. A Walt Disney proprio non piacciono quelle canzoni in stile musical hollywoodiano che i suoi musicisti gli propongono per Biancaneve e i sette nani. Che Schonberg mi perdoni (terza parte - locandina Biancaneve e i sette nani)Quei film non fanno per lui, non ne ha mai amato lo schema regolare e ricorrente di canzoni e danze, che non tiene conto dello svolgersi della narrazione: “Dovremmo stabilire un modo nuovo di usare la musica” dice “la musica va intessuta nella storia, per impedire che qualcuno sbotti a cantare di punto in bianco”[1]. Walt, va ricordato, non ha ricevuto alcuna educazione musicale, ma sa quale musica conquisterà il pubblico dei suoi film. E quali voci. Per Biancaneve rifiuta addirittura quella dell’allora quattordicenne Deanna Durbin, che di lì a poco firmerà contratti favolosi con la MGM e la Universal: “È troppo matura” – dice dopo quella che oggi chiameremmo una blind audition – “sarà tra i venti e i trent’anni”[2]. Poi, la scelta cade sulla diciottenne Adriana Caselotti. Che Schonberg mi perdoni (terza parte - Adriana Caselotti)È la sua voce a possedere quell’impronta fanciullesca che Disney sta così affannosamente cercando. Figlia di due immigrati italiani – padre insegnante di canto e madre cantante d’opera – nel 1934, viene contattata dal direttore del casting della Disney. Il provino è un successo. Adriana canta a cappella e tutti ne sono fortemente impressionati. Walt definisce la sua voce “dotata di una cadenza particolare che le solleva il viso in un sorriso quando parla e canta”. Il padre firma per lei, ancora minorenne, un contratto che prevede un compenso di 970 Dollari, l’equivalente di circa 16 mila dollari odierni[3].

Com’è noto, Biancaneve e i sette nani è il primo lungometraggio a disegni animati della storia del cinema e non possiede l’essenzialità dei cortometraggi che lo hanno preceduto. Per sostenere l’architettura di un film di circa 80 minuti, le canzoni devono essere finemente ideate ed ingegnosamente collocate. A scriverne le parole viene chiamato Larry Morey, già autore di The World Owes Me a Living, cantata da Shirley Temple nel film Rivelazione (Now and Forever, 1934 di Henry Hathaway); Che Schonberg mi perdoni (terza parte - locandina di Now and Forever)a comporne le musiche Franck Churchill, che un anno prima, aveva fatto innamorare l’America intera della sua Who’s Afraid of the Big Bad Wolf? (Chi ha paura del Lupo Cattivo?), la filastrocca de I tre porcellini, primo grande successo musicale della Disney, e Leigh Harline, anche lui già impegnato nelle Silly Simphonies disneyane. Paul Smith, invece, musica solamente le sequenze in cui la regina Grimilde è alle prese con lo specchio magico e si trasforma nella strega cattiva. Su questo musicista vale la pena di aprire una breve parentesi. Dopo aver collaborato a Biancaneve, tornerà – presto e spesso – a lavorare con Walt Disney: sua e di Harline la colonna sonora di Pinocchio, premiata con l’Oscar, e la partecipazione a quelle di Saludos Amigos, I tre Caballeros, I racconti dello zio Tom, Ventimila leghe sotto i mari. Ma particolarmente interessanti, nel lavoro di Paul Smith, sono le partiture per la serie di documentari naturalistici della Disney, prodotti dal 1949 Che Schonberg mi perdoni (terza parte - Paul Smith)al 1960. Qui, egli applica al movimento “dal vero” degli animali i principi della sincronizzazione musica/animazione creata dagli studi Disney (il cosiddetto mickeymousing[4]). Così facendo, la sua musica contribuisce anche al senso stesso delle sequenze: sottolineando i movimenti degli animali con il suono, aiuta a farne comprendere meglio il comportamento, riducendo il ricorso al commento parlato[5].
Delle venticinque canzoni composte da Churchill, Harline e Morey per Biancaneve e i sette nani, Disney, che segue sempre attentamente il lavoro dei suoi musicisti, sceglie le otto da inserire nella colonna sonora del film e propone anche soluzioni originali, come i temi dei nani, che vuole che siano formati da sette note. Che Schonberg mi perdoni (terza parte - Disney e i sette nani)Non tutte le canzoni hanno l’efficacia – desiderata – di contribuire alla dinamicità della narrazione; alcune sono dei semplici intervalli, che sottolineano la sospensione dell’azione, come nell’opera lirica, quando all’aria spetta il compito di svelare gli stati d’animo e le intenzioni dei personaggi. Di queste e di tutte le canzoni disneyane è sempre preferibile ascoltare la versione originale. La traduzione in italiano, purtroppo, rende melensi i versi. Non si tratta di “snobismo esterofilo”. L’inglese è, semplicemente, molto più adatto dell’italiano per certe canzoni. D’altra parte, però, è la stessa Disney ad imporre il doppiaggio affinché i testi siano compresi; il che comprova quale sia il valore narrativo e non solo “decorativo” attribuito alle parti musicali[6]. Tra le canzoni più memorabili di Biancaneve spicca Some Day My Prince Will Come. Non è un caso che grandi interpreti l’abbiano inclusa nel proprio repertorio: Barbra Streisand, Judy Garland, Diana Ross; Diana Damrau (soprano lirico); Tanya Tucker (in versione country); Cassandra Wilson, Imany e Nikki Yanofsky (in versione jazz). Che Schonberg mi perdoni (terza parte - Barbra Streisand)E ancora in versione jazz, ma solo strumentale, Dave Brubeck (con l’immancabile Paul Desmond al sax alto), che la inserisce in un album tutto dedicato al mondo disneyano, Dave digs Disney (1957), che comprende arrangiamenti di canzoni tratte anche da Alice nel Paese delle meraviglie, Pinocchio e Cenerentola. Anche Chet Baker, Bill Evans, Oscar Peterson, Herbie Hancock e Chick Corea, Keith Jarrett, Sun Ra, Stanley Clarke, per citarne solamente alcuni, propongono la propria interpretazione di Some Day My Prince Will Come. Che Schonberg mi perdoni (terza parte - Dave digs Disney)La prima esecuzione in chiave jazz, però, è di una band davvero particolare, che colora di una nota struggente la storia di questa canzone: i “Ghetto Swingers” la suonano, nel 1943, nel campo di concentramento nazista di Theresienstadt. Lo ha raccontato Herbert Thomas Mandl, l’unico di questi musicisti sopravvissuto all’orrore dell’olocausto. Che Schonberg mi perdoni (terza parte - Ghetto Swingers)La struttura degli accordi che sostiene la melodia di questa canzone è ciò che piace al mondo del jazz. In modo particolare a Miles Davis, che, nel 1961, ne incide un indimenticabile – e insuperato – arrangiamento per l’album omonimo. Al suo fianco ci sono John Coltrane e Hank Mobley (sax tenori), Wynton Kelly (piano), Paul Chambers (contrabbasso) e Jimmy Cobb (batteria). Leggenda vuole che Coltrane non abbia visto la partitura prima di quella sessione e che, entrato in studio a registrazione già iniziata, abbia improvvisato un assolo elettrizzante e di tale complessità, che “Franck Churchill non sarebbe stato nemmeno in grado di immaginare”[7]. Che Schonberg mi perdoni (terza parte - John Coltrane)
In Biancaneve e i sette nani il commento musicale non manca mai di delineare con accuratezza le caratteristiche psicologiche dei personaggi. La musica qui è padrona, non più ancella, assumendosi, per esempio, il compito di caricaturare i personaggi. Per esempio, nella sequenza in cui i sette nani, rientrati dalla miniera, sospettano una presenza misteriosa in casa, tensione drammatica e carattere comico dei personaggi rivaleggiano tra loro. I nani avanzano prudentemente “su una marcia pesante in tempo lento nel fagotto, risolta in scalette rapide nel flauto e negli archi sulle loro fughe e seguite da una seconda minore e da un prolungato accordo di quinta a determinare un momento di suspense quando infilano la testa nella porta. È il dialogo strumentale flauto-fagotto a fare l’interesse della scena, che si svolge come se si trattasse di un duello tra la paura e la caricatura della paura”[8].
Che Schonberg mi perdoni (terza parte - Robert e Richard Sherman)Col trascorrere degli anni, naturalmente, altri compositori e parolieri entrano a far parte della “Scuderia Disney”. Tra tutti, Oliver Wallace (Peter Pan, Dumbo, Alice nel Paese delle meraviglie, Cenerentola, Lilly e il vagabondo), i fratelli Robert e Richard Sherman (Mary Poppins, La spada nella roccia, Il libro della giungla, Gli Aristogatti, primo film interamente realizzato dopo la morte di Walt Disney) e George Bruns (La bella addormentata nel bosco). Wallace, in particolar modo, è maestro nel mantenere l’equilibrio tra musica e immagini. La colonna sonora di un film “dovrebbe essere” – afferma – “come un bel tappeto che integri la bellezza dei mobili e dei quadri di una stanza. Se è troppo vistoso si nota solo il tappeto e non si osservano gli altri elementi dell’arredamento; in tal caso l’illusione di bellezza viene persa”.[9]
Ma una nuova sfida attende Walt Disney e i suoi collaboratori sul piano dei rapporti tra animazione e musica: quella del film musicale vero e proprio, di cui Fantasia (1940) rappresenta il più (in)discusso capolavoro. Assieme a Musica Maestro (1946), Lo scrigno delle 7 perle (1948) e, in qualche misura, Saludos Amigos (1942), I tre caballeros (1944) e I racconti dello zio Tom (1946) merita un capitolo a parte della nostra storia…

 

NOTE

[1]Cit. in Bob Thomas, Walt Disney, Milano, Mondadori, 1980, p. 148.
[2]Idem.
[3]https://www.vanillamagazine.it/adriana-caselotti-l-angelica-voce-di-biancaneve-stroncata-da-walt-disney/.
[4]Bob Thomas, op. cit., p. 148.
[5]Guido Michelone, Giuseppe Valenzise, Bibidi bobidi bu. La musica nei cartoni animati da Betty Boop a Peter Gabriel, Roma, Castelvecchi, 2003.
[6]G. Michelone, Coloriture. Voci, rumori, musiche nel cinema d’animazione, Bologna, Pendagron, 1995.
[7]Lilian Pizzichini, The Life of a Song: ‘Some Day My Prince Will Come’, in https://www.ft.com/content/11a142be-42bd-11e6-9b66-0712b3873ae1.
[8]Isabela. Alarcon, “Figuralisme et écriture musicale dans le dessin animé”, in Les musique des film, «Vibrations» n. 4, janvier 1987. Paris, Editions Privat.
[9]Cit. in Guido Michelone, Giuseppe Valenzise, op. cit., p. 161.

 

PER APPROFONDIRE

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA

BENJAMIN, Walter, Mickey Mouse, Genova, Il Melangolo, 2014.

BENDAZZI, Giannalberto,Topolino e poi. Cinema d’animazione dal 1888 ai giorni nostri, Milano, Il Formichiere, 1978.

GABBIANI, Claudio, Trame sonore. Musica, voce, rumori e silenzio nel cinema, Ogliatro Cilento (SA), Licosia, 2018.

RONDOLINO, Gianni, Storia del cinema d’animazione. Dalla lanterna magica a Walt Disney, da Tex Avery a Steven Spielberg, Torino, UTET Università, 2003.

SIMEON, Ennio, Manuale di storia della musica nel cinema. Storia, teoria, estetica della musica per il cinema, la televisione e il video, Milano, Rugginenti, 2015.

Zancato, Federica, Cartoon Ladies. Le dive del cinema d’animazione americano, Latina, Tunué, 2012.

 

LINK AUDIOVISIVI

https://youtu.be/fBq87dbKyHQ